Apro il topic per esporre le varie tesine e avere un feedback sul proprio lavoro (va be', quest'anno è un po' tardi, spero tornerà utile il prossimo).
Inizio io ovviamente (@Lugia se passi di qui: questa versione ha subito pesanti modifiche soprattutto nella prefazione rispetto alla tua, buttagli un occhio se ti va)
[SIZE=14pt]Ai miei genitori, cui devo tutto quello che sono,[/SIZE]
[SIZE=14pt]A mia sorella, prima insegnante, ora compagna dei miei studi notturni,[/SIZE]
[SIZE=14pt]A tutti i miei parenti, i cui consigli sono sempre giunti nel momento del bisogno,[/SIZE]
[SIZE=14pt]Ai miei amici, per l’instancabile supporto fornito nel corso degli anni,[/SIZE]
[SIZE=14pt]A tutti i professori, presenti e passati, che hanno contribuito a formarmi,[/SIZE]
[SIZE=12pt]Ho cercato a lungo un argomento che potesse interessare tutti i membri della commissione, anche quelli delle materie non affrontate. Infine sono giunto a una conclusione: ciò che può attirare un docente estraneo alla disciplina, non è l’argomento trattato, ma il modo in cui esso viene trattato. Molti di voi avranno già assistito ad innumerevoli prove d’esame in cui gli studenti hanno portato come argomento a piacere la seconda guerra mondiale, per questo ho deciso di provare a rendere innovativo un tema così classico.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nello specifico, ho scelto di concentrarmi su un aspetto trascurato da molti studenti, accostando due fonti estremamente diverse tra loro e difficilmente citate in un liceo scientifico: un saggio di antropologia culturale ed un manga. Mentre il primo è spesso oggetto di studio nei licei umanistici, non sono molti gli studenti che optano per un manga come argomento d’esame, senza che il genere sia stato trattato nel programma di storia dell’arte.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Il manga in questione è “Verso una nobile morte” di Shigeru Mizuki, uno dei padri fondatori del manga moderno. Nell’opera l’autore descrive la situazione dei soldati giapponesi al fronte durante la seconda guerra mondiale. In particolare, l’aspetto su cui ho voluto focalizzare la mia attenzione, è il concetto di nobile morte: le cariche suicide compiute dalle truppe giapponesi in battaglia, quando la sconfitta era certa, al fine di salvare il proprio onore ed evitare di essere fatti prigionieri dal nemico. Scopo dell’indagine è individuare le cause di un simile comportamento, del tutto inspiegabile agli occhi di europei ed americani, che in tali circostanze optavano per la resa incondizionata al nemico.[/SIZE]
[SIZE=12pt]L’ispirazione per questa tesina nasce dalla mia passione per la cultura giapponese, in particolare per le forme d’arte con cui sono maggiormente conosciuti nel mondo occidentale: i manga e gli anime. Ho iniziato a guardare anime in quarta elementare e a questa passione si è subito associata ovviamente anche quella per i manga. Quando l’anno scorso per il compleanno ho ricevuto una copia di “Verso una nobile morte”, ho pensato di unire l’utile al dilettevole, usandolo come argomento della tesina, sperando in questo modo di interessare la commissione d’esame.[/SIZE]
[SIZE=12pt]In Giappone, il termine manga fa rifermento a fumetti di ogni provenienza, rivolti a qualsiasi pubblico e senza che la definizione implichi un particolare stile o genere.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Al di fuori del Giappone, invece, il termine manga indica esclusivamente i fumetti di origine giapponese, per sottolineare la differenza generalmente presente con lo stile, gli argomenti ed il target dei fumetti occidentali.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Questa distinzione assume un’importanza rilevante soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, in cui molto spesso il fumetto viene indissolubilmente associato ad un pubblico di bambini. Basti pensare ai celeberrimi personaggi di Walt Disney, emblemi del fumetto anche in Italia, grazie alla rivista Topolino. I manga, con le loro figure dai tratti spesso più infantili rispetto ad alcuni comics americani (come quelli della Marvel), gli occhi grandi e le teste sproporzionate al corpo, vengono spesso associati, da un occhio inesperto, ad un pubblico giovane. L'origine di questa caratteristica è un prestito culturale che si fa risalire al 1946 quando il famoso autore Osamu Tezuka (1928-1989), soprannominato il dio dei manga vide pubblicato il suo primo manga, [/SIZE][SIZE=12pt]マアチャンの[/SIZE][SIZE=15pt]日記帳[/SIZE](にっきちょう)[SIZE=12pt], Maa-chan no Nikkichō. Egli stesso, grande ammiratore di Walt Disney, ammette di essersi ispirato nel suo capolavoro Kimba, il Leone Bianco ([/SIZE][SIZE=12pt]ジャングル[/SIZE][SIZE=15pt]大帝[/SIZE](たいてい)[SIZE=12pt], Jungle Taitei) allo stile del Bambi disneyano. Tuttavia, ormai è difficile caratterizzare il genere manga esclusivamente per lo stile di disegno, poiché numerose pubblicazioni più recenti presentano stili di disegno molto differenti, ad esempio[/SIZE][SIZE=12pt]エンジェル・ハート[/SIZE][SIZE=12pt] (Angel Heart), oppure[/SIZE][SIZE=12pt]ベルセルク[/SIZE][SIZE=12pt] (Berserk). Quindi gli elementi che usualmente vengono considerati caratteristici dei manga sono l’impaginazione, la trama e i generi.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Il manga giapponese si legge al contrario rispetto al fumetto occidentale, cioè dall'ultima alla prima pagina. Anche le vignette si leggono da destra verso sinistra, dall'alto verso il basso, rispettando i canoni di scrittura giapponese. I primi manga importati in Italia alla fine degli anni ‘80 sono stati modificati specchiando le vignette, per permettere al lettore di leggere agevolmente il manga secondo le nostre consuetudini. Tuttavia, in seguito, anche a causa della pressione di alcune case editrici giapponesi, che si opponevano alla modificazione delle vignette, dalla prima edizione di [/SIZE][SIZE=12pt]ドラゴンボール[/SIZE] [SIZE=12pt](Dragon Ball) edita da Star Comics nel 1995, possiamo ritrovare l’ordine di lettura originale.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Un altro elemento di forte differenza rispetto ai fumetti occidentali riguarda la trama. Infatti, le avventure dei protagonisti hanno sempre un inizio e una fine. L’avvio della serie può non coincidere con l’inizio delle vicende narrate, spesso vengono usate tecniche di flashback per narrare i fatti antecedenti e rivelare avvenimenti importanti anche molti capitoli dopo l’incipit. Comunque, la fine della serie (che può durare anche molti anni e centinaia di capitoli se riscuote particolare successo), coincide necessariamente con il termine delle vicende dei personaggi. Alcune eccezioni si possono rilevare per personaggi molto amati dal pubblico, che vengono ripresentati in varianti della storia principale, oppure di cui si raccontano episodi accaduti prima dell'inizio della serie principale. Spesso il successo di un personaggio di un manga si risolve in una trasposizione, più o meno fedele, delle sue avventure sotto forma di anime (cartone animato giapponese).[/SIZE]
[SIZE=12pt]Un altro elemento importante di cui tener conto quando si parla di manga è la loro differenziazione in generi. Infatti, mentre nella cultura occidentale, il fumetto è visto come un genere infantile, in Giappone [/SIZE][SIZE=12pt]presenta i caratteri di un mezzo di comunicazione di massa e per questo può essere rivolto a chiunque. I generi principali sono: [/SIZE][SIZE=15pt]子供[/SIZE](こども)[SIZE=12pt] (Kodomo), p[/SIZE][SIZE=12pt]er bambini fino ai 10 anni, [/SIZE][SIZE=15pt]少女[/SIZE](しょうじょ)[SIZE=12pt](Sh[/SIZE][SIZE=12pt]ōjo), per ragazze dai 10 ai 18 anni, [/SIZE][SIZE=15pt]少年[/SIZE](しょうねん)[SIZE=12pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Shōnen), per ragazzi dai 10 ai 18 anni, [/SIZE][SIZE=15pt]青年[/SIZE](せいねん)[SIZE=12pt](Seinen), per maggiorenni maschi [/SIZE][SIZE=15pt]女性[/SIZE](じょせい)[SIZE=12pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Josei) o [/SIZE][SIZE=12pt]レディー[/SIZE][SIZE=12pt]ス[/SIZE][SIZE=12pt](Ladies) o [/SIZE][SIZE=12pt]レディコ[/SIZE][SIZE=12pt]ミ[/SIZE][SIZE=12pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Ladicomi, abbreviazione di Lady Comics), per maggiorenni femmine. Oltre a questi macro-generi che dividono i manga in fasce d’età dei lettori, esistono altre tipologie, che possono essere comuni a più categorie, come i mecha, gli shōjo-ai, gli hentai ecc.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Si può quindi capire l’importanza che i manga rivestono nella società giapponese, al punto che il capolavoro di Gosho Aoyama, [/SIZE][SIZE=15pt]名探偵[/SIZE](めいたんてい)[SIZE=12pt]コナン[/SIZE][SIZE=12pt] (Meitantei Conan), conosciuto in Italia con il nome di Detective Conan, sia stato nominato “Ambasciatore della cultura giapponese nel mondo”, per i costanti riferimenti a vari usi e costumi nipponici all’interno della serie.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Già nel 1894 il Giappone, in piena Restaurazione Meiji, diede prova della propria rinnovata forza militare invadendo e conquistando la Corea, Stato fino allora vassallo della Cina, senza che questa potesse opporsi in alcun modo. Pochi anni dopo, nel 1904, a causa di un conflitto di influenze sulle coste dell’Asia orientale, il Giappone mosse guerra alla Russia e, in poco più di un anno, riuscì ad ottenere anche la Manciuria meridionale, sbaragliando le forze militari russe (questa sconfitta è una delle cause principali che hanno portato alla rivoluzione del 1905 in Russia).[/SIZE]
[SIZE=12pt]Con la partecipazione alla prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa, il Giappone riuscì a consolidare, con un costo militare relativamente esiguo, la sua posizione di massima potenza asiatica ed a rafforzare la sua struttura produttiva. Questo obiettivo fu raggiunto anche grazie alla conquista di nuovi mercati non più raggiungibili dalle potenze europee impegnate nel conflitto; in particolare il Giappone espanse la sua influenza sulla Cina, costretta a concedergli privilegi industriali, ferroviari e minerari sul suo territorio e diritti commerciali nella Mongolia interna e nella Manciuria meridionale.[/SIZE]
[SIZE=12pt]In seguito, nel 1931, il Giappone invase anche la Manciuria settentrionale, usando come pretesto un incidente di frontiera, creando uno stato fantoccio (il Manchukuo), che sarebbe dovuto servire come base per un’ulteriore espansione nel continente. Quindi, nell’estate del ‘37, il Giappone dichiarò guerra direttamente alla Repubblica di Cina, prendendo possesso, all’alba del nuovo conflitto mondiale, di buona parte della zona costiera, del Nord-Est industrializzato e delle maggiori città cinesi, instaurando anche un governo collaborazionista.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Durante la seconda guerra mondiale il Giappone sfruttò l’occasione per cercare di allargare le sue mire espansionistiche a tutti i territori del Sud-Est asiatico. Quando, nel luglio del ’41, i giapponesi invasero l’Indocina francese, Stati Uniti e Gran Bretagna reagirono decretando il blocco delle esportazioni verso il Giappone. Essendo una nazione povera di materie prime e non potendo accettare di cedere alle potenze straniere per il proprio onore, il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò, senza previa dichiarazione di guerra, la flotta degli Stati Uniti ancorata a Pearl Harbour, nelle Hawaii, distruggendone gran parte. Avendo eliminato il principale rivale nel progetto di espansione, i Giapponesi raggiunsero tutti gli obiettivi che si erano prefissati: nel maggio ’42 controllavano le Filippine, la Malesia, la Birmania, l’Indonesia olandese e minacciavano anche Australia e India, rendendo necessario uno spostamento di truppe britanniche dal Medio Oriente verso le colonie in pericolo.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Tuttavia la massima espansione territoriale è stata immediatamente seguita dall’inizio del declino dell’Impero Giapponese: con le due battaglie del Mar dei Coralli, di fronte alle coste della Nuova Guinea, e delle isole Midway, a ovest delle Hawaii, gli americani fermarono la spinta offensiva dei giapponesi. A questi scontri seguì, nel febbraio 1943 la conquista americana dell’isola di Guadalcanal, mettendo fine alle mire espansionistiche del Giappone, che da qui in avanti si limitò a cercare di difendere le posizioni raggiunte dall’inizio della guerra.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Ciò nonostante i suoi sforzi si rivelarono vani: a Guadalcanal seguì una lenta ma inesorabile riconquista da parte degli Stati Uniti delle posizioni perdute nel Pacifico, avvalendosi sulla loro superiorità industriale, che permise loro di sfruttare al meglio le recenti innovazioni tecnologiche. In particolare furono decisive le portaerei e i bombardieri strategici, questi ultimi dalla fine del 1944 cominciarono a bersagliare sistematicamente il territorio nipponico.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nell’estate del ’45, finita la guerra in Europa, gli alleati si prepararono a combattere nel territorio nemico con tutte le forze disponibili. Tuttavia, i giapponesi rifiutavano di arrendersi e, anzi, combatterono con maggior vigore proprio quando le situazioni sembravano disperate, lanciandosi anche in cariche suicide contro gli avversari per cercare di massimizzare i danni (in realtà questa spiegazione non è per nulla sufficiente, come chiarirò in seguito).[/SIZE]
[SIZE=12pt]Poiché il Giappone rifiutava di arrendersi nonostante la sconfitta fosse inevitabile, il presidente americano Harry Truman decise di impiegare contro il Giappone la nuova arma “totale”, la bomba a fissione nucleare o bomba atomica, che era stata appena messa a punto da un gruppo di scienziati. La decisione fu presa per cercare di abbreviare la durata della guerra, ma anche per dimostrare al mondo la potenza militare americana. Il 6 agosto 1945 un bombardiere americano sganciava la prima bomba su Hiroshima, mietendo 100.000 vittime e la distruzione totale della città (la struttura di un solo edificio sopravvisse alla bomba ed è oggi un memoriale), tre giorni dopo, il 9 agosto lo spettacolo era destinato a ripetersi a Nagasaki, causando 60.000 morti. Il 15 agosto l’URSS dichiarò anch’essa guerra al Giappone e l’imperatore Hirohito decise di offrire agli alleati la resa incondizionata. Con la firma dell’armistizio, il 2 settembre 1945, la seconda guerra mondiale si poteva considerare ufficialmente conclusa.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Per poter meglio comprendere il comportamento delle truppe giapponesi al fronte, che rifiutavano la sconfitta arrivando persino ad effettuare cariche suicide, pur di non essere catturati, è necessario compiere un’analisi della società in cui vivevano. Su consiglio della professoressa Orsi, ho letto il saggio “Il crisantemo e la spada: Modelli di cultura giapponese”, di Ruth Benedict, antropologa culturale, cui, nel 1944, è stato assegnato il compito dal governo statunitense di scoprire cosa avrebbero fatto i giapponesi alla fine della guerra, come si sarebbe dovuto comportare il governo nei loro confronti e se era necessario un annientamento completo del popolo giapponese.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Uno dei caratteri fondamentali della società giapponese che emerge dal libro si può riassumere nella massima più volte citata “Ognuno al proprio posto”. Infatti, il popolo nipponico è fortemente contraddistinto da profonde divisioni sociali, che impongono tutta una serie di obblighi o privilegi nei confronti degli altri. Qualsiasi struttura sociale è al suo interno gerarchizzata, che si parli della famiglia, dell’esercito o dello Stato. Nella famiglia esiste una prerogativa sia di anzianità, per cui i figli devono obbedire ai fratelli maggiori e ai genitori, che a loro volta devono obbedire ai nonni; che di genere: le mogli devono obbedire ai mariti e ai suoceri, mentre le figlie devono obbedire a tutti, anche ai fratellini maschi. All’interno dello Stato la scala gerarchica castale è andata perdendosi con la restaurazione Meiji, che ha causato l’abolizione dei[/SIZE][SIZE=15pt]大名[/SIZE](だいみょう)[SIZE=15pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Daimyō) e del sistema feudale; tuttavia l’Imperatore ([/SIZE][SIZE=15pt]天皇[/SIZE](てんのう)[SIZE=12pt], Tennō) continua ad essere visto come la massima autorità, insignita anche di poteri divini, e il compito di ogni giapponese è di essergli fedele in qualsiasi circostanza. Questa struttura gerarchica all’interno della società si riflette anche a livello internazionale: il compito del Giappone, infatti, era di creare una “Grande Asia dell’Est”, in cui riunire i Paesi asiatici, che avrebbero dovuto provare orgoglio nell’essere sottomessi ad una nazione in cui era in vigore un’organizzazione veramente gerarchica da cima a fondo.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nella cultura giapponese, un elemento che deriva da questa rigida divisione sociale è l’on ([/SIZE][SIZE=15pt]恩(おん)[/SIZE][SIZE=12pt]), che possiamo impropriamente tradurre con “obbligo”. Impropriamente perché un obbligo, come lo intendiamo noi, prevede un’azione che risolve la circostanza. Invece la contrazione di un on comporta la nascita di una devozione intramontabile. Esistono delle categorie specifiche di on: il ko on ([/SIZE][SIZE=15pt]瑚(こ)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dall'imperatore all’atto di vivere nella società; l’oya on ([/SIZE][SIZE=15pt]親(おや)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dai genitori all'atto della nascita, il mushi no on ([/SIZE][SIZE=15pt]主(むしの)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dal padrone o dal capo, lo shi no on ([/SIZE][SIZE=15pt]師(しの)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dal maestro di una disciplina. A questi obblighi, o doveri corrispondono diversi modi per cercare di ripagarli: il gimu ([/SIZE][SIZE=15pt]義務[/SIZE](ぎむ)[SIZE=12pt]), che è la forma di pagamento più completa, ma pur sempre solo parziale, e illimitata nel tempo; il chū ([/SIZE][SIZE=15pt]忠(ちゅう)[/SIZE][SIZE=12pt]), il dovere verso l’Imperatore, la legge, la Patria; il ko ([/SIZE][SIZE=15pt]古(こ)[/SIZE][SIZE=12pt]), il dovere verso i genitori e gli antenati; il ninmu ([/SIZE][SIZE=15pt]任務[/SIZE](にんむ)[SIZE=12pt]), il dovere verso il proprio lavoro. Ad essi si aggiungono i diversi giri ([/SIZE][SIZE=15pt]義理[/SIZE](ぎり)[SIZE=12pt]), doveri considerati tali da dover essere ripagati con equivalenza matematica rispetto al favore ricevuto e sono limitati nel tempo. Esistono diversi tipi di giri: i giri nei confronti del mondo, che a loro volta si suddividono in doveri verso il sovrano, doveri verso i parenti, doveri verso le persone non imparentate a causa di un on ricevuto (per esempio un dono in denaro, un favore, un contributo in lavoro), doveri verso le persone legate da parentela non abbastanza stretta (zie, zii, nipoti) per on ricevuti non da loro, ma da antenati comuni. Ad essi si aggiungono i giri nei confronti del proprio nome, ovvero la versione giapponese del concetto tedesco di onore (Die ehre), suddivisi in: dovere di cancellare il disonore per un’offesa o per un’accusa di insuccesso, ossia, “dovere” di ostilità o di vendetta (N.B. questo modo di regolare i conti non è considerato aggressione); dovere di non ammettere un insuccesso (personale), o la propria ignoranza; dovere di rispettare le regole di convenienza giapponesi (mantenere un comportamento decoroso, non vivere in maniera superiore alla propria condizione sociale, dominare ogni segno di emozione nelle occasioni non appropriate ecc.)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Tra tutti questi modi di ripagare l’on esiste, ovviamente una gerarchia, in cui il giri è considerato il meno importante, inteso come dovere nei rapporti privati, da non prendere in considerazione se venisse in conflitto con un dovere della sfera sociale. Il massimo dovere da seguire sempre in ogni circostanza è invece il chū, per indicare la superiorità dell’Imperatore, per il quale bisogna essere pronti anche a dare la vita.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Il racconto ha la struttura di un romanzo, segue la vicenda di un battaglione dell’esercito giapponese situato in Nuova Britannia tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944.“Il 90% degli eventi narrati in Verso una nobile morte è realmente accaduto”, così inizia la postfazione di Mizuki. In questo modo l’orrore provato dal lettore nelle 350 pagine di fumetto si concretizza e si dissipa definitivamente l’illusione che la vicenda fosse un’iperbole il cui scopo era di denunciare la condotta dei capi dell’esercito durante la guerra.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nel manga assistiamo alla lenta, ma inesorabile, distruzione di una compagnia del battaglione, inizialmente decimata dai pericoli della giungla (malaria, dengue, alligatori), in seguito anche attaccata dalle truppe americane sbarcate sull’isola. Quando la situazione inizia a degenerare, il comandante delle truppe ordina una carica suicida, nonostante una tattica più sensata sarebbe stata il ritiro delle truppe sulla collina, seguito da un’azione di guerriglia. Tuttavia alcuni soldati sopravvivono alla carica grazie a fortuite coincidenze: per la fitta pioggia vengono separati dai loro commilitoni e allontanati anche dal nemico. Quando il lettore pensa che ci possa essere un finale positivo almeno per parte dei soldati, ecco che invece le alte cariche decidono che sarebbe disonorevole per l’esercito la sopravvivenza di soldati che sarebbero dovuti morire, quindi ordinano ai maggiori in grado di compiere seppuku (particolare forma di suicidio che prevede di tagliarsi il ventre con una katana per ripristinare il proprio onore), mentre i soldati rimanenti sono costretti ad una seconda carica suicida che stermina definitivamente l’unità.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Uno degli elementi costanti del manga sono i soprusi che i soldati sono costretti a subire da parte dei superiori, ai quali non si possono sottrarre, per via degli obblighi chū, rappresentando essi la volontà dell’Imperatore. Appena qualcuno commette il minimo errore, ecco che arriva il carico di ceffoni da parte dell’ufficiale in carica con la relativa onomatopea bibibibibin. Una delle frasi più celebri dell’opera che rappresenta al meglio il rapporto dei soldati con i loro superiori è: “-Le nuove reclute sono come i tatami [tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata]… Bisogna batterli per renderli più soffici e comodi. –Sì, signore, grazie, signore.” Ciò nonostante, alle reclute erano comunque concesse delle piccole vendette verso i loro superiori, rispettando gli obblighi giri, ad esempio, Maruyama evacua nel bidone in cui di lì a poco sarebbe andato a lavarsi il comandante.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Un altro elemento che mi ha fatto riflettere è stato l’uso delle canzoni. All’inizio della vicenda, nella scena del bordello, molti soldati non riescono ad avere un rapporto e quindi “si sono dovuti accontentare della Ballata della prostituta”, un’antica canzone popolare di cui non esistono registrazioni, né si conosce il titolo. Il testo presenta forti somiglianze con gli antichi lamenti delle prostitute e in particolare con la ballata Kuruwakouta (letteralmente “figlia del quartiere a luci rosse”). Alla fine della vicenda, invece, sono i soldati stessi a cantarla prima della carica suicida, creando un paragone agghiacciante tra le prostitute che devono soddisfare i piaceri carnali dell’esercito e i soldati che devono soddisfare i piaceri di conquista dell’Imperatore.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Innanzitutto è necessario porre una distinzione tra questi attacchi suicida e quelli dei kamikaze ([/SIZE][SIZE=15pt]神[/SIZE](かみ)[SIZE=15pt]風[/SIZE](かぜ)[SIZE=12pt], vento divino).Quest’ultimo termine inizialmente doveva indicare un tifone che aveva salvato il Giappone, sbaragliando la flotta mongola nel XIII secolo. Durante la seconda guerra mondiale esso iniziò ad essere utilizzato per indicare gli attacchi suicidi effettuati con aerei carichi di esplosivo da parte dei giapponesi contro le forze alleate (principalmente statunitensi). La differenza fondamentale sta nel numero di soldati coinvolti (uno o pochi aviatori contro centinaia di soldati semplici) e nelle motivazioni ideologiche dietro agli attacchi: per i kamikaze erano tattiche logistiche finalizzate a massimizzare i danni con minime perdite, per le gyokusai si trattava dell’ultima eventualità da prendere in considerazione (secondo la mentalità giapponese) per evitare di perdere l’onore.[/SIZE]
[SIZE=12pt]L’interpretazione che la Benedict dà di queste cariche, è diversa da quella narrata da Mizuki nel manga e nella postfazione (dal titolo accusatorio “A che cosa è servito?”). La causa di questa differenza per me è da imputare al fatto che l’antropologa non abbia mai avuto effettivamente modo di interagire con i soldati, o di trovarsi all’interno della società giapponese, ma la sua indagine (di cui si apprezza ancor di più il valore tenendo conto delle condizioni proibitive in cui l’ha svolta) si è basata esclusivamente sulla testimonianza di giapponesi emigrati negli Stati Uniti.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Dal suo saggio, sembra emergere la convinzione che i soldati giapponesi andassero molto volentieri incontro alla nobile morte poiché la seconda guerra mondiale era l’occasione per dimostrare il proprio valore “avendo gli occhi di tutto il mondo addosso”, come recitava una propaganda. Questa convinzione era motivata dagli obblighi chū verso l’Imperatore, in nome del quale bisognava sopportare qualsiasi violenza fisica. Inoltre, durante la guerra, la radio giapponese giunse fino a celebrare la vittoria dello spirito sull’evento puramente fisico della morte. Infine, i possibili sopravvissuti alla carica, si sarebbero trovati in una situazione sociale infamante. Nello specifico, sarebbero stati espropriati dei beni, della casa, della moglie e dei figli, che li avrebbero considerati morti avendo arrecato disonore alla famiglia e infangando il proprio nome. Al contrario, la gyokusai era considerata come una morte onorevole, in grado di porre rimedio a qualsiasi errore si fosse compiuto in vita.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Dal manga, invece, si evince che la questione era molto più complessa: questo atteggiamento non era condiviso da tutte le alte gerarchie dell’esercito, ma anzi, qualcuno trovava inutile “buttare via così le vite di centinaia di soldati, anziché cercare di sfruttare al meglio il territorio e massimizzare i danni”. Questo chiarisce perché è necessaria una distinzione con i kamikaze, che, come detto in precedenza, avevano invece esattamente questo scopo. Dalla carica suicida narrata, ottantuno soldati sono sopravvissuti: in primis, perché separati dai commilitoni, ma anche per paura di una morte inutile, a questo proposito Mizuki afferma nella postfazione che “Ogni carica suicida ha i suoi sopravvissuti”.[/SIZE]
[SIZE=12pt]La mia opinione è che le cariche suicide non sono nate esclusivamente dall’amor di patria, ma sono fortemente condizionate da aspetti tipici della cultura nipponica. Tuttavia quest’influenza non è totalizzante, poiché “in punto di morte siamo tutti esseri umani” e in quanto tali non riusciamo a distaccarci completamente dal nostro corpo.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Giardina Andrea, Sabbatucci Giovanni, Vidotto Vittorio (2008), Nuovi profili storici 3: Dal 1900 a oggi, Bologna, Editori Laterza[/SIZE]
[SIZE=12pt]Giusfredi Federico, Ruth Benedict: Il crisantemo e la spada, <http://www.liceofoscolo.it/resources/materiali%20didattici/studenti/materiale/relazioni/giappone.htm> (consultato il 12/6/2014)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Manga in Enciclopedia Treccani, <http://www.treccani.it/enciclopedia/manga/> (consultato il 10/6/2014)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Manga in Microsoft Encarta 2007 [DVD][/SIZE]
[SIZE=12pt]Manga in Wikipedia, <http://it.wikipedia.org/wiki/Manga> (consultato il 10/6/2014)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Mizuki Shigeru (2013), Verso una nobile morte, Città di Castello (PG), Rizzoli Lizard[/SIZE]
[SIZE=12pt]Mizuki Shigeru: Sôin gyokusai seyo! in Sgt. [/SIZE][SIZE=12pt]Tanuki's Lonely Hearts Club Blog[/SIZE][SIZE=12pt], <http://sgttanuki.blogspot.it/2009/06/mizuki-shigeru-soin-gyokusai-seyo.html> (consultato l’11/6/2014) [/SIZE]
[SIZE=12pt]Petacco Arrigo (1979), La seconda guerra mondiale, Bergamo, Armando Curcio Editore[/SIZE]
[SIZE=12pt]Tatami in Wikipedia, <http://it.wikipedia.org/wiki/Tatami> (consultato il 9/6/2014)[/SIZE]
Sono accettati commenti di qualsiasi tipo, purtroppo ho già consegnato il tutto settimana scorsa, quindi non potrò sfruttare eventuali suggerimenti
EDIT: sul word ero riuscito a mettere i furigana, qui me li ha messi tra parentesi in basso in hiragana
Inizio io ovviamente (@Lugia se passi di qui: questa versione ha subito pesanti modifiche soprattutto nella prefazione rispetto alla tua, buttagli un occhio se ti va)
[SIZE=18pt]La società nipponica e l’ideologia della Nobile Morte [/SIZE]
[SIZE=17pt]Amor di patria o condizionamento culturale?[/SIZE]
[SIZE=14pt]Ai miei genitori, cui devo tutto quello che sono,[/SIZE]
[SIZE=14pt]A mia sorella, prima insegnante, ora compagna dei miei studi notturni,[/SIZE]
[SIZE=14pt]A tutti i miei parenti, i cui consigli sono sempre giunti nel momento del bisogno,[/SIZE]
[SIZE=14pt]Ai miei amici, per l’instancabile supporto fornito nel corso degli anni,[/SIZE]
[SIZE=14pt]A tutti i professori, presenti e passati, che hanno contribuito a formarmi,[/SIZE]
[SIZE=14pt]indicando spesso la giusta via da seguire.d[/SIZE]
[SIZE=16pt]Prefazione: il perché della scelta[/SIZE]
[SIZE=12pt]All’inizio dell’anno scolastico, parlando di tesine, i professori ci hanno consigliato di essere originali, evitando di trattare i soliti argomenti per cercare di incuriosire la commissione durante l’esposizione. [/SIZE][SIZE=12pt]Ho cercato a lungo un argomento che potesse interessare tutti i membri della commissione, anche quelli delle materie non affrontate. Infine sono giunto a una conclusione: ciò che può attirare un docente estraneo alla disciplina, non è l’argomento trattato, ma il modo in cui esso viene trattato. Molti di voi avranno già assistito ad innumerevoli prove d’esame in cui gli studenti hanno portato come argomento a piacere la seconda guerra mondiale, per questo ho deciso di provare a rendere innovativo un tema così classico.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nello specifico, ho scelto di concentrarmi su un aspetto trascurato da molti studenti, accostando due fonti estremamente diverse tra loro e difficilmente citate in un liceo scientifico: un saggio di antropologia culturale ed un manga. Mentre il primo è spesso oggetto di studio nei licei umanistici, non sono molti gli studenti che optano per un manga come argomento d’esame, senza che il genere sia stato trattato nel programma di storia dell’arte.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Il manga in questione è “Verso una nobile morte” di Shigeru Mizuki, uno dei padri fondatori del manga moderno. Nell’opera l’autore descrive la situazione dei soldati giapponesi al fronte durante la seconda guerra mondiale. In particolare, l’aspetto su cui ho voluto focalizzare la mia attenzione, è il concetto di nobile morte: le cariche suicide compiute dalle truppe giapponesi in battaglia, quando la sconfitta era certa, al fine di salvare il proprio onore ed evitare di essere fatti prigionieri dal nemico. Scopo dell’indagine è individuare le cause di un simile comportamento, del tutto inspiegabile agli occhi di europei ed americani, che in tali circostanze optavano per la resa incondizionata al nemico.[/SIZE]
[SIZE=12pt]L’ispirazione per questa tesina nasce dalla mia passione per la cultura giapponese, in particolare per le forme d’arte con cui sono maggiormente conosciuti nel mondo occidentale: i manga e gli anime. Ho iniziato a guardare anime in quarta elementare e a questa passione si è subito associata ovviamente anche quella per i manga. Quando l’anno scorso per il compleanno ho ricevuto una copia di “Verso una nobile morte”, ho pensato di unire l’utile al dilettevole, usandolo come argomento della tesina, sperando in questo modo di interessare la commissione d’esame.[/SIZE]
[SIZE=16pt]Excursus sulla cultura dei manga[/SIZE]
[SIZE=12pt]Con manga ([/SIZE][SIZE=15pt]漫[/SIZE](まん)[SIZE=15pt]画[/SIZE](が)[SIZE=12pt]) in Giappone ci si riferisce a qualsiasi tipo di fumetto, anche se, a livello internazionale, la parola generalmente indica un fumetto di origine giapponese. La parola deriva dall’unione dei kanji [/SIZE][SIZE=15pt]漫[/SIZE](みがりに)[SIZE=12pt], migarini, casuale e [/SIZE][SIZE=15pt]画[/SIZE](かぎる)[SIZE=15pt],[/SIZE][SIZE=12pt] kagiru, immagine (quindi immagine casuale), ed è il titolo di un libro del 1814 di Katsushika Hokusai, pittore e incisore giapponese, che raccoglie una serie di schizzi di vari soggetti, tra cui paesaggi, flora, fauna, vita quotidiana e sovrannaturale.[/SIZE][SIZE=12pt]In Giappone, il termine manga fa rifermento a fumetti di ogni provenienza, rivolti a qualsiasi pubblico e senza che la definizione implichi un particolare stile o genere.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Al di fuori del Giappone, invece, il termine manga indica esclusivamente i fumetti di origine giapponese, per sottolineare la differenza generalmente presente con lo stile, gli argomenti ed il target dei fumetti occidentali.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Questa distinzione assume un’importanza rilevante soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, in cui molto spesso il fumetto viene indissolubilmente associato ad un pubblico di bambini. Basti pensare ai celeberrimi personaggi di Walt Disney, emblemi del fumetto anche in Italia, grazie alla rivista Topolino. I manga, con le loro figure dai tratti spesso più infantili rispetto ad alcuni comics americani (come quelli della Marvel), gli occhi grandi e le teste sproporzionate al corpo, vengono spesso associati, da un occhio inesperto, ad un pubblico giovane. L'origine di questa caratteristica è un prestito culturale che si fa risalire al 1946 quando il famoso autore Osamu Tezuka (1928-1989), soprannominato il dio dei manga vide pubblicato il suo primo manga, [/SIZE][SIZE=12pt]マアチャンの[/SIZE][SIZE=15pt]日記帳[/SIZE](にっきちょう)[SIZE=12pt], Maa-chan no Nikkichō. Egli stesso, grande ammiratore di Walt Disney, ammette di essersi ispirato nel suo capolavoro Kimba, il Leone Bianco ([/SIZE][SIZE=12pt]ジャングル[/SIZE][SIZE=15pt]大帝[/SIZE](たいてい)[SIZE=12pt], Jungle Taitei) allo stile del Bambi disneyano. Tuttavia, ormai è difficile caratterizzare il genere manga esclusivamente per lo stile di disegno, poiché numerose pubblicazioni più recenti presentano stili di disegno molto differenti, ad esempio[/SIZE][SIZE=12pt]エンジェル・ハート[/SIZE][SIZE=12pt] (Angel Heart), oppure[/SIZE][SIZE=12pt]ベルセルク[/SIZE][SIZE=12pt] (Berserk). Quindi gli elementi che usualmente vengono considerati caratteristici dei manga sono l’impaginazione, la trama e i generi.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Il manga giapponese si legge al contrario rispetto al fumetto occidentale, cioè dall'ultima alla prima pagina. Anche le vignette si leggono da destra verso sinistra, dall'alto verso il basso, rispettando i canoni di scrittura giapponese. I primi manga importati in Italia alla fine degli anni ‘80 sono stati modificati specchiando le vignette, per permettere al lettore di leggere agevolmente il manga secondo le nostre consuetudini. Tuttavia, in seguito, anche a causa della pressione di alcune case editrici giapponesi, che si opponevano alla modificazione delle vignette, dalla prima edizione di [/SIZE][SIZE=12pt]ドラゴンボール[/SIZE] [SIZE=12pt](Dragon Ball) edita da Star Comics nel 1995, possiamo ritrovare l’ordine di lettura originale.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Un altro elemento di forte differenza rispetto ai fumetti occidentali riguarda la trama. Infatti, le avventure dei protagonisti hanno sempre un inizio e una fine. L’avvio della serie può non coincidere con l’inizio delle vicende narrate, spesso vengono usate tecniche di flashback per narrare i fatti antecedenti e rivelare avvenimenti importanti anche molti capitoli dopo l’incipit. Comunque, la fine della serie (che può durare anche molti anni e centinaia di capitoli se riscuote particolare successo), coincide necessariamente con il termine delle vicende dei personaggi. Alcune eccezioni si possono rilevare per personaggi molto amati dal pubblico, che vengono ripresentati in varianti della storia principale, oppure di cui si raccontano episodi accaduti prima dell'inizio della serie principale. Spesso il successo di un personaggio di un manga si risolve in una trasposizione, più o meno fedele, delle sue avventure sotto forma di anime (cartone animato giapponese).[/SIZE]
[SIZE=12pt]Un altro elemento importante di cui tener conto quando si parla di manga è la loro differenziazione in generi. Infatti, mentre nella cultura occidentale, il fumetto è visto come un genere infantile, in Giappone [/SIZE][SIZE=12pt]presenta i caratteri di un mezzo di comunicazione di massa e per questo può essere rivolto a chiunque. I generi principali sono: [/SIZE][SIZE=15pt]子供[/SIZE](こども)[SIZE=12pt] (Kodomo), p[/SIZE][SIZE=12pt]er bambini fino ai 10 anni, [/SIZE][SIZE=15pt]少女[/SIZE](しょうじょ)[SIZE=12pt](Sh[/SIZE][SIZE=12pt]ōjo), per ragazze dai 10 ai 18 anni, [/SIZE][SIZE=15pt]少年[/SIZE](しょうねん)[SIZE=12pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Shōnen), per ragazzi dai 10 ai 18 anni, [/SIZE][SIZE=15pt]青年[/SIZE](せいねん)[SIZE=12pt](Seinen), per maggiorenni maschi [/SIZE][SIZE=15pt]女性[/SIZE](じょせい)[SIZE=12pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Josei) o [/SIZE][SIZE=12pt]レディー[/SIZE][SIZE=12pt]ス[/SIZE][SIZE=12pt](Ladies) o [/SIZE][SIZE=12pt]レディコ[/SIZE][SIZE=12pt]ミ[/SIZE][SIZE=12pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Ladicomi, abbreviazione di Lady Comics), per maggiorenni femmine. Oltre a questi macro-generi che dividono i manga in fasce d’età dei lettori, esistono altre tipologie, che possono essere comuni a più categorie, come i mecha, gli shōjo-ai, gli hentai ecc.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Si può quindi capire l’importanza che i manga rivestono nella società giapponese, al punto che il capolavoro di Gosho Aoyama, [/SIZE][SIZE=15pt]名探偵[/SIZE](めいたんてい)[SIZE=12pt]コナン[/SIZE][SIZE=12pt] (Meitantei Conan), conosciuto in Italia con il nome di Detective Conan, sia stato nominato “Ambasciatore della cultura giapponese nel mondo”, per i costanti riferimenti a vari usi e costumi nipponici all’interno della serie.[/SIZE]
[SIZE=16pt]La seconda guerra mondiale vista dal Giappone[/SIZE]
[SIZE=12pt]Le cause dell’intervento nipponico durante la seconda guerra mondiale sono da ricercare negli anni immediatamente precedenti l’intervento nazista in Polonia e sono da ricollegarsi all’espansionismo giapponese della prima metà del ventesimo secolo.[/SIZE][SIZE=12pt]Già nel 1894 il Giappone, in piena Restaurazione Meiji, diede prova della propria rinnovata forza militare invadendo e conquistando la Corea, Stato fino allora vassallo della Cina, senza che questa potesse opporsi in alcun modo. Pochi anni dopo, nel 1904, a causa di un conflitto di influenze sulle coste dell’Asia orientale, il Giappone mosse guerra alla Russia e, in poco più di un anno, riuscì ad ottenere anche la Manciuria meridionale, sbaragliando le forze militari russe (questa sconfitta è una delle cause principali che hanno portato alla rivoluzione del 1905 in Russia).[/SIZE]
[SIZE=12pt]Con la partecipazione alla prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa, il Giappone riuscì a consolidare, con un costo militare relativamente esiguo, la sua posizione di massima potenza asiatica ed a rafforzare la sua struttura produttiva. Questo obiettivo fu raggiunto anche grazie alla conquista di nuovi mercati non più raggiungibili dalle potenze europee impegnate nel conflitto; in particolare il Giappone espanse la sua influenza sulla Cina, costretta a concedergli privilegi industriali, ferroviari e minerari sul suo territorio e diritti commerciali nella Mongolia interna e nella Manciuria meridionale.[/SIZE]
[SIZE=12pt]In seguito, nel 1931, il Giappone invase anche la Manciuria settentrionale, usando come pretesto un incidente di frontiera, creando uno stato fantoccio (il Manchukuo), che sarebbe dovuto servire come base per un’ulteriore espansione nel continente. Quindi, nell’estate del ‘37, il Giappone dichiarò guerra direttamente alla Repubblica di Cina, prendendo possesso, all’alba del nuovo conflitto mondiale, di buona parte della zona costiera, del Nord-Est industrializzato e delle maggiori città cinesi, instaurando anche un governo collaborazionista.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Durante la seconda guerra mondiale il Giappone sfruttò l’occasione per cercare di allargare le sue mire espansionistiche a tutti i territori del Sud-Est asiatico. Quando, nel luglio del ’41, i giapponesi invasero l’Indocina francese, Stati Uniti e Gran Bretagna reagirono decretando il blocco delle esportazioni verso il Giappone. Essendo una nazione povera di materie prime e non potendo accettare di cedere alle potenze straniere per il proprio onore, il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò, senza previa dichiarazione di guerra, la flotta degli Stati Uniti ancorata a Pearl Harbour, nelle Hawaii, distruggendone gran parte. Avendo eliminato il principale rivale nel progetto di espansione, i Giapponesi raggiunsero tutti gli obiettivi che si erano prefissati: nel maggio ’42 controllavano le Filippine, la Malesia, la Birmania, l’Indonesia olandese e minacciavano anche Australia e India, rendendo necessario uno spostamento di truppe britanniche dal Medio Oriente verso le colonie in pericolo.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Tuttavia la massima espansione territoriale è stata immediatamente seguita dall’inizio del declino dell’Impero Giapponese: con le due battaglie del Mar dei Coralli, di fronte alle coste della Nuova Guinea, e delle isole Midway, a ovest delle Hawaii, gli americani fermarono la spinta offensiva dei giapponesi. A questi scontri seguì, nel febbraio 1943 la conquista americana dell’isola di Guadalcanal, mettendo fine alle mire espansionistiche del Giappone, che da qui in avanti si limitò a cercare di difendere le posizioni raggiunte dall’inizio della guerra.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Ciò nonostante i suoi sforzi si rivelarono vani: a Guadalcanal seguì una lenta ma inesorabile riconquista da parte degli Stati Uniti delle posizioni perdute nel Pacifico, avvalendosi sulla loro superiorità industriale, che permise loro di sfruttare al meglio le recenti innovazioni tecnologiche. In particolare furono decisive le portaerei e i bombardieri strategici, questi ultimi dalla fine del 1944 cominciarono a bersagliare sistematicamente il territorio nipponico.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nell’estate del ’45, finita la guerra in Europa, gli alleati si prepararono a combattere nel territorio nemico con tutte le forze disponibili. Tuttavia, i giapponesi rifiutavano di arrendersi e, anzi, combatterono con maggior vigore proprio quando le situazioni sembravano disperate, lanciandosi anche in cariche suicide contro gli avversari per cercare di massimizzare i danni (in realtà questa spiegazione non è per nulla sufficiente, come chiarirò in seguito).[/SIZE]
[SIZE=12pt]Poiché il Giappone rifiutava di arrendersi nonostante la sconfitta fosse inevitabile, il presidente americano Harry Truman decise di impiegare contro il Giappone la nuova arma “totale”, la bomba a fissione nucleare o bomba atomica, che era stata appena messa a punto da un gruppo di scienziati. La decisione fu presa per cercare di abbreviare la durata della guerra, ma anche per dimostrare al mondo la potenza militare americana. Il 6 agosto 1945 un bombardiere americano sganciava la prima bomba su Hiroshima, mietendo 100.000 vittime e la distruzione totale della città (la struttura di un solo edificio sopravvisse alla bomba ed è oggi un memoriale), tre giorni dopo, il 9 agosto lo spettacolo era destinato a ripetersi a Nagasaki, causando 60.000 morti. Il 15 agosto l’URSS dichiarò anch’essa guerra al Giappone e l’imperatore Hirohito decise di offrire agli alleati la resa incondizionata. Con la firma dell’armistizio, il 2 settembre 1945, la seconda guerra mondiale si poteva considerare ufficialmente conclusa.[/SIZE]
[SIZE=16pt]Analisi della società nipponica nella prima metà del XX secolo[/SIZE]
[SIZE=12pt]Per poter meglio comprendere il comportamento delle truppe giapponesi al fronte, che rifiutavano la sconfitta arrivando persino ad effettuare cariche suicide, pur di non essere catturati, è necessario compiere un’analisi della società in cui vivevano. Su consiglio della professoressa Orsi, ho letto il saggio “Il crisantemo e la spada: Modelli di cultura giapponese”, di Ruth Benedict, antropologa culturale, cui, nel 1944, è stato assegnato il compito dal governo statunitense di scoprire cosa avrebbero fatto i giapponesi alla fine della guerra, come si sarebbe dovuto comportare il governo nei loro confronti e se era necessario un annientamento completo del popolo giapponese.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Uno dei caratteri fondamentali della società giapponese che emerge dal libro si può riassumere nella massima più volte citata “Ognuno al proprio posto”. Infatti, il popolo nipponico è fortemente contraddistinto da profonde divisioni sociali, che impongono tutta una serie di obblighi o privilegi nei confronti degli altri. Qualsiasi struttura sociale è al suo interno gerarchizzata, che si parli della famiglia, dell’esercito o dello Stato. Nella famiglia esiste una prerogativa sia di anzianità, per cui i figli devono obbedire ai fratelli maggiori e ai genitori, che a loro volta devono obbedire ai nonni; che di genere: le mogli devono obbedire ai mariti e ai suoceri, mentre le figlie devono obbedire a tutti, anche ai fratellini maschi. All’interno dello Stato la scala gerarchica castale è andata perdendosi con la restaurazione Meiji, che ha causato l’abolizione dei[/SIZE][SIZE=15pt]大名[/SIZE](だいみょう)[SIZE=15pt]([/SIZE][SIZE=12pt]Daimyō) e del sistema feudale; tuttavia l’Imperatore ([/SIZE][SIZE=15pt]天皇[/SIZE](てんのう)[SIZE=12pt], Tennō) continua ad essere visto come la massima autorità, insignita anche di poteri divini, e il compito di ogni giapponese è di essergli fedele in qualsiasi circostanza. Questa struttura gerarchica all’interno della società si riflette anche a livello internazionale: il compito del Giappone, infatti, era di creare una “Grande Asia dell’Est”, in cui riunire i Paesi asiatici, che avrebbero dovuto provare orgoglio nell’essere sottomessi ad una nazione in cui era in vigore un’organizzazione veramente gerarchica da cima a fondo.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nella cultura giapponese, un elemento che deriva da questa rigida divisione sociale è l’on ([/SIZE][SIZE=15pt]恩(おん)[/SIZE][SIZE=12pt]), che possiamo impropriamente tradurre con “obbligo”. Impropriamente perché un obbligo, come lo intendiamo noi, prevede un’azione che risolve la circostanza. Invece la contrazione di un on comporta la nascita di una devozione intramontabile. Esistono delle categorie specifiche di on: il ko on ([/SIZE][SIZE=15pt]瑚(こ)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dall'imperatore all’atto di vivere nella società; l’oya on ([/SIZE][SIZE=15pt]親(おや)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dai genitori all'atto della nascita, il mushi no on ([/SIZE][SIZE=15pt]主(むしの)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dal padrone o dal capo, lo shi no on ([/SIZE][SIZE=15pt]師(しの)恩[/SIZE](おん)[SIZE=12pt]), che si riceve dal maestro di una disciplina. A questi obblighi, o doveri corrispondono diversi modi per cercare di ripagarli: il gimu ([/SIZE][SIZE=15pt]義務[/SIZE](ぎむ)[SIZE=12pt]), che è la forma di pagamento più completa, ma pur sempre solo parziale, e illimitata nel tempo; il chū ([/SIZE][SIZE=15pt]忠(ちゅう)[/SIZE][SIZE=12pt]), il dovere verso l’Imperatore, la legge, la Patria; il ko ([/SIZE][SIZE=15pt]古(こ)[/SIZE][SIZE=12pt]), il dovere verso i genitori e gli antenati; il ninmu ([/SIZE][SIZE=15pt]任務[/SIZE](にんむ)[SIZE=12pt]), il dovere verso il proprio lavoro. Ad essi si aggiungono i diversi giri ([/SIZE][SIZE=15pt]義理[/SIZE](ぎり)[SIZE=12pt]), doveri considerati tali da dover essere ripagati con equivalenza matematica rispetto al favore ricevuto e sono limitati nel tempo. Esistono diversi tipi di giri: i giri nei confronti del mondo, che a loro volta si suddividono in doveri verso il sovrano, doveri verso i parenti, doveri verso le persone non imparentate a causa di un on ricevuto (per esempio un dono in denaro, un favore, un contributo in lavoro), doveri verso le persone legate da parentela non abbastanza stretta (zie, zii, nipoti) per on ricevuti non da loro, ma da antenati comuni. Ad essi si aggiungono i giri nei confronti del proprio nome, ovvero la versione giapponese del concetto tedesco di onore (Die ehre), suddivisi in: dovere di cancellare il disonore per un’offesa o per un’accusa di insuccesso, ossia, “dovere” di ostilità o di vendetta (N.B. questo modo di regolare i conti non è considerato aggressione); dovere di non ammettere un insuccesso (personale), o la propria ignoranza; dovere di rispettare le regole di convenienza giapponesi (mantenere un comportamento decoroso, non vivere in maniera superiore alla propria condizione sociale, dominare ogni segno di emozione nelle occasioni non appropriate ecc.)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Tra tutti questi modi di ripagare l’on esiste, ovviamente una gerarchia, in cui il giri è considerato il meno importante, inteso come dovere nei rapporti privati, da non prendere in considerazione se venisse in conflitto con un dovere della sfera sociale. Il massimo dovere da seguire sempre in ogni circostanza è invece il chū, per indicare la superiorità dell’Imperatore, per il quale bisogna essere pronti anche a dare la vita.[/SIZE]
[SIZE=16pt]Approfondimento sui soldati giapponesi al fronte[/SIZE]
[SIZE=12pt]Probabilmente “Verso una nobile morte” ([/SIZE][SIZE=15pt]総[/SIZE](そう)[SIZE=15pt]員[/SIZE](いん)[SIZE=15pt]玉[/SIZE](ぎょく)[SIZE=15pt]砕[/SIZE](さい)[SIZE=12pt]せよ[/SIZE]![SIZE=12pt], Sōin gyokusai seyo!, Morite onorevolmente, è un ordine!) di Shigeru Mizuki è l’opera che meglio riesce a rappresentare e convogliare nel lettore l’esperienza vissuta dai militari giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Innanzitutto è notabile la forma in cui presenta questo soggetto: un manga, ma non il genere di manga usuale all’epoca (è stato pubblicato per la prima volta nel 1973), pubblicato sulle riviste settimanali, un capitolo alla volta; ma in un formato molto più simile al non ancora inventato graphic novel. I tratti usati sono molto contrastanti: al realismo pieno di dettagli nella descrizione dei paesaggi, si oppongono tratti semplici, caricaturali, che rappresentano i militari giapponesi, a mala pena distinguibili l’uno dall’altro. Il linguaggio è schietto, informale, teso a riprodurre fedelmente quello dell’esercito: nel primo dialogo presente all’inizio dell’opera un superiore ordina a due soldati di raggiungere i loro commilitoni al bordello, spesso i superiori danno degli idioti ai soldati e questi, quando si allontanano, li insultano a loro volta. I dialoghi hanno un peso rilevante all’interno delle vignette, ma lasciano quasi sempre spazio per lo sfondo o i personaggi. Per dare rilevanza ad alcune battute, soprattutto nel caso delle canzoni, anziché essere racchiuse nei classici balloon, escono insieme ai disegni a fianco alle onomatopee, anch’esse elemento costante la cui funzione è di far immedesimare ancora di più il lettore nella vicenda fornendo stimoli uditivi.[/SIZE][SIZE=12pt]Il racconto ha la struttura di un romanzo, segue la vicenda di un battaglione dell’esercito giapponese situato in Nuova Britannia tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944.“Il 90% degli eventi narrati in Verso una nobile morte è realmente accaduto”, così inizia la postfazione di Mizuki. In questo modo l’orrore provato dal lettore nelle 350 pagine di fumetto si concretizza e si dissipa definitivamente l’illusione che la vicenda fosse un’iperbole il cui scopo era di denunciare la condotta dei capi dell’esercito durante la guerra.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Nel manga assistiamo alla lenta, ma inesorabile, distruzione di una compagnia del battaglione, inizialmente decimata dai pericoli della giungla (malaria, dengue, alligatori), in seguito anche attaccata dalle truppe americane sbarcate sull’isola. Quando la situazione inizia a degenerare, il comandante delle truppe ordina una carica suicida, nonostante una tattica più sensata sarebbe stata il ritiro delle truppe sulla collina, seguito da un’azione di guerriglia. Tuttavia alcuni soldati sopravvivono alla carica grazie a fortuite coincidenze: per la fitta pioggia vengono separati dai loro commilitoni e allontanati anche dal nemico. Quando il lettore pensa che ci possa essere un finale positivo almeno per parte dei soldati, ecco che invece le alte cariche decidono che sarebbe disonorevole per l’esercito la sopravvivenza di soldati che sarebbero dovuti morire, quindi ordinano ai maggiori in grado di compiere seppuku (particolare forma di suicidio che prevede di tagliarsi il ventre con una katana per ripristinare il proprio onore), mentre i soldati rimanenti sono costretti ad una seconda carica suicida che stermina definitivamente l’unità.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Uno degli elementi costanti del manga sono i soprusi che i soldati sono costretti a subire da parte dei superiori, ai quali non si possono sottrarre, per via degli obblighi chū, rappresentando essi la volontà dell’Imperatore. Appena qualcuno commette il minimo errore, ecco che arriva il carico di ceffoni da parte dell’ufficiale in carica con la relativa onomatopea bibibibibin. Una delle frasi più celebri dell’opera che rappresenta al meglio il rapporto dei soldati con i loro superiori è: “-Le nuove reclute sono come i tatami [tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata]… Bisogna batterli per renderli più soffici e comodi. –Sì, signore, grazie, signore.” Ciò nonostante, alle reclute erano comunque concesse delle piccole vendette verso i loro superiori, rispettando gli obblighi giri, ad esempio, Maruyama evacua nel bidone in cui di lì a poco sarebbe andato a lavarsi il comandante.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Un altro elemento che mi ha fatto riflettere è stato l’uso delle canzoni. All’inizio della vicenda, nella scena del bordello, molti soldati non riescono ad avere un rapporto e quindi “si sono dovuti accontentare della Ballata della prostituta”, un’antica canzone popolare di cui non esistono registrazioni, né si conosce il titolo. Il testo presenta forti somiglianze con gli antichi lamenti delle prostitute e in particolare con la ballata Kuruwakouta (letteralmente “figlia del quartiere a luci rosse”). Alla fine della vicenda, invece, sono i soldati stessi a cantarla prima della carica suicida, creando un paragone agghiacciante tra le prostitute che devono soddisfare i piaceri carnali dell’esercito e i soldati che devono soddisfare i piaceri di conquista dell’Imperatore.[/SIZE]
[SIZE=16pt]Interpretazione della gyokusai, quale idealizzazione del sacrificio delle truppe giapponesi[/SIZE]
[SIZE=12pt]La parola [/SIZE][SIZE=15pt]玉砕[/SIZE](ぎょくさい)[SIZE=12pt], gyokusai, è formata dai kanji[/SIZE][SIZE=15pt]玉[/SIZE](たま)[SIZE=12pt], tama, che significa sfera, gioiello, e da [/SIZE][SIZE=15pt]砕[/SIZE](くだ)[SIZE=12pt], kuda, che significa distruggere, quindi tradotta letteralmente significa “distruzione di un gioiello”, metafora che indica la morte dei soldati in battaglia. Traduzioni meno letterali la indicano come morte onorevole, o nobile. Un altro termine che definisce questo fenomeno è “carica Banzai”, [/SIZE][SIZE=12pt]バンザイ[/SIZE][SIZE=15pt]突撃[/SIZE](とつげき)[SIZE=12pt] (Banzai totsugeki), dall’urlo lanciato dai soldati durante le cariche.[/SIZE][SIZE=12pt]Innanzitutto è necessario porre una distinzione tra questi attacchi suicida e quelli dei kamikaze ([/SIZE][SIZE=15pt]神[/SIZE](かみ)[SIZE=15pt]風[/SIZE](かぜ)[SIZE=12pt], vento divino).Quest’ultimo termine inizialmente doveva indicare un tifone che aveva salvato il Giappone, sbaragliando la flotta mongola nel XIII secolo. Durante la seconda guerra mondiale esso iniziò ad essere utilizzato per indicare gli attacchi suicidi effettuati con aerei carichi di esplosivo da parte dei giapponesi contro le forze alleate (principalmente statunitensi). La differenza fondamentale sta nel numero di soldati coinvolti (uno o pochi aviatori contro centinaia di soldati semplici) e nelle motivazioni ideologiche dietro agli attacchi: per i kamikaze erano tattiche logistiche finalizzate a massimizzare i danni con minime perdite, per le gyokusai si trattava dell’ultima eventualità da prendere in considerazione (secondo la mentalità giapponese) per evitare di perdere l’onore.[/SIZE]
[SIZE=12pt]L’interpretazione che la Benedict dà di queste cariche, è diversa da quella narrata da Mizuki nel manga e nella postfazione (dal titolo accusatorio “A che cosa è servito?”). La causa di questa differenza per me è da imputare al fatto che l’antropologa non abbia mai avuto effettivamente modo di interagire con i soldati, o di trovarsi all’interno della società giapponese, ma la sua indagine (di cui si apprezza ancor di più il valore tenendo conto delle condizioni proibitive in cui l’ha svolta) si è basata esclusivamente sulla testimonianza di giapponesi emigrati negli Stati Uniti.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Dal suo saggio, sembra emergere la convinzione che i soldati giapponesi andassero molto volentieri incontro alla nobile morte poiché la seconda guerra mondiale era l’occasione per dimostrare il proprio valore “avendo gli occhi di tutto il mondo addosso”, come recitava una propaganda. Questa convinzione era motivata dagli obblighi chū verso l’Imperatore, in nome del quale bisognava sopportare qualsiasi violenza fisica. Inoltre, durante la guerra, la radio giapponese giunse fino a celebrare la vittoria dello spirito sull’evento puramente fisico della morte. Infine, i possibili sopravvissuti alla carica, si sarebbero trovati in una situazione sociale infamante. Nello specifico, sarebbero stati espropriati dei beni, della casa, della moglie e dei figli, che li avrebbero considerati morti avendo arrecato disonore alla famiglia e infangando il proprio nome. Al contrario, la gyokusai era considerata come una morte onorevole, in grado di porre rimedio a qualsiasi errore si fosse compiuto in vita.[/SIZE]
[SIZE=12pt]Dal manga, invece, si evince che la questione era molto più complessa: questo atteggiamento non era condiviso da tutte le alte gerarchie dell’esercito, ma anzi, qualcuno trovava inutile “buttare via così le vite di centinaia di soldati, anziché cercare di sfruttare al meglio il territorio e massimizzare i danni”. Questo chiarisce perché è necessaria una distinzione con i kamikaze, che, come detto in precedenza, avevano invece esattamente questo scopo. Dalla carica suicida narrata, ottantuno soldati sono sopravvissuti: in primis, perché separati dai commilitoni, ma anche per paura di una morte inutile, a questo proposito Mizuki afferma nella postfazione che “Ogni carica suicida ha i suoi sopravvissuti”.[/SIZE]
[SIZE=12pt]La mia opinione è che le cariche suicide non sono nate esclusivamente dall’amor di patria, ma sono fortemente condizionate da aspetti tipici della cultura nipponica. Tuttavia quest’influenza non è totalizzante, poiché “in punto di morte siamo tutti esseri umani” e in quanto tali non riusciamo a distaccarci completamente dal nostro corpo.[/SIZE]
[SIZE=16pt]Bibliografia[/SIZE]
[SIZE=12pt]Benedict Ruth (2009), Il crisantemo e la spada: Modelli di cultura giapponese, Bari, Editori Laterza[/SIZE][SIZE=12pt]Giardina Andrea, Sabbatucci Giovanni, Vidotto Vittorio (2008), Nuovi profili storici 3: Dal 1900 a oggi, Bologna, Editori Laterza[/SIZE]
[SIZE=12pt]Giusfredi Federico, Ruth Benedict: Il crisantemo e la spada, <http://www.liceofoscolo.it/resources/materiali%20didattici/studenti/materiale/relazioni/giappone.htm> (consultato il 12/6/2014)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Manga in Enciclopedia Treccani, <http://www.treccani.it/enciclopedia/manga/> (consultato il 10/6/2014)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Manga in Microsoft Encarta 2007 [DVD][/SIZE]
[SIZE=12pt]Manga in Wikipedia, <http://it.wikipedia.org/wiki/Manga> (consultato il 10/6/2014)[/SIZE]
[SIZE=12pt]Mizuki Shigeru (2013), Verso una nobile morte, Città di Castello (PG), Rizzoli Lizard[/SIZE]
[SIZE=12pt]Mizuki Shigeru: Sôin gyokusai seyo! in Sgt. [/SIZE][SIZE=12pt]Tanuki's Lonely Hearts Club Blog[/SIZE][SIZE=12pt], <http://sgttanuki.blogspot.it/2009/06/mizuki-shigeru-soin-gyokusai-seyo.html> (consultato l’11/6/2014) [/SIZE]
[SIZE=12pt]Petacco Arrigo (1979), La seconda guerra mondiale, Bergamo, Armando Curcio Editore[/SIZE]
[SIZE=12pt]Tatami in Wikipedia, <http://it.wikipedia.org/wiki/Tatami> (consultato il 9/6/2014)[/SIZE]
EDIT: sul word ero riuscito a mettere i furigana, qui me li ha messi tra parentesi in basso in hiragana
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