Infatti quello che succede nella linguistica moderna è proprio che ci si separa in due filoni di pensiero: una che guarda il lato storico, quasi scientifico, dell'evoluzione della lingua/dialetto, mentre l'altro filone guarda l'aspetto sociologico e statistico dell'applicazione di essa.
Ora, è sì vero che il sardo ha una derivazione latina, è realmente differente dall'italiano, etc., ma di fatto ciò che distingue un dialetto da una lingua è la scarsità di letteratura e la debita formazione di essa. Non è il caso del sardo, che vanta una letteratura risalente al medioevo, e fin qui ci siamo ma... non è anche questo un modo "statistico" di vedere la cosa? E allora perché, se le statistiche sono basate su una data condizione, non devo far sì che queste siano basate sulla condizione temporale, e quindi, su quella socio-statistica?
Personalmente, posso riconoscere che obiettivamente, a livello strutturale e quant'altro vi sia una formazione di tipo linguistico più che dialettale, ma non vedo perché si debba cristallizzare tali convinzioni nel tempo, in maniera quasi archeologica. Che utilità avrebbe riconoscere il sardo come lingua, in base a quella che è la sua struttura, e non come dialetto, in base a quello che è il suo reale, attuale utilizzo? Tutto qui.