Pyr3s ha scritto:
Ripeto: era proprio sull'impostazione dell'istruzione che battevo. Chiaro che le famiglie abbienti ci tenessero alla cultura, ma costituivano una netta minoranza della popolazione. Proprio il fatto che ancora esisteva lo schiavismo fa capire che tipo di società fosse. Non era proprio pensabile un'istruzione aperta a tutti. Mentre lo era sotto Carlo Magno, per cui già si può parlare di Stato Patrimoniale più che Stato Antico.
E' stato di fatto il cristianesimo ad estendere alle classi meno abbienti il modello greco di cui i Romani avevano già comunque ampliato il campo d'applicazione ; il tutto però ovviamente senza cancellare né la forma né la sostanza di tale sistema d'educazione.
Dico che è vigliacco perché al giorno d'oggi non possiamo davvero capire cosa significasse lo schiavismo greco e romano, influenzati come siamo dalle vulgate socialiste e umaniste, nonché dalle persistenti immagini sia degli schiavi neri negli Stati Uniti sia della sottomissione umana nell'Olocausto ; la Roma Antica aveva difatti un rispetto per la condizione degli schiavi e in generale per le popolazioni "sottomesse" che per noi è inimmaginabile. Son proprio delle categorie che non ci è dato capire fuori dal contesto storico specifico in cui erano date, e su cui dunque non ci è concesso di estendere i concetti che usiamo oggi.
Pyr3s ha scritto:
L'influsso greco nella cultura latina, come tu stesso ben dici, è innegabile, ma è altrettanto innegabile che buona parte della popolazione lo vedesse come un indebolimento, un infiacchimento del mos maiorum, cioé di quei principi antichi su cui si era, fino ad allora, basata la societas romana e che avevano funzionato da metro di giudizio per qualsiasi cosa, compresi i concetti di giustizia e quant'altro. Lo stesso tipo di dicotomia puoi ritrovarla negli odierni global e no-global.
Guarda, per quanto una certa resistenza all'eredità greca fosse presente nel popolo romano, la loro dipendenza e il loro rispetto per i modelli ellenistici è talmente forte e persistente in tutti i modelli politici e di pensiero dei Romani che non è possibile pensare proprio la Roma imperiale senza di essi. Lungi dal contestare o negare questi modelli, i Romani li hanno invece integrati con il loro senso pratico, democratizzando e popolarizzando dunque le ricerche teoretiche dei Greci.
Pyr3s ha scritto:
Chiaro che chi si dedicava alla cultura non veniva percepito come coglione, ma solo perché non era una cultura fine a sé stessa (otium) ma studi ben finalizzati ad una attività pratica, cioé al negotium (vedi Cicerone e i suoi studi di retorica). L'otium era un qualcosa per il tempo libero, e ancora oggi la parola ozio conserva quell'accezione. Era la cultura per la cultura, proprio come viene percepita oggi, a essere profondamente sdegnata.
Guarda, per me ti stai ancora arrovellando a sostenere una tesi che non si regge proprio in piedi. Ti basta pensare, in riferimento all'ultima frase, che la parola
cultura deriva dal latino e si riferisce proprio all'atto di coltivare, cioè all'attività fondamentale di un popolo agricolo quale era quello romano. Prova ad immaginare dunque se proprio loro potevano dare un'accezione negativa a questo termine !
Anzi, se bisogna andare proprio in fondo alle cose, la querelle contro la "cultura per la cultura" è un'eredità ben più greca che romana. Difatti è in Grecia che si era animata una stridente polemica tra i filosofi e i sofisti, i secondi accusati di essere perlopiù dei "collezionatori di sapere da vendere" : presso i Romani tale questione sparisce, forti di una maggiore valutazione della retorica che è andata poi a creare un suolo fertile per far sì che la teoresi greca potesse espandere la propria fecondazione.
L'otium e la cultura di sé erano dunque tutt'altro che considerati superflui o finalizzati al lavoro pubblico : al contrario, erano considerati un lavoro personale, necessariamente con nessun'altro fine che se stesso, e che doveva stare
accanto alle mansioni d'ogni giorno, non come sua propedeutica, ma come esercizio da fare semplicemente per coltivare se stessi. La prova è che tutti gli stoici romani, da Cicerone a Marco Aurelio, grandi rappresentanti del pensiero romano, oltre ai numerosi trattati di morale e di retorica hanno tutti regolarmente consacrato numerose ore e copiosi volumi alle proprie ricerche teoretiche.
Lontani dunque dalla discontinuità di una critica e di una polemica contro le attitudini greche, il rapporto dei romani nei confronti dei greci è sempre stato d'integrazione, tanto che al giorno d'oggi si parla indissolubilmente di "cultura ellenistico-romana". E' l'attitudine più corretta d'altronde a comprendere per una cultura "materna" come quella di un popolo legato alla cura della terra come i Romani, soprattutto nei confronti di una cultura marcatamente più maschile, come quella greca.