Direi che qui come stile ci siamo. La prima persona comporta una serie di vantaggi e svantaggi, ma trovo che ai medi livelli sia particolarmente consigliabile perché, per quanto il narratore onnisciente sia il sistema a cui più siamo esposti specie nelle scuola dell'obbligo, è anche uno dei più difficili da controllare. In particolare, il tuo uso della prima persona rende praticamente inesistente il "brutto" raccontato (descrizioni and the like), validando al contempo le poche volte che ti sfugge; contemporaneamente, il raccontato "necessario" (la backstory) risulta molto meno forzato rispetto a un'esposizione esterna, specie per il contesto di "pensieri prima del suicidio". Non è uno stile impeccabile (più di una volta inciampi nella retorica, a mio parere), ma compensi efficacemente le tue debolezze rendendole elementi credibili. Quando non si è un genio assoluto della scrittura, spesso è il massimo a cui si possa aspirare.
Ho trovato un calo nel finale, non per il cambio di stile (che non è un problema) o per le ore in numeri (perfettamente lecito, anche se sono vagamente disturbato dal fatto che i
secondi siano tenuti in lettere), quanto perché appunto, venendo meno la prima persona, i problemi stilistici vengono evidenziati. Maya "crolla a terra lentamente": come? Si inginocchia? Cade sul sedere? Si aggomitola in posizione fetale? Così com'è, costringi il lettore a mettere in pausa la narrazione per cercare la
sua immagine di "crollare a terra lentamente". Ma come, la sua? La scrittrice sei tu! Devi essere tu a fornirgliela! L'altro neo è l'evergeen "
uno strano presentimento s’impadronisce di lei", pericolosamente simile al famigerato
engulf americano che garantisce cestino automatico in molte case editrici. In breve, una frase così non significa nulla, perché il lettore non può "vedere" un sentimento che si "impadronisce" di una persona, men che meno uno "strano" sentimento (non sa nemmeno che sentimento sia!). Che sentimento è? Come si manifesta? Quali sono gli effetti
visibili (o
avvertibili) che sortisce su Maya? Devi mostrarlo! Si tratta, in ogni caso, di problemi che possono essere risolti con applicazione.
Ho qualche riserva in più sul tema; o, per meglio dire, sul connubio tema-tecnica narrativa. I monologhi sono
sempre rischiosi, ma ancor di più in un suicida, perché è molto, molto raro che un suicida abbia la mente lucida. Per toglierti la vita devi essere vittima di una disperazione tale che analizzare le tue ragioni è praticamente impossibile. Sono disposto a sospendere l'incredulità, ma mi chiedo: non avrebbe funzionato molto meglio come dialogo? Se ci fai caso, Maya molto spesso è costretta a ricoprire nel suo soliloquio anche il ruolo di "accusatrice", usando spesso espressioni come "so bene che", "ti conosco", "immagino che" riferite a Maya, per controbattere poi le sue probabili obiezioni. Perché non dare direttamente parola a Maya, anziché relegare a quest'ultima solo una piccola battuta in fondo? L'idea di un "suicidio per lasciare all'apice" è molto interessante, ma è quasi sprecata se a parlarne è solo quella che è convinta sia una buona idea. Sarebbe stato davvero bello assistere all'intensità del conflitto tra Maya e la sua innominata amica, il contrasto tra le parole calme di una e quelle nervose dell'altra, e la possibilità di
vedere la loro amicizia proprio nel momento più tragico anziché saperla solo per racconto.
Certo, va detto che è dura. Scrivere credibilmente le parole di un suicida e non farle sembrare stereotipate è difficilissimo. Ma ehi, chi ha mai detto che scrivere è facile?
Ah, comunque "calligrafia perfetta" non è un errore.