In realtà, state facendo un gran casino cercando di dire le stesse cose, mi par di capire...
Penso però che stiate guardando nella direzione sbagliata.
Il primo vero grande errore di questa vicenda l'ha fatto il tribunale. Ma non parlo della sentenza, parlo proprio del fatto che non siano inorriditi quando han sentito un tutore, cioé il padre, chiedere la morte della tutelata, cioé la figlia.
L'art. 357 del codice civile, in riguardo alle funzioni del tutore, dice chiaramente che questo ha la cura della persona del minore (o dell'interdetto, ndr), lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni.
Chiedere la morte di una persona, penso nessuno nutra dubbi al riguardo, è una palese violazione dell'impegno di "cura della persona".
Come è possibile che, in Italia, i giudici revochino la capacità tutoria per dei meri errori finanziari e invece addirittura promuovano l'omicidio del tutelato da parte del tutore?
Per quanto riguarda la sentenza, poi, si tratta una boiata giuridica senza precedenti. I giudici si sono arrogati il diritto di vita e di morte sul cittadino, senza che questo venisse legittimato da alcuna legge, in piena violazione dell'art. 101 della Costituzione che ribadisce come "La giustizia sia amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge." E si parla di vita e di morte non a caso, in quanto la legge 578/1993 "Norme per l'accertamento e la certificazione di morte" compie una netta distinzione fra quella che è la morte, cioé la "Cessazione di ogni attività del sistema nervoso centrale." (morte cerebrale, ndr) e quello che invece è lo SVP, o Stato Vegetativo Permanente (quello di cui Eluana era affetta, senza inficiare però sulle funzionalità del cervello, che coordinava digestione, respirazione, diuresi, temperatura corporea, etc etc). L'ordinamento giuridico italiano annovera la vita come un bene indisponibile, incedibile, irrinunciabile, etc etc. E' *ASSURDO* che si sia parlato della "volontà di morire" della ragazza, senza che neanche vi fosse un documento scritto in cui essa si dimostrava cosciente di quelle che erano le conseguenze della sua espressione di volontà.
Il codice penale, agli articoli 575/580 parla di omicidio (575), delle aggravanti della premeditazione e del mezzo insidioso (577), dell'omicidio di una vittima consenziente (579) e in ultimo dell'istigazione, o aiuto materiale, al suicidio. Prevendoli tutti come reati. Il codice civile, invece, all'art. 5 parla degli atti di disposizione del proprio corpo, affermando che in NESSUN caso essi possono, almeno legalmente, andare a inficiare sull'inegrità psico-fisica del soggetto. Una vacatio legis non autorizza un giudice a legiferare in maniera schizofrenica e incontrollata. Il giudice non amministra alcun potere che quello giudiziario, e ben se ne dovrebbe guardare dallo sconfinare nel potere legislativo. Egli non viene eletto dal popolo, come è invece il caso del Parlamento, vero Legislatore in Italia.
Per quanto riguarda, poi, la tesi portata avanti nella sentenza, in cui si parla non di omicidio, ma quasi di "riaffermazione" di una morte già avvenuta, andando a sentenziare un termine al cosiddetto "accanimento terapeutico" in corso, mi vien da obbiettare ulteriormente.
Se ella era già morta, l'aver compiuto questi gesti è assimilabile al reato di vilipendio di cadavere, ex art. 410 c.p.? Con quale coraggio si parla di "testamento biologico" quando, fino ad oggi, l'unico testamento giuridicamente riconosciuto è un atto unilaterale e soprattutto REVOCABILE a contenuto patrimoniale non avente ALCUNA efficacia durante la vita del testatore? Come poteva ella revocarlo, non potendo esprimere la propria volontà? L'art. 32 Cost. dice che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per legge". Il "Se non per legge" è riferito a vaccinazioni e robe simili, non è quello che dovrebbe far gridare allo scandalo. Quanto l'aver considerato "trattamento sanitario" il dare da mangiare e da bere a una persona. Nel caso dello sciopero della fame, per certi versi analogo, lo scioperante è IN QUALSIASI MOMENTO capace di revocare il proprio diniego al cibo e all'acqua. Lei, invece, semplicemente non poteva. Nè aveva espresso un rifiuto cosiddetto "informato". Cioé conscio di tutti i rischi, le conseguenze, e di tutte le stesse possibili alternative al caso. Il diritto di autodeterminazione, in questo caso, non viene a formarsi, nè comunque può andare a contrastare il diritto INVIOLABILE alla Vita, così come da Art. 2 Cost. e da trattati internazionali quali la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
Davanti a una tale violazione dei limiti di potere della magistratura, era necessaria, in quanto in situazione straordinaria ed urgente, una emanazione legislativa. Tale straordinarietà ed urgenza imponeva la massima rapidità, cosa che una discussione parlamentare non avrebbe potuto garantire. Ecco allora che la Costituzione, prevedendo casi simili, dà al Governo il potere di emanare leggi, in casi straordinari ed urgenti, aventi valore di legge per 60gg dalla data di promulgazione. Se, entro questi 60gg, tale decreto legge non venisse convertito in legge, perderebbe efficacia. Ed ecco che il Presidente della Repubblica si oppone, e rifiuta di promulgare la legge. E vi è un nuovo scontro istituzionale, del tutto inutile, semplicemente per riaffermare la propria posizione da tempo schiacciata dalla figura del primo ministro. La Costituzione dà il potere al Presidente della Repubblica di rimandare alle Camere, una sola volta e con motivazione, una legge approvata in maniera ordinaria. In caso di straordinarietà ed urgenza, tale potere non viene minimamente citato.
Il fatto che una legge ordinaria non possa inficiare sull'operatività di una sentenza passata in giudicato, d'altronde, va a cozzare col fatto stesso che una sentenza non possa essere basata su criteri discrezionali scelti dal giudice e non sulla legge. Il governo è più autorizzato sia perché intento in una azione "riparatrice" del rapporto di potere, sia perché direttamente eletto dal popolo, a differenza del giudice, che è un semplice impiegato pubblico che ha superato un concorso. (e del quale, quindi, sono MOLTO dubbi i meriti, visti i tempi che corrono)
A voi la parola.