Auguro una buona giornata al lettore, o una buona nottata nel caso sia più appropriato. Mi scuserete per l'inizio alquanto stereotipato (seppur possibilmente meno di altri), ma, come ogni scrittore sa, spesso una delle parti più complesse da costruire di un testo, qualunque sia il suo argomento o il suo tono, è proprio l'inizio. Come fare ad avvincere il lettore? Come fare in modo che egli (o ella, non mi si accusi di discriminazioni, purtroppo non tutte le lingue mi permettono di essere neutrale al riguardo) sia avvinto da ciò che si trova davanti, gli (o le) venga voglia di continuare a leggere, e non solo di fermarsi dopo le prime poche righe? Esistono diversi metodi, tutti più o meno validi a seconda del tono dell'opera, del pubblico al quale essa è rivolta, dell'argomento di cui tratta, ma non mi dilungherò a descriverli. Non è questo il motivo per cui mi trovo qui quest'oggi. Vi prego di intendere quest'ultima affermazione in senso figurato: ovviamente, le espressioni "qui" e "oggi" hanno perso per me ogni significato da molto tempo, come avrò modo di spiegare in seguito. Tornando al nostro discorso, ciò che è ora importante è avere finalmente un inizio dal quale partire. Quindi, andiamo a incominciare con le presentazioni.
Vi chiederete ovviamente chi io sia, così come quali motivi mi abbiano spinto a redigere questo testo. Risponderò a tempo debito alla seconda domanda; quanto alla prima, vi basti sapere che la mia identità ha perso da tempo la propria importanza. Non sarebbe nemmeno corretto chiedere chi io sia: più appropriato sarebbe chiedere chi io fossi.
Ad essere sinceri, nemmeno io rammento esattamente quale sia la risposta a questa domanda. Le immagini del mio passato si sono fatte estremamente vaghe, come un paesaggio celato da una pesante coltre di nebbia durante una oscura notte autunnale. Il mio nome, il mio volto, le mie conoscenze, le mie passioni sono tutte consegnate ormai per sempre all'oblio del gigantesco ed eterno abisso del tempo.
Ritengo di essere nato in una famiglia benestante, né molto ricca né molto povera, in una città di media grandezza, in una delle tante nazioni che erano solite con tanto orgoglio professarsi libere. Non ricordo di aver avuto fratelli o sorelle, né altri parenti stretti all'infuori dei miei genitori, i cui volti, nomi e modi di fare sono anch'essi andati perduti, tuttavia la mia memoria è nebulosa, pertanto queste mie deduzioni potrebbero risultare prive di fondamento per qualcuno che riuscisse a risalire alla mia identità. Devo aver trascorso un'infanzia normale e un'adolescenza priva di eventi rilevanti, sia in positivo che in negativo. E, a pensarci bene, tale è anche il modo in cui trascorsero la mia maturità e la mia vecchiaia (se mai ci arrivai, ma ritengo assai probabile che sia andata così): i miei giorni scorrevano lentamente, l'uno uguale all'altro, con come unica differenza di rilievo la data sul calendario, senza mai alcun tipo di cambiamento o di evento che potesse influire anche solo minimamente su come mi sentivo. Né ricordo di aver mai provato dei veri e propri sentimenti per quello che mi circondava: non amavo né odiavo il mio lavoro, qualunque esso fosse (ritengo di essere stato un impiegato, o comunque di aver esercitato una simile professione). Non ho mai amato nessuno, né provato il desiderio di avere una famiglia. Non ero per nulla passionale, e non ricordo di aver mai espresso una vera e propria opinione in qualsiasi campo, fosse esso politico, religioso, o anche semplicemente culturale. Non avevo amici, soltanto conoscenti, nessuno dei quali si curava di me più di quanto fosse necessario. Non ricordo nemmeno come morii, ma non dev'essere stato particolarmente appariscente, doloroso o risultato di una lunga agonia. Forse è stato semplice e istantaneo come un attacco di cuore durante il sonno, di cui nessuno fu in grado di accorgersi finché non fu tutto finito, anche se credo sia più probabile che fossi cosciente quando accadde. A un qualunque osservatore esterno, la mia vita solitaria sarebbe apparsa totalmente, piattamente, squallidamente normale.
Eppure, anche se nessuno lo ha mai saputo fino ad ora, non era così. Se qualcuno avesse anche solo guardato oltre la superficie, avrebbe visto un mondo.
Poco fa, ho affermato di non aver mai provato passioni. In un certo senso, ho mentito. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, mentre la mia vita scorreva via lentamente, dentro di me qualcosa stava crescendo.
Mi sembra di ricordare di aver cominciato a leggere da molto giovane. È anche possibile che io abbia imparato da solo a decifrare le lunghe serie di caratteri allineati come formiche sulle pagine dei libri, spinto com'ero da una forza che con il tempo si sarebbe stemperata solo all'apparenza. Non mi interessavano le immagini o i colori appariscenti, ma soltanto le parole. Come era possibile forgiare non storie, non mondi, ma interi universi soltanto con esse? Come era possibile che esistessero persone in grado di avere in sé il tutto e di esprimerlo con mere sequenze di lettere? Ricordo che ciò mi stupiva molto. Quanto ero ingenuo a quei tempi. Ancora non avevo capito che io sarei diventato grande più di quanto ognuno di loro avrebbe mai potuto immaginare.
Il mio mondo era nato con me, anche se io non ne ero ancora al corrente: esso cominciò a svelarsi ai miei occhi quando cominciai ad entrare in contatto con quelli creati da altri. Il mio mondo era ancora grezzo e inospitale, privo di vita, in attesa che qualcuno cominciasse a curarsi di lui: da quando me ne resi conto, ogni singolo attimo della mia vita fu volto a completare l'opera a cui ero destinato, sempre che il concetto di destino abbia un qualsiasi significato concreto. Quando avevo del tempo libero, e spesso anche sottraendo tempo ai miei doveri, aggiungevo qualche particolare, senza distinzione di importanza percepita: la morte di una formica aveva lo stesso peso del crollo di un grande impero. Il mio lavoro di creazione fu tanto grande che io stesso ne sono stupito. Io, un semplice mortale, sono riuscito ad eguagliare la mente di un dio. Se ritenete queste mie affermazioni motivate da semplice superbia, sappiate che è solo a causa del fatto che l'immane complessita della mia opera non è purtroppo mai riuscita a trasparire pienamente da ciò che la gente, troppo più attenta agli spettacoli appariscenti che ai fatti piccoli ma infinitamente più importanti importanti, è stato in grado di provare e apprezzare anche senza saperlo.
Durante tutta la durata della mia vita, nessuno ha mai saputo nulla del mio mondo. Non lo ritenevo mai pronto per rivelarsi, nonostante mi rendessi conto che i mondi degli altri, seppur meno rifiniti del mio, erano comunque resi pubblici. Non annotavo mai nulla, riuscendo miracolosamente a mantenere nella mia memoria l'immagine cristallina e perfetta della mia creazione. Contavo un giorno di dare alla luce il mio mondo, ma quel giorno non giunse mai. Ora ricordo che cosa successe: proprio il momento in cui gli ultimi ritocchi furono dati fu il momento della mia morte.
Poco dopo aver attraversato l'ultima soglia, ero furente. Non potevo accettare, non era accettabile né giusto che la mia perfezione non avrebbe mai potuto vedere la luce, ma sarebbe stata condannata a morire con me. Nessun dio buono e giusto avrebbe potuto accettarlo, sempre che un dio esistesse o esista. Il fatto che io sia morto e continui a far sentire la mia presenza dovrebbe costituire una prova inoppugnabile, ma io stesso non sono sicuro che sia così; anzi, ho dei serî dubbi in proposito. Non ricordo di averlo mai incontrato, anche se non posso essere certo nemmeno di questo. È molto difficile riuscire a percepire nettamente qualcosa nello stato in cui mi trovo, e ritengo opportuno terminare questa divagazione prima di addentrarmi in territorî eccessivamente controversi, almeno per adesso. Come stavo dicendo, non era accettabile che il mio mondo svanisse con me: fu questo pensiero che mi spinse a fare ciò che ho fatto.
Il mio sguardo era vagato incessantemente per il mondo, cercando una qualsiasi occasione che mi permettesse di ritornare. Cercai a lungo, e trovai numerose occasioni, una più appetibile dell'altra, eppure continuavo ad esitare. Chi avrebbe potuto gestire adeguatamente la perfezione del mio mondo senza esserne bruciato come successe a me? Nessuno, ecco chi. O, perlomeno, non una singola persona. Fu con grande fatica che riuscii a spingermi a fare a pezzi il mio mondo, e a suggerirne solo piccole porzioni alla volta a diversi soggetti scelti da me personalmente, tanto sottilmente da far credere loro di essere gli unici e soli artefici di quelle idee che in realtà erano mie. Cominciai ovviamente dal mio campo prediletto, dalla letteratura. Diversi dei capolavori attribuiti oggi a un gran numero di geni del passato, vissuti in luoghi ed epoche molto distanti tra loro, sono in realtà attribuibili a me. È quasi ironico osservare come il ruolo dello "scrittore fantasma" sia stato in tutti questi casi, anche i più insospettabili, totalmente capovolto. Poi, quando ritenni che i tempi fossero maturi, lasciai temporaneamente da parte la letteratura per dedicarmi a tutti gli altri campi.
Non ricordo nemmeno quanto tempo fa cominciai a suggerire il mio mondo. Anni, decenni, secoli, addirittura millenni? Non ha importanza, dopotutto. Con il trascorrere del tempo, la gente ha continuato sempre di più ad avvicinarsi alla mia perfezione. Con il trascorrere del tempo, il mio mondo si traduce sempre di più nella realtà. Non so quanto ci vorrà perché il mio mondo si realizzi, perché la realtà sia infine il mio mondo. Forse ci vorranno pochi anni, forse l'intera eternità. Questo stesso testo che voi state ora leggendo è stato suggerito da me, in un momento di autocompiacimento, a uno dei tanti abitanti di questo mondo di transizione, il fatto stesso che voi lo stiate leggendo è dovuto a me. Voi siete i testimoni della creazione del mio mondo, voi e tutti quelli che vi seguiranno assisterete al lento ma costante avvicinarsi della perfezione.
Qualunque cosa voi farete, vorrete o sarete sarà stata per la mia volontà. Potrete chiamarmi buono, o crudele, o entrambi a seconda del momento, ma non mi importerà. Importerà soltanto che sarà giusto, e un ulteriore passo verso la perfezione di un nuovo mondo. E non solo di questo mondo: i miei piensieri hanno cominciato a volgersi verso le stelle, e anche loro, lentamente ma costantemente, stanno cominciando a piegarsi alla mia volontà. Io sarò il vostro destino, io sarò il dio che riempirà questo cielo vuoto. Anche quando l'ultimo di voi sarà svanito, ingoiato dall'oblio, io continuerò a esistere, e chissà, forse quando l'orologio della realtà avrà battuto gli ultimi rintocchi, io stesso provvederò a riavviarlo, e forse continuerò a farlo così per l'eternità. Dopotutto, non posso escludere che questo sia già accaduto, e che questo non sia che uno degli infiniti cicli dell'universo che si ripeteranno per sempre. E chissà, forse io stesso non sono che una pedina nelle mani di qualcuno o qualcosa di infinitamente più grande e potente di me e di tutti voi. E se questo qualcuno esiste, anche lui potrebbe essere a sua volta sottomesso a qualcun altro senza saperlo, e il ciclo potrebbe continuare all'infinito. E, se il mio sguardo sull'eternità non mi ha ingannato, probabilmente è così.
Ma voi non dovete preoccuparvi di questo. Troppa è la distanza tra le vertiginose proporzioni dei pensieri in cui la mia mente indulge ora. Anche io, come voi, guardo il cielo - metaforicamente, si intende - e mi chiedo chi vegli su di me. Potete stare certi solo del fatto che io veglierò su di voi. Io continuerò a scrivere le cose, aspettando la fine di tutto o continuando per l'eternità, con ogni probabilità la seconda.
Sì, credo che ormai non ci sia più da dubitarne.
Io sono qui.
Io sarò sempre qui.
(copyright 2009 Menshay)