Nuove prospettive

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Mallard sedeva al bancone del bar, davanti al suo terzo scotch e acqua. Gli unici altri avventori del locale erano una prostituta che chiacchierava in un angolo con un suo cliente e un ubriacone accasciato davanti alle sue birre in fondo al bancone. Al di là dello stesso un vecchio barista stava asciugando con estrema lentezza alcuni bicchieri. Una vecchia radio trasmetteva la musica di un ignoto jazzista. Roba triste.

Joe Mallard si alzò dallo sgabello.

“Vado a prendere una boccata d’aria, Mick.”

Mick, il barman, annuì in silenzio.

Uscì. Aveva appena smesso di piovere. Per un po’ se ne restò immobile ad ascoltare i rumori della città che non dormiva mai. L’aria era fresca, ed era una magnifica nottata di metà novembre. Joe Mallard era un giornalista; in passato era stato sposato con una donna di nome Francine (anche se non avevano mai avuto figli), ed un tempo il suo lavoro andava a gonfie vele. Ci si poteva quasi azzardarsi a definirlo un uomo di successo, o perlomeno un uomo felice. Poi, dopo qualche anno, erano cominciati i casini. Dapprima problemi sul lavoro, che poi si erano tradotti nel trovarsi con il culo per terra. Come se non bastasse, Francine aveva insistito per chiedere il divorzio. Ora i pochi soldi che guadagnava se ne andavano in alimenti per la sua ex moglie e nell’affitto del misero buco dove si era trovato a dover vivere. Gli avanzi della paga diventavano alcol e sigarette – che alla fine rappresentavano il carburante del suo lavoro.

“Francine”, pensò, “povera puttana.”.

Da quel che si ricordava era bella come un’attrice e scopava pure divinamente. Chissà perché, ma donne del genere preferivano la gente coi soldi. Si frugò in tasca e trovò un’ultima, spiegazzata sigaretta. Se la infilò in bocca. Il suo problema, stava pensando, è che guardava le cose dalla prospettiva sbagliata. Aveva bisogno di cambiare vita. Di tornare quello di un tempo, volenteroso e pieno d’iniziativa. E sentiva  che quella notte era quella giusta – la notte del grande cambiamento.

All’improvviso sentì dei rumori cupi giungere da un vicolo distante una decina di metri.

Si avvicinò lentamente, senza far rumore, nascosto nell’ombra.

Nel vicolo, sotto la luce giallognola di un lampione, giaceva un uomo sui cinquant’anni. Era immerso nella spazzatura, fradicio e tremante.

Fuori dalla luce stavano due uomini vestiti in abiti scuri. Joe intuiva la loro presenza in quanto le loro scarpe rientravano nel cerchio prodotto dalla luce artificiale.

All’improvviso uno dei due sferrò un pestone nello stomaco dell’uomo per terra. Quest’ultimo rotolò su un fianco ed ebbe un conato di vomito. Tra i rantoli e i gemiti di dolore farfugliava qualcosa che somigliava ad un “pagherò, pagherò”.

Mallard chiuse gli occhi e gli balzò vivida alla memoria l’immagine di una sala scommesse di un ippodromo, una massa di poveri disperati in cerca di un inesistente colpo grosso, tutti intenti a formulare pronostici e a frugarsi le tasche dei pantaloni lisi in cerca degli ultimi spiccioli. Immaginava quella scena così chiaramente in quanto ci era passato. Ne era quasi uscito del tutto, anche se alle volte ci ricascava in pieno.  Non aveva una gran fortuna, con i cavalli.

Neanche con le donne, del resto.

L’altro uomo nell’ombra si frugò in tasca e nel vicolo silenzioso riecheggiò lo scatto inconfondibile della lama di un coltello a serramanico.

Mallard sentiva la vecchia Luger che portava sotto l’impermeabile solleticargli il petto.

“Avanti,” pensò “fai la tua entrata e dai una lezione a quei figli di puttana”.

Comincia stanotte, a cambiare vita.

Fece un passo avanti ed entrò nel cerchio della luce.

I due si voltarono all’istante per guardarlo. Joe Mallard se ne stava immobile. Fissò quegli invisibili occhi nell’oscurità, e poi posò lo sguardo sul disgraziato mucchio di stracci che gemeva piangente per terra.

E vide, in quegli occhi semichiusi e in quella barba malfatta, vide tutte le sbronze e tutte le cambiali e tutte le rate della macchina e tutte le liti in famiglia e tutte le notti passate a dormire ubriaco su un marciapiede in una pozza di vomito e piscio.

Mise la mano destra sotto l’impermeabile.

I due uomini nell’ombra non accennarono una mossa.

“È già carica. Togli la sicura e fottili.” pensò.

Dopo una decina di secondi, ma che a lui e agli altri uomini nel vicolo dovevano essere sembrati secoli, tirò fuori uno Zippo. Si accese la sigaretta, che teneva in bocca fin da quando era uscito dal bar, e lo ripose. Fumò con tiri lunghi e regolari, indirizzando il fumo dritto davanti a sé, contro i due aguzzini invisibili. Cadendo il mozzicone ruotò elegantemente su sé stesso, e quando atterrò in una pozzanghera il suo sfrigolio riecheggiò come amplificato mille volte.

Joe fissò per qualche istante i due emissari del male.

Nessuno si mosse.

Poi, senza dire una parola, voltò le spalle al vicolo e rientrò lento nel bar.

Di nuovo a sedere sul suo sgabello, ordinò al vecchio Mick un altro scotch e acqua.

Fuori, nel vicolo, i due uomini stavano portando a termine il loro lavoro.

Ricominciò a piovere.
 
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Steph

Great Teacher
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una domanda. Perché scotch e acqua? °_°

(comunque, questo l'ho trovato forse anche più bello dell'altro. Il fatto è che l'altro richiede necessariamente dei collegamenti)
 
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