Veemon Tamer
Momentai
Ritorno con un ingresso un po' teatrale forse dopo un periodo di assenza sul forum, postando subito una fic a cui lavoro da poco... due giorni in effetti. Come forse si intuisce dal titolo è ispirata a Pokémon Mystery Dungeon, in particolare Esploratori del Cielo, gioco che adorerò in eternità =P
Se vi piace, sarò molto contento di accogliere i vostri commenti positivi, se vi sembra un cesso, sarò ugualmente contento dei vostri consigli per migliorarmi.
Non anticipo niente e buona lettura (spero)
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Explorers
Capitolo 1 – Metamorfosi
Ingurgitavo un'altra forchettata di spaghetti. Il peperoncino mi mandava la gola in fiamme. Adoro quella sensazione che pizzica la lingua come per stuzzicarmi ad aumentare la dose. Il sole estivo era bollente, il manto di foglie della quercia che faceva trapelare solo i raggi solari più insidiosi non era abbastanza per impedire che grondassi di sudore.
_Hai le lacrime agli occhi, Danny. Ti stai ingozzando come al solito._ Mia madre mi guardava attraverso la plastica deformante dell'ampolla dell'acqua dall'altro lato del tavolo.
Credo di aver trattenuto le risate, perché non era affatto convincente con il viso di un pesce palla. Eravamo io, lei, mio papà sulla destra - che comunque non si stava ingozzando meno di me – e nessun altro. La mia famigliola felice.
_Lascialo mangiare come gli pare, il cibo è un piacere. Finché non si ammazza può anche ingozzarsi._ e questo è mio papà. Decisamente diverso da mia mamma. Neanche lui era convincente mentre parlava con uno spaghetto che gli colava dalla bocca, prima che lo risucchiasse con il volto quasi inebriato dal gusto della pasta al ragù e peperoncino.
Ecco, mia mamma gli aveva rivolto quell'occhiataccia della serie “dovresti sostenermi quando cerco di educare mio figlio”.
A quel punto mi sono deciso a dire qualcosa, perché lo sapevo benissimo cosa aveva in testa mia mamma... E in effetti aveva ragione, solo che, andiamo, lo sappiamo tutti che piccole bugie ti salvano dai peggiori casini.
_Mamma non mi sto ingozzando perché ho qualcosa da fare. Non mi piace avere la roba in bocca quando ha già perso di sapore. È come bere l'acqua gasata che rimane sul fondo della bottiglia no? Niente bollicine._
_Te le prepari queste frasi o ti vengono così?_
Sì, era la stessa frase che usava il protagonista dell'ultimo fantasy che avevo letto. Ecco a cosa serve leggere. Non ad ampliare il tuo vocabolario come cercano di convincerti le maestre delle elementari quando leggi i tuoi primi brani.
_Vedi, ho anche il talento di essere originale._
_Ah, non lo mettevo in dubbio. Quindi cos'è che hai da fare?_
_Ma ho appena detto..._ Ecco. Gli occhi da mamma, a cui non puoi nascondere niente. Quelli che da un lato ti fanno arrabbiare, perché non può credere di sapere sempre tutto di te, dall'altro - ma non te ne accorgi subito – ti fanno sorridere perché in quegli occhi puoi leggere tutti gli anni che ha passato a crescerti, a volerti bene, il sentimento materno di quando ti allattava stretto al seno. Non era cambiato niente per lei. Ero io che vedevo – o almeno mi sembrava – il mondo in un continuo evolversi, io che non avevo il tempo di afferrare un attimo della mia vita e già mi sentivo un altro. 16 anni così. E poi ti giustifichi con un banale “È l'adolescenza”. _Ah... lo sai cosa devo fare. Vado da Henry._
Il suo gesto trionfale aveva anche atteso troppo. Aveva vinto lei, come sempre. “Ecco lo sapevo, visto che ho ragione io?” sembrava che le sue mani parlassero.
_Chiaramente. Ma il punto non è “vado da Henry”._
_Sì, sì lo so._ la interruppi prima che iniziasse la solita ramanzina. _“Perché non fate un giro in centro e vi muovete un po' invece che rinchiudervi in casa davanti a un videogioco?” Vero? Stavi per dire questo?_
_Ah adesso fai anche il simpatico?_
La imitai nel suo gesto di trionfo. Anche io conoscevo fin troppo bene mia madre.
_Ma te l'ho detto, noi usciamo, non stiamo sempre in casa. Solo che..._
_Che tu sei un appassionato di Pokémon e non posso capire cosa rappresentano per te. Vero? Stavi per dire questo._
_No, spiacente._ Potei cogliere con soddisfazione la sua espressione sorpresa. _Stavo per dire: solo che tu noti solo le cose che non ti vanno._
Mia madre alzò gli occhi al cielo, la tipica espressione di chi si sente dire sempre la stessa cosa. Insomma, quella che avrei dovuto assumere io in quel momento, non lei. Ma forse lo faceva solo perché l'avevo incastrata, non poteva replicare a un'accusa perfetta. Avrebbe inventato una storia per non ammetterlo. Anche ai genitori servono piccole bugie quando non vogliono perdere.
_Non è affatto così, lo sai. Perché quando telefono alla madre di Henry siete sempre in casa?_
_Ma quando? Scommetto che telefoni anche quando siamo fuori, solo che quelle volte non me le vieni a dire o te le dimentichi apposta._
_Dimentichi apposta?_ scoppiò in una risata che suonava di assurdo. _Ah perché si può dimenticare qualcosa apposta?_
_Sì._
_Ah sì?_
_Ad esempio dimenticherò in fretta questa discussione e ora andrò da Henry senza preoccuparmi di te che chiamerai Fiona per sapere se sono in casa._
Persino mio padre soffocò una risata e per poco non sputò la birra nel piatto. Mia madre fece finta di non accorgersene.
_Ah, te ne ricorderai molto presto, stanne sicuro._
_Non vedo l'ora. Ciao pa', ci sentiamo per telefono mamma._ Le feci un sorrisetto comico.
Mio papà salutò buttando giù in fretta un altro sorso di birra. _Ciao e fai baldoria!_ rivolse un'occhiata veloce a mia madre. _Non troppa ovviamente._ si corresse.
_Certo!_
Così ho aperto il solito cancellino del solito giardino della solita casa della solita giornata estiva. È vero, ho appena detto che il mondo cambiava continuamente. Ma non ho mai detto che per me era abbastanza. No, io volevo aggiungere qualcosa di speciale, di diverso a quella vita troppo normale. E non sapevo che forse desiderare troppo poteva essere rischioso.
Spaparanzato sul divano con il joystick in mano, mentre la testa affondava nel cuscino di piume. Non è un momento meraviglioso? Mi sentivo così, come se niente potesse turbarmi. La TV a schermo piatto di Henry mi accoglieva sempre come volevo.
_Ma muore questo coso o no?_ Henry si irritava sempre quando non riusciva ad ammazzare il nemico.
_Calmino. Arrivo io, lasciami sistemare questo tizio e... ah ecco. Beccati questa. Superefficace._
_Ma... è morto._
_Certo che è morto Henry, quella mossa era come una pugnalata nel petto. E tu non hai fatto altro che girargli intorno tutto il tempo._
Adoravo quando mi guardava senza capire, perché se c'era qualcosa in cui riuscivo bene e in cui potevo dominare sugli altri erano i giochi di Pokémon. Persino la sveglia a forma di gufo sullo scaffale mi guardava con i due occhioni spalancati, sbigottita.
_Ti ho mai chiesto a che serve una sveglia in soggiorno?_
_Ah..._ Henry si grattò la nuca, come se al momento la cosa sfuggisse persino a lui. _Per decorazione. Non mi ricordo nemmeno se è rotta. Tipo quelle cianfrusaglie con cui le nonne riempiono gli spazi vuoti._
_Le nonne?_ sua madre sbirciò dalla porta della cucina con aria offesa.
Henry grattò la testa più velocemente, stavolta con fare nervoso.
_No, dico... non ce l'ha mica regalata la nonna?_
_Non direi proprio. Io la trovo così carina._ ritornò in cucina. Forse preparava la merenda? Forse stava ad origliare ogni parola che dicevamo? Forse telefonava segretamente a mia madre? Non ci era dato saperlo.
_Un gufo spennacchiato._ sussurrò Henry appena si assicurò di essere fuori dalla portata delle sue orecchie.
_Sì... Henry ti sei accorto che stai morendo?_
_No, guarda ho ancora metà vita. Non mi sembri messo molto meglio._
_Sì ma io sono un tipo acqua. Tu sei un tipo drago, secondo te chi è a rischio contro un Mamoswine?_
_Io non... che? Non ci posso credere mi ha ucciso! Mi ha ucciso quel bastardo!_
_Ma dai? No, non te l'avevo detto! E se uno dei due muore, abbiamo finito di giocare._ la scritta GAME OVER invase lo schermo come una minaccia.
_Dai, andiamo a fare un giro, va'. Sarà meglio._ disse premendo il pulsante di spegnimento del telecomando.
Ci stava. Già a stare due ore davanti allo schermo, i miei muscoli non reagivano più. Sembrava che Henry avesse versato la supercolla sul divano e il mio corpo non avesse intenzione di muoversi. Diedi uno strattone spingendomi con le braccia per levarmi in piedi e stiracchiarmi com'ero solito.
_Dove andate?_ Fiona con l'orecchio vigile aveva colto le nostre intenzioni.
Henry mi guardò con un punto interrogativo stampato in fronte. Perché nessuno dei due aveva la minima idea di dove andare, ovviamente. Saremmo usciti, ci saremmo fermati da Report a prendere un gelato, Henry cioccolato e menta, io caffè con panna e tazzina di caffè – quello liquido e fumante – abbinata. Era quello che avevo immaginato, perché con quel caldo morivo dalla voglia di un gelato e dal momento che sapevo già di sudore non avevo intenzione di diffonderlo ulteriormente in casa di altri. E quanto avrei avuto voglia di una doccia prima del gelato, ma, be', avrei atteso di tornare a casa, mi sarei preparato per uscire la sera e saremmo andati a mangiare la pizza allo Zero Segreto, che pur avendo quel nome con il fascino di un codice criptato, non era affatto segreto, era la pizzeria più nota della città, almeno tra i giovani. E infine, il momento più atteso della giornata, discoteca, in cui avrei dovuto incontrare una gnocca da paura a cui facevo il filo da tipo due mesi e che sembrava avermi notato solo da poco. Meglio tardi che mai.
Ma non successe niente di tutto questo, perché non appena uscimmo dalla porta di casa, senza aver risposto alla madre di Henry, mi rimbalzò in testa una Poké Ball. “Una Poké Ball?” si chiederebbe chiunque. E infatti è quello che mi ero chiesto anche io. L'ho presa per un giocattolo, qualcuno che voleva prendermi per il culo, probabilmente, ma non ero arrabbiato, a parte per il bernoccolo in testa, ero anzi divertito. La Poké Ball precipitò sul marciapiede. Io mi aspettavo un rumore di plastica che si crepa, invece questa rimbalzò morbidamente e rotolò sulla strada. L'unica cosa a risuonare fu il mio “Ahi”.
_Ma che diamine di scherzo!_ Henry si voltò e alzò la testa ai piani alti del condominio, ma non vide nessuno sporgersi dalla finestra.
Un'auto stava per attraversare la via, la Poké Ball sull'asfalto scuro, passato di recente, che rivestiva la vecchia strada dissestata. L'avrebbe schiacciata come una scatola di cioccolatini, o essendo rotonda l'avrebbe semplicemente spinta via? Non me lo chiesi. Non so per quale strano motivo, ma improvvisamente sentii che dovevo salvare quella Poké Ball. Quando la vettura era ormai quasi di fronte a me mi lanciai in quella folle rincorsa, come un raccattapalle in un match di tennis, che scatta davanti alla rete per recuperare la pallina a punto finito. Era uno slancio da staffettista, mi sentii addirittura potente. Il sogno finì quando l'auto mi investì in pieno e l'ultima cosa che udii fu Henry che gridava.
_Danny!_
Allora mi sentii un idiota masochista e non capii cosa mi fosse preso, per quel che riuscivo a pensare in un momento del genere, cioè l'attimo prima di perdere i sensi per il dolore.
Ero vivo. Mentre giacevo sdraiato, ad occhi chiusi, fu il mio unico pensiero. Forse non è la domanda che tutti si farebbero appena recuperati i sensi, eppure fu la prima che sfiorò la mia mente, prima ancora di prendere coscienza del corpo. Quando presi coscienza del corpo iniziarono i problemi e non fui più sicuro di essere vivo. Non mi sentivo più me. Era una sensazione stranissima, o direi indescrivibile per chi non l'ha mai provata, cioè il resto dell'umanità. Le mie gambe non c'erano più, o meglio erano mozze. Le mie braccia sembravano due pezzi di gesso attaccati al corpo. La mia testa pulsava. Il mio respiro era diverso, il contatto tra le mie labbra e e il sapore del mio palato erano diversi, i miei denti non esistevano, le mie palpebre sembravano così grandi che credevo mi avessero forato la faccia per allargarmi gli occhi. Il mio torace era disgustosamente compresso dentro a una sorta di scatola, come pure l'addome, che non mi era mai sembrato così un pezzo unico con il torace stesso. Era come se mi avessero accartocciato e incassato. Come se non bastasse sentivo un fastidio al fondo schiena, qualcosa che sguinzagliava come un sensore a destra e manca ad ogni mio pensiero. Il nostro corpo è costituito in gran parte da acqua è vero, eppure non mi ero mai sentito così umido. Sentivo il fango gorgogliarmi nello stomaco e una sorta di gelatina spalmata sulla pelle. Eppure, essendo girato sul fianco e avendo le due “braccia”, se così potevo definirle, a contatto, constatavo che in realtà era asciutta. Liscia. Incredibilmente liscia. Un qualcosa mi sfiorò la guancia.
_Forse è morto._ sentii una voce di un ragazzo.
Piegai quel che restava delle mie dita, che credevo anch'esse mozzate, e strinsi la sabbia. C'era odore di mare. Potevo distinguere il suono delle onde che si infrangevano sulla spiaggia e si ritiravano nella risacca. Dolce e rilassante. Ma non per me. Mi faceva impazzire ancora di più. Era il momento di aprire gli occhi? Dovevo proprio farlo?
_Guarda, ha mosso una zampa!_ stavolta fu una ragazza a parlare.
_Allora è vivo!_
Un momento. Una zampa?!?
_Una zampa?!?_ Mi svegliai di soprassalto saltando in piedi, perché non potevo piegare le gambe per sedermi.
Pensavo di avere le allucinazioni. O forse non mi ero svegliato, no. Quell'incidente doveva avermi addormentato in modo anomalo. O forse ero morto? Quello era l'aldilà? Stava di fatto che mi trovai all'altezza di meno di un metro, con due esseri di fronte che somigliavano in maniera veramente realistica e impressionante a un Cyndaquil e un Chikorita. Sullo sfondo una spiaggia, il mare, i promontori rocciosi della costa. Lui, una specie di toporagno dagli occhi ridotti a fessure ricurve, il petto chiaro, tendente al giallo, una sottile peluria scura sul dorso, nera dai riflessi verdi. Sulla schiena quattro fori, nei quali si intravedeva una fioca luce rossa come di brace incandescente. Detta così è orribile, ma se conosceste il Pokémon vi accorgereste che è piuttosto tenero. Sì, tenero come animale da compagnia però, non come essere parlante che forse ti ha appena salvato la vita. Lei... detta in parole povere si potrebbe definire uno schizzo riuscito male di un cane verde vagamente a forma di pera, come il disegno di un bambino dell'asilo, con una grande foglia in testa, che scivolava alle sue spalle a mo' di velo da sposa. Due occhioni rossi, ma dolci, non iniettati di sangue, mi guardavano colmi di emozione e una bocca da criceto si apriva in un sorriso sdentato, mentre un collare di germogli conficcati nella pelle le donava tutto il suo incanto. Ok, forse ho appena descritto il fantasma di mia suocera – anche se ovviamente non ho una suocera –, ma potrei fare lo stesso discorso che ho fatto per Cyndaquil.
Ma il bello doveva ancora arrivare. Il bello ero io. Mi guardai dalla punta dei piedi a dove il mio sguardo riusciva ad arrivare. Un guscio di tartaruga sporgeva come un panciotto, giallo, a sezioni poligonali, mentre due tozze paia di zampe azzurre spuntavano dal mio corpo, due ai fianchi e due in basso. E in quel momento compresi con orrore che ciò che si scatenava sul mio didietro era una coda. Sapevo benissimo cosa ero diventato, ma non volevo crederci: ero un Pokémon, anzi, ero uno Squirtle!
_Una... zampa, sì._ rispose Cyndaquil perplesso, con l'aria da chi si sta chiedendo se avessi perso la memoria e fossi impazzito. Dovevo avere una faccia disperata che suggeriva entrambe le cose.
Io mi misi le mani alla testa, o meglio, quei tre abbozzi di dita che avevo, schifandomi da solo per il contatto con i miei stessi arti e gridai con tutta la forza che avevo in gola: _GAME OVER!_
La vista mi si stava annebbiando e stavo perdendo l'equilibrio all'indietro. Insomma stavo per finire come una tartaruga a pancia all'aria. Se non che la coda si attivò quasi come un organo indipendente e mi sostenne come un bastone per gli anziani.
_Ehi, amico? Mi sa che non ti sei ancora ripreso del tutto. Forse è meglio che ti corichi. Chiamiamo un pronto soccorso o non so..._
La vista mi tornò. Le mie gambe avevano la tremarella e avevo ripreso a grondare di sudore, sudore freddo. Adesso la mia pelle era umida sul serio. Avevo appena scoperto che anche gli Squirtle sudavano e mi stavo chiedendo come potessi soffermarmi su un pensiero del genere.
_Oh sì, ho bisogno di un dottore. Decisamente bisogno di un dottore._
Anche Chikorita ora mi guardava storto. _Sembri a posto... fisicamente. Sei scappato da un manicomio?_
_Forse è schizofrenico._ suggerì l'altro.
_Cazzo, Cyndaquil, possibile che ti sembri tutto normale?_
_Ehi, sa il mio nome!_
Era troppo. Mi trattavano come un pazzo, come forse effettivamente ero, ma a me gli ebeti sembravano loro.
_Ci conosciamo?_ mi chiese.
_No. No, grazie a Dio non ti ho mai visto prima di oggi. Tutti e due._
_Non devi per forza farmi notare che non mi sono pettinata la foglia! Sono così terribile?_ Chikorita iniziò ad agitare la foglia sulla testa a casaccio, probabilmente malediceva di non avere uno specchio.
_No, ma chi ti credi di essere? Noi eravamo venuti ad aiutarti._ Cyndaquil sembrava seriamente indispettito.
_Che... che balordo posto è questo?_ io stavo solo cercando di capirci qualcosa, non sapendo da dove partire. Avevo retto fin troppo bene quella metamorfosi.
Cyndaquil si voltò dando le spalle al mare e indicò ciò che aveva di fronte. Dei viottoli composti da pietre levigate in superficie si snodavano all'interno di un piccolo villaggio. Nemmeno quello era normale. Le case erano irregolari, tondeggianti, i tetti spioventi, rigonfi per mantenere la forma curvilinea, sembravano un incrocio tra quelle dei Puffi e quella della strega di Hansel e Gretel, dai colori tra il bianco, giallo, rosa e arancione sgargianti. Spruzzi di verde qua e là di una vegetazione incolta, tra cespugli ed alberi da frutto.
_Ok, è uno scherzo. Avete preparato tutto, ditemi che è così!_
Chikorita e Cyndaquil mi guardarono, poi si guardarono tra di loro e scossero la testa.
_È andato._ decretò Cikorita.
_No, aspetta, Chikorita. Tu mi sembri più sveglia._ e lei non nascose la sorpresa a sentirsi chiamata per nome. _Lo so che sembro pazzo, ma non lo sono... O forse sì, non lo so più. Sta di fatto che prima di svegliarmi in questo... questo... paese delle fiabe, ero un essere umano e vivevo in un mondo normale. Capisci? Un ragazzo di 16 anni che frequentava il liceo, usciva con gli amici, litigava con in genitori, tutte le cose che fanno i ragazzi normali. Questo posto non è normale!_
Chikorita annuì decisamente. _Sì sì. È andato._
Io mi conficcai le unghie che non avevo in fronte e graffiai il viso fino al mento passando attraverso le palpebre degli occhi enormi.
_Un umano?_ una voce alle mie spalle. _Roba da matti._ era la voce di un anziano.
Mi girai per trovare un vecchio Alakazam, il doppio di me, le rughe che segnavano il volto tra il volpino e il caprino. Alakazam aveva due sorta di corna a mo di orecchie, il corto pelo giallo senape che gli rivestiva l'intero corpo e scendeva sotto forma di lunghi baffi dal muso, prima stretti e compatti, come in una treccia, poi, all'estremità, sciolti come uno scopino della polvere. Una sorta di armatura marrone scuro gli proteggeva le spalle e il torace, e la stessa si poteva ritrovare sulle braccia come polsini e sulle gambe come ginocchiere. Le mani, o zampe, erano dotate di sole tre dita – almeno lui aveva le dita – che reggevano due cucchiai di metallo da minestrone, mentre le zampe posteriori, su cui si reggeva, essendo bipede, avevano due artigli sul lato frontale, e uno sul retro, sui talloni.
_Alakazam!_ lo salutò Cyndaquil.
_Bah, e io cosa dovrei dire di voi Pokémon?_ chiesi io rispondendo alla provocazione del vecchio. La sensazione che cominciavo quasi a farmi una ragione che ormai ero finito lì mi terrorizzava.
_Ragazzino, qui non aspettarti di trovare altro._
Ero quasi tentato di rispondere che infatti non me lo sarei aspettato, ma preferii scacciare quell'idea e illudermi che Henry mi aspettava dietro l'angolo con l'antidoto per farmi tornare umano.
_Umani? Ma... Alakazam, che sono questi umani?_ Cydaquil domandò come se avesse nominato la cosa più strana del mondo.
_Esseri dell'altro mondo. Faccende che non ci riguardano._
Quando capii che gli umani non erano qualcosa di noto in quel villaggio dell'orrore e che Alakazam sembrava essere l'unico a conoscerli, vidi un barlume di speranza in quel vecchio rachitico che si reggeva a stento in piedi. Forse gli sarebbe servita la mia coda-bastone.
_Aspetta, tu sei l'unico qui che sa cos'è un umano? E mi credi? Devi aiutarmi._
_Oh, no, non ci pensare nemmeno._ Alakazam negò senza alcuna pietà, come se io fossi una mosca ronzante che lo aveva puntato e continuava a girargli attorno. Forse non sapeva nemmeno cos'era una mosca. Ero disperato, ero disposto anche a baciargli i piedi. Tanto più schifo di così non potevo provare.
_Ma... pensa di ritrovarti ad essere un umano da un giorno all'altro? Cosa faresti? Come puoi negarmelo?_
_Ma di cosa sta parlando?_ lo interruppe Chikorita, che ignorava del tutto l'argomento.
Alakazam fece spallucce. _Non ne ho idea._
Io diventai rosso – anzi, blu-violaceo – dalla rabbia.
_Che bugiardo figlio di puttana, sai benissimo di cosa sto parlando, te lo si legge negli occhi!_
Cyndaquil e Chikorita fecero un passo indietro, sconvolti.
Alakazam aggrottò la fronte. _Oh, ora mi hai proprio stufato._ e sparì in un lampo bianco, come se non ci fosse mai stato, mentre della polvere luminosa precipitava sulla sabbia come neve, dissolvendosi prima di toccare il suolo. La speranza che si affievoliva fino a svanire davanti ai miei occhi. A proposito, i miei occhi erano colmi di lacrime e non me ne ero nemmeno accorto. Fu Cyndaquil a farmelo notare.
_Ehi, amico! Stai piangendo? Non piangere per favore._
Io me ne resi conto, tastandomi le guance bagnate mentre il sapore del sale di una lacrima mi sfiorava le labbra e mi gettai a terra in ginocchio, scoppiando.
_Ehi, non fare così, andrà tutto bene!_
Guardavo la sabbia sperando che risalissero i granelli luminosi, così come erano scesi e Alakazam ricomparisse per mostrarmi la via di casa. Ma non successe nulla.
_Straniero, ci dispiace di averti trattato come forse non meritavi, ma solo quando è arrivato Alakazam ho capito che c'era qualcosa sotto di più grande di noi. Scusa se ti credevo matto._ provò a consolarmi Chikorita
_Ma io sono matto! Tutto questo non può essere vero! Voi siete un videogioco o un cartone animato, un gioco di carte! Tutto fuori che la realtà!_
Chikorita esitò un attimo. _Ma... perdonami, ma non capisco una parola di tutto quello che hai detto. Davvero non riesco a capire._
Mi rialzai e mi asciugai le lacrime a forza, prendendo qualche profondo respiro. Gli istanti sembravano lunghissimi.
_Vuoi davvero aiutarmi?_
Chikorita annuì.
_Certo che ti aiutiamo!_ così anche Cyndaquil mi offrì il suo appoggio.
Io non sapevo bene se facevo la cosa giusta, ma era l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi.
_Allora portatemi da Alakazam._
Gli sguardi dei due si spensero. Si guardarono in una muta intesa come a chiedersi “Parlo io o parli tu?”
Cyndaqui si propose. _Vedi, lo farei molto volentieri, il fatto è che... Alakazam non è una presenza fissa qui al villaggio. Lui va e viene con il Teletrasporto. Si dice che sia molto saggio, ma ha anche un caratteraccio, per giunta. Quindi se lo trovassimo, è comunque improbabile che sarebbe disposto a darti una mano. E io non saprei proprio dove cercarlo._
Io mi buttai definitivamente giù, con un sospiro. Quei due Pokémon sembravano davvero gentili, anche se fatti a modo loro. Forse avrei potuto resistere un po', in attesa che Alakazam ricomparisse. Dovevo essere forte. Potevo farcela, in fondo poteva andarmi peggio. Non ero finito in Transilvania in un covo di vampiri. Diamine, ero nel mondo dei Pokémon! Non era quello che avevo sempre sognato? Così presi tutto il mio coraggio e dissi: _Ok, abitanti del mondo di Pokémon. Ora sono uno di voi. E alloggerò in questo villaggio. Mostratemi la via._ mi sentii un tantino scemo quando i due mi guardarono di nuovo come quando mi credevano pazzo.
_Puoi stare da me._ rispose Cyndaquil cercando di sorridere.
_Oh giusto io... già, dovrò pagarti l'affitto..._
_Oh no. Se sei di un altro mondo non credo che tu abbia soldi._
Aveva colto al volo il problema. Quel Cyndaquil aveva un cuore d'oro.
_Quindi posso stare... nel senso, gratis? Oh, Cynda, ti adoro! Grazie! Non sai quanto significa per me!_
_Cynda?_
_Oh... eh... posso darti un nick?_
_Un..._
_Un soprannome, insomma._ forse l'avevo detto un po' spazientito, per cui mi ricomposi in un sorriso.
_Ah sì, sì. Solo non mi aspettavo tanta confidenza da subito, dopo che mi hai dato dell'ebete._
_L'ho detto?_
_L'ha detto?_ Cynda si rivolse a Chikorita.
_No._ Chikorita mi guardava con occhi curiosi. _Credo l'abbia pensato._
_Hai le lacrime agli occhi, Danny. Ti stai ingozzando come al solito._ Mia madre mi guardava attraverso la plastica deformante dell'ampolla dell'acqua dall'altro lato del tavolo.
Credo di aver trattenuto le risate, perché non era affatto convincente con il viso di un pesce palla. Eravamo io, lei, mio papà sulla destra - che comunque non si stava ingozzando meno di me – e nessun altro. La mia famigliola felice.
_Lascialo mangiare come gli pare, il cibo è un piacere. Finché non si ammazza può anche ingozzarsi._ e questo è mio papà. Decisamente diverso da mia mamma. Neanche lui era convincente mentre parlava con uno spaghetto che gli colava dalla bocca, prima che lo risucchiasse con il volto quasi inebriato dal gusto della pasta al ragù e peperoncino.
Ecco, mia mamma gli aveva rivolto quell'occhiataccia della serie “dovresti sostenermi quando cerco di educare mio figlio”.
A quel punto mi sono deciso a dire qualcosa, perché lo sapevo benissimo cosa aveva in testa mia mamma... E in effetti aveva ragione, solo che, andiamo, lo sappiamo tutti che piccole bugie ti salvano dai peggiori casini.
_Mamma non mi sto ingozzando perché ho qualcosa da fare. Non mi piace avere la roba in bocca quando ha già perso di sapore. È come bere l'acqua gasata che rimane sul fondo della bottiglia no? Niente bollicine._
_Te le prepari queste frasi o ti vengono così?_
Sì, era la stessa frase che usava il protagonista dell'ultimo fantasy che avevo letto. Ecco a cosa serve leggere. Non ad ampliare il tuo vocabolario come cercano di convincerti le maestre delle elementari quando leggi i tuoi primi brani.
_Vedi, ho anche il talento di essere originale._
_Ah, non lo mettevo in dubbio. Quindi cos'è che hai da fare?_
_Ma ho appena detto..._ Ecco. Gli occhi da mamma, a cui non puoi nascondere niente. Quelli che da un lato ti fanno arrabbiare, perché non può credere di sapere sempre tutto di te, dall'altro - ma non te ne accorgi subito – ti fanno sorridere perché in quegli occhi puoi leggere tutti gli anni che ha passato a crescerti, a volerti bene, il sentimento materno di quando ti allattava stretto al seno. Non era cambiato niente per lei. Ero io che vedevo – o almeno mi sembrava – il mondo in un continuo evolversi, io che non avevo il tempo di afferrare un attimo della mia vita e già mi sentivo un altro. 16 anni così. E poi ti giustifichi con un banale “È l'adolescenza”. _Ah... lo sai cosa devo fare. Vado da Henry._
Il suo gesto trionfale aveva anche atteso troppo. Aveva vinto lei, come sempre. “Ecco lo sapevo, visto che ho ragione io?” sembrava che le sue mani parlassero.
_Chiaramente. Ma il punto non è “vado da Henry”._
_Sì, sì lo so._ la interruppi prima che iniziasse la solita ramanzina. _“Perché non fate un giro in centro e vi muovete un po' invece che rinchiudervi in casa davanti a un videogioco?” Vero? Stavi per dire questo?_
_Ah adesso fai anche il simpatico?_
La imitai nel suo gesto di trionfo. Anche io conoscevo fin troppo bene mia madre.
_Ma te l'ho detto, noi usciamo, non stiamo sempre in casa. Solo che..._
_Che tu sei un appassionato di Pokémon e non posso capire cosa rappresentano per te. Vero? Stavi per dire questo._
_No, spiacente._ Potei cogliere con soddisfazione la sua espressione sorpresa. _Stavo per dire: solo che tu noti solo le cose che non ti vanno._
Mia madre alzò gli occhi al cielo, la tipica espressione di chi si sente dire sempre la stessa cosa. Insomma, quella che avrei dovuto assumere io in quel momento, non lei. Ma forse lo faceva solo perché l'avevo incastrata, non poteva replicare a un'accusa perfetta. Avrebbe inventato una storia per non ammetterlo. Anche ai genitori servono piccole bugie quando non vogliono perdere.
_Non è affatto così, lo sai. Perché quando telefono alla madre di Henry siete sempre in casa?_
_Ma quando? Scommetto che telefoni anche quando siamo fuori, solo che quelle volte non me le vieni a dire o te le dimentichi apposta._
_Dimentichi apposta?_ scoppiò in una risata che suonava di assurdo. _Ah perché si può dimenticare qualcosa apposta?_
_Sì._
_Ah sì?_
_Ad esempio dimenticherò in fretta questa discussione e ora andrò da Henry senza preoccuparmi di te che chiamerai Fiona per sapere se sono in casa._
Persino mio padre soffocò una risata e per poco non sputò la birra nel piatto. Mia madre fece finta di non accorgersene.
_Ah, te ne ricorderai molto presto, stanne sicuro._
_Non vedo l'ora. Ciao pa', ci sentiamo per telefono mamma._ Le feci un sorrisetto comico.
Mio papà salutò buttando giù in fretta un altro sorso di birra. _Ciao e fai baldoria!_ rivolse un'occhiata veloce a mia madre. _Non troppa ovviamente._ si corresse.
_Certo!_
Così ho aperto il solito cancellino del solito giardino della solita casa della solita giornata estiva. È vero, ho appena detto che il mondo cambiava continuamente. Ma non ho mai detto che per me era abbastanza. No, io volevo aggiungere qualcosa di speciale, di diverso a quella vita troppo normale. E non sapevo che forse desiderare troppo poteva essere rischioso.
Spaparanzato sul divano con il joystick in mano, mentre la testa affondava nel cuscino di piume. Non è un momento meraviglioso? Mi sentivo così, come se niente potesse turbarmi. La TV a schermo piatto di Henry mi accoglieva sempre come volevo.
_Ma muore questo coso o no?_ Henry si irritava sempre quando non riusciva ad ammazzare il nemico.
_Calmino. Arrivo io, lasciami sistemare questo tizio e... ah ecco. Beccati questa. Superefficace._
_Ma... è morto._
_Certo che è morto Henry, quella mossa era come una pugnalata nel petto. E tu non hai fatto altro che girargli intorno tutto il tempo._
Adoravo quando mi guardava senza capire, perché se c'era qualcosa in cui riuscivo bene e in cui potevo dominare sugli altri erano i giochi di Pokémon. Persino la sveglia a forma di gufo sullo scaffale mi guardava con i due occhioni spalancati, sbigottita.
_Ti ho mai chiesto a che serve una sveglia in soggiorno?_
_Ah..._ Henry si grattò la nuca, come se al momento la cosa sfuggisse persino a lui. _Per decorazione. Non mi ricordo nemmeno se è rotta. Tipo quelle cianfrusaglie con cui le nonne riempiono gli spazi vuoti._
_Le nonne?_ sua madre sbirciò dalla porta della cucina con aria offesa.
Henry grattò la testa più velocemente, stavolta con fare nervoso.
_No, dico... non ce l'ha mica regalata la nonna?_
_Non direi proprio. Io la trovo così carina._ ritornò in cucina. Forse preparava la merenda? Forse stava ad origliare ogni parola che dicevamo? Forse telefonava segretamente a mia madre? Non ci era dato saperlo.
_Un gufo spennacchiato._ sussurrò Henry appena si assicurò di essere fuori dalla portata delle sue orecchie.
_Sì... Henry ti sei accorto che stai morendo?_
_No, guarda ho ancora metà vita. Non mi sembri messo molto meglio._
_Sì ma io sono un tipo acqua. Tu sei un tipo drago, secondo te chi è a rischio contro un Mamoswine?_
_Io non... che? Non ci posso credere mi ha ucciso! Mi ha ucciso quel bastardo!_
_Ma dai? No, non te l'avevo detto! E se uno dei due muore, abbiamo finito di giocare._ la scritta GAME OVER invase lo schermo come una minaccia.
_Dai, andiamo a fare un giro, va'. Sarà meglio._ disse premendo il pulsante di spegnimento del telecomando.
Ci stava. Già a stare due ore davanti allo schermo, i miei muscoli non reagivano più. Sembrava che Henry avesse versato la supercolla sul divano e il mio corpo non avesse intenzione di muoversi. Diedi uno strattone spingendomi con le braccia per levarmi in piedi e stiracchiarmi com'ero solito.
_Dove andate?_ Fiona con l'orecchio vigile aveva colto le nostre intenzioni.
Henry mi guardò con un punto interrogativo stampato in fronte. Perché nessuno dei due aveva la minima idea di dove andare, ovviamente. Saremmo usciti, ci saremmo fermati da Report a prendere un gelato, Henry cioccolato e menta, io caffè con panna e tazzina di caffè – quello liquido e fumante – abbinata. Era quello che avevo immaginato, perché con quel caldo morivo dalla voglia di un gelato e dal momento che sapevo già di sudore non avevo intenzione di diffonderlo ulteriormente in casa di altri. E quanto avrei avuto voglia di una doccia prima del gelato, ma, be', avrei atteso di tornare a casa, mi sarei preparato per uscire la sera e saremmo andati a mangiare la pizza allo Zero Segreto, che pur avendo quel nome con il fascino di un codice criptato, non era affatto segreto, era la pizzeria più nota della città, almeno tra i giovani. E infine, il momento più atteso della giornata, discoteca, in cui avrei dovuto incontrare una gnocca da paura a cui facevo il filo da tipo due mesi e che sembrava avermi notato solo da poco. Meglio tardi che mai.
Ma non successe niente di tutto questo, perché non appena uscimmo dalla porta di casa, senza aver risposto alla madre di Henry, mi rimbalzò in testa una Poké Ball. “Una Poké Ball?” si chiederebbe chiunque. E infatti è quello che mi ero chiesto anche io. L'ho presa per un giocattolo, qualcuno che voleva prendermi per il culo, probabilmente, ma non ero arrabbiato, a parte per il bernoccolo in testa, ero anzi divertito. La Poké Ball precipitò sul marciapiede. Io mi aspettavo un rumore di plastica che si crepa, invece questa rimbalzò morbidamente e rotolò sulla strada. L'unica cosa a risuonare fu il mio “Ahi”.
_Ma che diamine di scherzo!_ Henry si voltò e alzò la testa ai piani alti del condominio, ma non vide nessuno sporgersi dalla finestra.
Un'auto stava per attraversare la via, la Poké Ball sull'asfalto scuro, passato di recente, che rivestiva la vecchia strada dissestata. L'avrebbe schiacciata come una scatola di cioccolatini, o essendo rotonda l'avrebbe semplicemente spinta via? Non me lo chiesi. Non so per quale strano motivo, ma improvvisamente sentii che dovevo salvare quella Poké Ball. Quando la vettura era ormai quasi di fronte a me mi lanciai in quella folle rincorsa, come un raccattapalle in un match di tennis, che scatta davanti alla rete per recuperare la pallina a punto finito. Era uno slancio da staffettista, mi sentii addirittura potente. Il sogno finì quando l'auto mi investì in pieno e l'ultima cosa che udii fu Henry che gridava.
_Danny!_
Allora mi sentii un idiota masochista e non capii cosa mi fosse preso, per quel che riuscivo a pensare in un momento del genere, cioè l'attimo prima di perdere i sensi per il dolore.
Ero vivo. Mentre giacevo sdraiato, ad occhi chiusi, fu il mio unico pensiero. Forse non è la domanda che tutti si farebbero appena recuperati i sensi, eppure fu la prima che sfiorò la mia mente, prima ancora di prendere coscienza del corpo. Quando presi coscienza del corpo iniziarono i problemi e non fui più sicuro di essere vivo. Non mi sentivo più me. Era una sensazione stranissima, o direi indescrivibile per chi non l'ha mai provata, cioè il resto dell'umanità. Le mie gambe non c'erano più, o meglio erano mozze. Le mie braccia sembravano due pezzi di gesso attaccati al corpo. La mia testa pulsava. Il mio respiro era diverso, il contatto tra le mie labbra e e il sapore del mio palato erano diversi, i miei denti non esistevano, le mie palpebre sembravano così grandi che credevo mi avessero forato la faccia per allargarmi gli occhi. Il mio torace era disgustosamente compresso dentro a una sorta di scatola, come pure l'addome, che non mi era mai sembrato così un pezzo unico con il torace stesso. Era come se mi avessero accartocciato e incassato. Come se non bastasse sentivo un fastidio al fondo schiena, qualcosa che sguinzagliava come un sensore a destra e manca ad ogni mio pensiero. Il nostro corpo è costituito in gran parte da acqua è vero, eppure non mi ero mai sentito così umido. Sentivo il fango gorgogliarmi nello stomaco e una sorta di gelatina spalmata sulla pelle. Eppure, essendo girato sul fianco e avendo le due “braccia”, se così potevo definirle, a contatto, constatavo che in realtà era asciutta. Liscia. Incredibilmente liscia. Un qualcosa mi sfiorò la guancia.
_Forse è morto._ sentii una voce di un ragazzo.
Piegai quel che restava delle mie dita, che credevo anch'esse mozzate, e strinsi la sabbia. C'era odore di mare. Potevo distinguere il suono delle onde che si infrangevano sulla spiaggia e si ritiravano nella risacca. Dolce e rilassante. Ma non per me. Mi faceva impazzire ancora di più. Era il momento di aprire gli occhi? Dovevo proprio farlo?
_Guarda, ha mosso una zampa!_ stavolta fu una ragazza a parlare.
_Allora è vivo!_
Un momento. Una zampa?!?
_Una zampa?!?_ Mi svegliai di soprassalto saltando in piedi, perché non potevo piegare le gambe per sedermi.
Pensavo di avere le allucinazioni. O forse non mi ero svegliato, no. Quell'incidente doveva avermi addormentato in modo anomalo. O forse ero morto? Quello era l'aldilà? Stava di fatto che mi trovai all'altezza di meno di un metro, con due esseri di fronte che somigliavano in maniera veramente realistica e impressionante a un Cyndaquil e un Chikorita. Sullo sfondo una spiaggia, il mare, i promontori rocciosi della costa. Lui, una specie di toporagno dagli occhi ridotti a fessure ricurve, il petto chiaro, tendente al giallo, una sottile peluria scura sul dorso, nera dai riflessi verdi. Sulla schiena quattro fori, nei quali si intravedeva una fioca luce rossa come di brace incandescente. Detta così è orribile, ma se conosceste il Pokémon vi accorgereste che è piuttosto tenero. Sì, tenero come animale da compagnia però, non come essere parlante che forse ti ha appena salvato la vita. Lei... detta in parole povere si potrebbe definire uno schizzo riuscito male di un cane verde vagamente a forma di pera, come il disegno di un bambino dell'asilo, con una grande foglia in testa, che scivolava alle sue spalle a mo' di velo da sposa. Due occhioni rossi, ma dolci, non iniettati di sangue, mi guardavano colmi di emozione e una bocca da criceto si apriva in un sorriso sdentato, mentre un collare di germogli conficcati nella pelle le donava tutto il suo incanto. Ok, forse ho appena descritto il fantasma di mia suocera – anche se ovviamente non ho una suocera –, ma potrei fare lo stesso discorso che ho fatto per Cyndaquil.
Ma il bello doveva ancora arrivare. Il bello ero io. Mi guardai dalla punta dei piedi a dove il mio sguardo riusciva ad arrivare. Un guscio di tartaruga sporgeva come un panciotto, giallo, a sezioni poligonali, mentre due tozze paia di zampe azzurre spuntavano dal mio corpo, due ai fianchi e due in basso. E in quel momento compresi con orrore che ciò che si scatenava sul mio didietro era una coda. Sapevo benissimo cosa ero diventato, ma non volevo crederci: ero un Pokémon, anzi, ero uno Squirtle!
_Una... zampa, sì._ rispose Cyndaquil perplesso, con l'aria da chi si sta chiedendo se avessi perso la memoria e fossi impazzito. Dovevo avere una faccia disperata che suggeriva entrambe le cose.
Io mi misi le mani alla testa, o meglio, quei tre abbozzi di dita che avevo, schifandomi da solo per il contatto con i miei stessi arti e gridai con tutta la forza che avevo in gola: _GAME OVER!_
La vista mi si stava annebbiando e stavo perdendo l'equilibrio all'indietro. Insomma stavo per finire come una tartaruga a pancia all'aria. Se non che la coda si attivò quasi come un organo indipendente e mi sostenne come un bastone per gli anziani.
_Ehi, amico? Mi sa che non ti sei ancora ripreso del tutto. Forse è meglio che ti corichi. Chiamiamo un pronto soccorso o non so..._
La vista mi tornò. Le mie gambe avevano la tremarella e avevo ripreso a grondare di sudore, sudore freddo. Adesso la mia pelle era umida sul serio. Avevo appena scoperto che anche gli Squirtle sudavano e mi stavo chiedendo come potessi soffermarmi su un pensiero del genere.
_Oh sì, ho bisogno di un dottore. Decisamente bisogno di un dottore._
Anche Chikorita ora mi guardava storto. _Sembri a posto... fisicamente. Sei scappato da un manicomio?_
_Forse è schizofrenico._ suggerì l'altro.
_Cazzo, Cyndaquil, possibile che ti sembri tutto normale?_
_Ehi, sa il mio nome!_
Era troppo. Mi trattavano come un pazzo, come forse effettivamente ero, ma a me gli ebeti sembravano loro.
_Ci conosciamo?_ mi chiese.
_No. No, grazie a Dio non ti ho mai visto prima di oggi. Tutti e due._
_Non devi per forza farmi notare che non mi sono pettinata la foglia! Sono così terribile?_ Chikorita iniziò ad agitare la foglia sulla testa a casaccio, probabilmente malediceva di non avere uno specchio.
_No, ma chi ti credi di essere? Noi eravamo venuti ad aiutarti._ Cyndaquil sembrava seriamente indispettito.
_Che... che balordo posto è questo?_ io stavo solo cercando di capirci qualcosa, non sapendo da dove partire. Avevo retto fin troppo bene quella metamorfosi.
Cyndaquil si voltò dando le spalle al mare e indicò ciò che aveva di fronte. Dei viottoli composti da pietre levigate in superficie si snodavano all'interno di un piccolo villaggio. Nemmeno quello era normale. Le case erano irregolari, tondeggianti, i tetti spioventi, rigonfi per mantenere la forma curvilinea, sembravano un incrocio tra quelle dei Puffi e quella della strega di Hansel e Gretel, dai colori tra il bianco, giallo, rosa e arancione sgargianti. Spruzzi di verde qua e là di una vegetazione incolta, tra cespugli ed alberi da frutto.
_Ok, è uno scherzo. Avete preparato tutto, ditemi che è così!_
Chikorita e Cyndaquil mi guardarono, poi si guardarono tra di loro e scossero la testa.
_È andato._ decretò Cikorita.
_No, aspetta, Chikorita. Tu mi sembri più sveglia._ e lei non nascose la sorpresa a sentirsi chiamata per nome. _Lo so che sembro pazzo, ma non lo sono... O forse sì, non lo so più. Sta di fatto che prima di svegliarmi in questo... questo... paese delle fiabe, ero un essere umano e vivevo in un mondo normale. Capisci? Un ragazzo di 16 anni che frequentava il liceo, usciva con gli amici, litigava con in genitori, tutte le cose che fanno i ragazzi normali. Questo posto non è normale!_
Chikorita annuì decisamente. _Sì sì. È andato._
Io mi conficcai le unghie che non avevo in fronte e graffiai il viso fino al mento passando attraverso le palpebre degli occhi enormi.
_Un umano?_ una voce alle mie spalle. _Roba da matti._ era la voce di un anziano.
Mi girai per trovare un vecchio Alakazam, il doppio di me, le rughe che segnavano il volto tra il volpino e il caprino. Alakazam aveva due sorta di corna a mo di orecchie, il corto pelo giallo senape che gli rivestiva l'intero corpo e scendeva sotto forma di lunghi baffi dal muso, prima stretti e compatti, come in una treccia, poi, all'estremità, sciolti come uno scopino della polvere. Una sorta di armatura marrone scuro gli proteggeva le spalle e il torace, e la stessa si poteva ritrovare sulle braccia come polsini e sulle gambe come ginocchiere. Le mani, o zampe, erano dotate di sole tre dita – almeno lui aveva le dita – che reggevano due cucchiai di metallo da minestrone, mentre le zampe posteriori, su cui si reggeva, essendo bipede, avevano due artigli sul lato frontale, e uno sul retro, sui talloni.
_Alakazam!_ lo salutò Cyndaquil.
_Bah, e io cosa dovrei dire di voi Pokémon?_ chiesi io rispondendo alla provocazione del vecchio. La sensazione che cominciavo quasi a farmi una ragione che ormai ero finito lì mi terrorizzava.
_Ragazzino, qui non aspettarti di trovare altro._
Ero quasi tentato di rispondere che infatti non me lo sarei aspettato, ma preferii scacciare quell'idea e illudermi che Henry mi aspettava dietro l'angolo con l'antidoto per farmi tornare umano.
_Umani? Ma... Alakazam, che sono questi umani?_ Cydaquil domandò come se avesse nominato la cosa più strana del mondo.
_Esseri dell'altro mondo. Faccende che non ci riguardano._
Quando capii che gli umani non erano qualcosa di noto in quel villaggio dell'orrore e che Alakazam sembrava essere l'unico a conoscerli, vidi un barlume di speranza in quel vecchio rachitico che si reggeva a stento in piedi. Forse gli sarebbe servita la mia coda-bastone.
_Aspetta, tu sei l'unico qui che sa cos'è un umano? E mi credi? Devi aiutarmi._
_Oh, no, non ci pensare nemmeno._ Alakazam negò senza alcuna pietà, come se io fossi una mosca ronzante che lo aveva puntato e continuava a girargli attorno. Forse non sapeva nemmeno cos'era una mosca. Ero disperato, ero disposto anche a baciargli i piedi. Tanto più schifo di così non potevo provare.
_Ma... pensa di ritrovarti ad essere un umano da un giorno all'altro? Cosa faresti? Come puoi negarmelo?_
_Ma di cosa sta parlando?_ lo interruppe Chikorita, che ignorava del tutto l'argomento.
Alakazam fece spallucce. _Non ne ho idea._
Io diventai rosso – anzi, blu-violaceo – dalla rabbia.
_Che bugiardo figlio di puttana, sai benissimo di cosa sto parlando, te lo si legge negli occhi!_
Cyndaquil e Chikorita fecero un passo indietro, sconvolti.
Alakazam aggrottò la fronte. _Oh, ora mi hai proprio stufato._ e sparì in un lampo bianco, come se non ci fosse mai stato, mentre della polvere luminosa precipitava sulla sabbia come neve, dissolvendosi prima di toccare il suolo. La speranza che si affievoliva fino a svanire davanti ai miei occhi. A proposito, i miei occhi erano colmi di lacrime e non me ne ero nemmeno accorto. Fu Cyndaquil a farmelo notare.
_Ehi, amico! Stai piangendo? Non piangere per favore._
Io me ne resi conto, tastandomi le guance bagnate mentre il sapore del sale di una lacrima mi sfiorava le labbra e mi gettai a terra in ginocchio, scoppiando.
_Ehi, non fare così, andrà tutto bene!_
Guardavo la sabbia sperando che risalissero i granelli luminosi, così come erano scesi e Alakazam ricomparisse per mostrarmi la via di casa. Ma non successe nulla.
_Straniero, ci dispiace di averti trattato come forse non meritavi, ma solo quando è arrivato Alakazam ho capito che c'era qualcosa sotto di più grande di noi. Scusa se ti credevo matto._ provò a consolarmi Chikorita
_Ma io sono matto! Tutto questo non può essere vero! Voi siete un videogioco o un cartone animato, un gioco di carte! Tutto fuori che la realtà!_
Chikorita esitò un attimo. _Ma... perdonami, ma non capisco una parola di tutto quello che hai detto. Davvero non riesco a capire._
Mi rialzai e mi asciugai le lacrime a forza, prendendo qualche profondo respiro. Gli istanti sembravano lunghissimi.
_Vuoi davvero aiutarmi?_
Chikorita annuì.
_Certo che ti aiutiamo!_ così anche Cyndaquil mi offrì il suo appoggio.
Io non sapevo bene se facevo la cosa giusta, ma era l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi.
_Allora portatemi da Alakazam._
Gli sguardi dei due si spensero. Si guardarono in una muta intesa come a chiedersi “Parlo io o parli tu?”
Cyndaqui si propose. _Vedi, lo farei molto volentieri, il fatto è che... Alakazam non è una presenza fissa qui al villaggio. Lui va e viene con il Teletrasporto. Si dice che sia molto saggio, ma ha anche un caratteraccio, per giunta. Quindi se lo trovassimo, è comunque improbabile che sarebbe disposto a darti una mano. E io non saprei proprio dove cercarlo._
Io mi buttai definitivamente giù, con un sospiro. Quei due Pokémon sembravano davvero gentili, anche se fatti a modo loro. Forse avrei potuto resistere un po', in attesa che Alakazam ricomparisse. Dovevo essere forte. Potevo farcela, in fondo poteva andarmi peggio. Non ero finito in Transilvania in un covo di vampiri. Diamine, ero nel mondo dei Pokémon! Non era quello che avevo sempre sognato? Così presi tutto il mio coraggio e dissi: _Ok, abitanti del mondo di Pokémon. Ora sono uno di voi. E alloggerò in questo villaggio. Mostratemi la via._ mi sentii un tantino scemo quando i due mi guardarono di nuovo come quando mi credevano pazzo.
_Puoi stare da me._ rispose Cyndaquil cercando di sorridere.
_Oh giusto io... già, dovrò pagarti l'affitto..._
_Oh no. Se sei di un altro mondo non credo che tu abbia soldi._
Aveva colto al volo il problema. Quel Cyndaquil aveva un cuore d'oro.
_Quindi posso stare... nel senso, gratis? Oh, Cynda, ti adoro! Grazie! Non sai quanto significa per me!_
_Cynda?_
_Oh... eh... posso darti un nick?_
_Un..._
_Un soprannome, insomma._ forse l'avevo detto un po' spazientito, per cui mi ricomposi in un sorriso.
_Ah sì, sì. Solo non mi aspettavo tanta confidenza da subito, dopo che mi hai dato dell'ebete._
_L'ho detto?_
_L'ha detto?_ Cynda si rivolse a Chikorita.
_No._ Chikorita mi guardava con occhi curiosi. _Credo l'abbia pensato._
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