*sorso di tè prima che arrivi AMD*
C'erano una volta le arti del combattimento dell'isola di Okinawa, in genere dette genericamente "te" (cioè "mano", per dire "a mano nuda", in poche parole "[fare a] cazzotti") ma note anche con altre denominazioni come Okinawa-te (come la chiamavano gli "esterni" per riferirsi alla provenienza) o Naha-te (detto specificatamente di quella fatta in tale città). I mercanti e le ambascerie che viaggiavano in Cina durante i secoli XVII-XVIII per commerciare o tenere contatti diplomatici importarono anche diverse influenze delle arti marziali cinesi, così che alla fine gli abitanti dell'isola iniziarono a chiamare il loro stile per menarsi kara-te, dove "kara" significa "cinese".
Quest'arte marziale pare non avesse niente da invidiare a stili considerati attualmente ben più cazzuti come la Muay Boran (dalla quale discende lo sport da combattimento noto come Muay Thai), anche se le fonti d'epoca sono scarse. Ma poi si evolvette in maniera particolare.
Dopo l'annessione dell'arcipelago delle Ryukyu, il testimone passò al Giappone che, sul finire dell'800, iniziò la sua perversa pratica di "conformazione" ai canoni nipponici, cominciando con il giapponesizzare il nome cambiando l'ideogramma di "cinese" con quello di "vuoto", che si pronuncia ugualmente (kara). Conformazione comunque il cui primo effetto fu la fondazione di un dozzilione di stili al principio del secolo successivo a seconda del maestro che insegnava secondo la sua particolare corrente di pensiero. Il secondo effetto fu quello di inquadrare l'arte marziale nella "via" come la si concepiva in quegli anni, con tutti gli annessi mentali/sportivi/pedagogici/filosofici di contorno, facendolo diventare karate-do con un sacco di cose belle che hanno arricchito l'arte ma anche qualche cosa che, secondo un certo punto di vista, andrebbe riequilibrata, come l'enfasi sull'eseguire in maniera troppo prolissa e ripetitiva tecniche a vuoto schematizzate, senza tanto condizionamento, pratica di combattimento e ricerca dell'efficienza nelle tecniche (visione del tutto legittima, ma non quando la si vuole spacciare per ciò che non è, come è accaduto spesso in seguito da noi).
O meglio, io non c'ero e non so come si allenavano ad Okinawa tre o quattro secoli fa, ma ho letto che si facevano molto più spesso anche venire i calli alle mani e i lividi sugli zigomi, perché facevano davvero sul serio. Per contro so che nel ju jitsu dei tempi di pace si era giunti al punto che non c'erano più strategie di combattimento o una metodica ben ragionata (almeno fino a quando sulla fine del XIX secolo non venne codificato il ju do per sopperire a questi problemi come pratica sportiva/formativa dell'individuo), anche perché con l'avvento dell'industrializzazione non c'era fiducia nel combattimento corpo a corpo come metodo di difesa, tanto le armi da fuoco bastavano a nullificare anni di addestramento. Quindi secondo me sotto-sotto i jappi impigriti dal periodo Edo ci misero il loro zampino nel farlo evolvere sia nel bene che nel male, un maestro famoso di karate come Gichin Funakoshi per esempio credeva più nell'utilità educativa che combattiva della pratica del karate; poi magari potrei benissimo stare raccontando stronzate...
Comunque sia, il punto è che col passare degli anni il karate si avvicina sempre più all'essere un allenamento psico-motorio, tanto che viene proposto anche alle scuole elementari e si forma anche una variante sportiva i cui incontri tipo prevedono il non andare a fondo nell'esecuzione delle tecniche. Ma nella prima metà del '900 ha ancora generalmente un suo spirito marziale.
Comunque, fin qui va tutto bene: è un'attività formativa dei giovani, punto. Se ne possono trarre benefici.
Sfortunatamente venne poi in seguito esportato in massa in occidente, dove fra l'altro c'è il brutto vizio del mercanteggiare titoli, gradi e cinture, con preparazioni scarse ma con triliardesimo dan venduto a buon prezzo (in USA certi posti vengono chiamati "McDojo").
La cosa peggiore, a prescindere dal vendere gradi o meno, è che tali gradi, supposti equivalenti all'abilità del praticante, richiedevano un programma tecnico consistente nel fare sequenze di mosse e vasche di posizioni/parate, però convincendo i praticanti che ripetendoli all'infinito sarebbero divenuti guerrieri invidiabili, e tale mentalità è diffusa anche nei posti "seri" non McDojo. In Giappone questo non dava troppi problemi perché c'era un'altra mentalità e si seguivano percorsi un po' diversi, ma in occidente da il La ad intere generazioni di illusioni e ingenuità.
Così arrivi a prendere la cintura nera 3° dan, ma la realtà è che il bulletto del quartiere ti può ancora pestare in tutta tranquillità se non hai mai preso neanche un pugno in palestra.
A contribuire alla "demarzializzazione" della disciplina, la variante sportiva particolare del karate si è diffusa sempre più, risultando però in un balletto dove due tizi saltellano e si danno toccatine al petto - pratica che a me personalmente fa venire l'orticaria, ma che comunque "rispetto" come attività sportiva (così come a me magari non piace nuotare a dorso ma rispetto lo stesso i suoi agonisti), finché viene presa come tale, e non mi viene un praticante di point karate a dirmi che con la sua agilità può battere agevolmente un pugile e stenderlo.
Però qualcuno che voleva fare incontri di karate dove ci si colpisse sul serio, perché vuole allenarsi per davvero nella cosiddetta "arte marziale" e riteneva imprescindibile il combattere per imparare a combattere, c'era: in Giappone negli anni '50, dove nacque lo stile detto kyokushinkai (da cui poi sono discese un sacco di altre varianti), e in America un decennio dopo, dove lo chiamavano full contact karate. Contenevano però ancora delle "bizzarrie", per esempio in alcuni contesti potevi pure fare il mega-giga-drill-punch al petto ma non potevi colpire sul volto per motivi poco chiari.
Da entrambi i casi però venne fuori una costola che non era arte marziale ma di nuovo sport da combattimento, solo a contatto pieno, e che dismisse la tunica, le cinture colorate e dopo un po' persino il nome (anche perché la federazione internazionale del karate sbroccava e non voleva che venisse chiamato karate con incontri del genere), ridusse il bagagliaio tecnico, dopo qualche periodo aggiunse pure i guantoni (andando di conseguenza a modificare alcune tecniche ed impostazioni per adattarle al ring) e fin dal principio iniziò ad allenare i praticanti concentrandosi sull'abituarsi a prenderle e darle per davvero, che era la cosa più importante. Nacque così la kickboxing.
Che può essere un'ottima integrazione a quelle poche scuole più tradizionali con buoni maestri che insegnano ancora tecniche e principi più vicini alla marzialità/difesa personale, anche se purtroppo non possono farlo al 100% perché i praticanti di solito sono studenti o impiegati che staccano dopo il lavoro per farsi due o tre orette leggere la settimana (e quindi ci si deve adattare a ciò che viene richiesto, con tempi mooolto lunghi).
In ogni caso, a conti fatti, l'idea di praticare karate per difendersi in questo "quasi mondo" prendendo ad esempio recenti fatti di cronaca o le risse in discoteca, va presa molto con le pinze, perché c'è un'elevata probabilità che non si troverà ciò che si cerca. Molto meglio essere intellettualmente onesti quindi e praticarlo come attività ludico-motoria con ben altri intenti, anzi, paradossalmente preferisco un agonista di point karate semi-contact ad un "tradizionalista" che disprezza il combattimento per saltelli senza contatto in quanto "irrealistico" ma crede che facendo decine e decine di kata diverrà un combattente coi controfiocchi.
In conclusione: fate MMA.