Credo che quando si parli della vita dopo la morte si confondano due discorsi ben distinti : il primo afferma che l'aldilà non esiste per stimolare la gente a sperimentare la vita piuttosto che perdersi in elucubrazioni lugubri e interminabili, il secondo afferma che l'aldilà esiste per stimolare in noi l'idea di un futuro felice alla fine di questa vita. Quest'ultimo discorso ci mostra che la felicità è qualche cosa di reale e che una buona parte delle nostre preoccupazioni sono inutili ; il primo ci induce a credere che la felicità possa aver luogo hic et nunc, nella nostra stessa vita, e che essa richiede la partecipazione dell'individuo come parte integrante di tale realizzazione. Del resto, anche se l'aldilà esistesse, noi potremmo scoprirne delle tracce solo attraverso le cose che esistono in questo mondo e di cui possiamo supporre una certa durata di esistenza pure dopo la morte, quindi anche per altri esseri umani che potrebbero esistere dopo di noi.
Se noi pensassimo di essere gli ultimi esseri umani sulla Terra e che dopo la nostra morte non ci sia più nulla, la nostra reazione più immediata sarebbe quella di cominciare ad accumulare ossessivamente lussi e piaceri in questa vita per il timore di non poter avere nessun'altra felicità dopo la nostra fine. Se invece concepiamo la possibilità di un futuro dopo la vita presente, noi possiamo godere quello che ci arriva nella vita, senza pretendere più di quanto ci spetta e lasciando agli altri (nel presente come nella posterità) dello spazio per vivere la loro esperienza. Impariamo così a desiderare solo ciò che possiamo concretamente ottenere e non ciò che ci viene fatto credere di poter avere. Questo non significa che non dovremmo avere dei desideri forti e ambiziosi, ma che dovremmo perlomeno poter concepire la possibilità di soddisfarli in conformità alle nostre tendenze personali.
Se l'uomo in sé non è una divinità, mi pare comunque abbastanza chiaro che sia l'unico animale che possa concepire l'idea di una vita differente da quella che vive nel presente (in breve, una vita dopo la morte). Senza tale idea, nessuna scienza, nessuna arte, nessuna tecnica sarebbero concepibili, poiché ci adatteremmo semplicemente all'ambiente circostante come fanno tutti gli animali. L'idea che la nostra vita possa essere migliorata implica l'idea "reale" di una vita migliore di quella presente, indipendentemente dalla forma che tale vita ideale possa prendere nella nostra immaginazione.
Per rispondere a Mr. Green, penso che l'attitudine più sensata di tutte sia quella di riflettere alla morte in modo profondo e radicale prima eventualmente di mettersi alle spalle il problema e ricominciare a vivere in modo più sereno. In ogni caso mi pare che l'essere umano non possa scappare a tale interrogazione, quindi tanto vale prenderla sul serio e portarla fino in fondo il prima possibile piuttosto che trovarsi a 60 anni passati rendendosi conto di aver sprecato una vita intera. Interrogarsi sulla propria morte non è in fondo molto diverso da interrogarsi sulla propria vita futura.
@ liuton : discutere sulla possibilità logica di una certa posizione non significa mancarle di rispetto, ma semplicemente voler capire fino a dove essa è il frutto di un ragionamento e non del pregiudizio (gli atei hanno tanti pregiudizi quanto i credenti). La tua soluzione dunque non serve a nulla, se non a spegnere il dibattito e trasformare il topic in una sequenza di opinioni personali dove ognuno dice la sua senza curarsi di quanto hanno detto gli altri.
Non so cosa ne pensino gli altri, ma il diritto di critica penso debba essere rispettato su questo forum, a condizione che essa non diventi lo strumento per delle polemiche sterili fatte solo per calpestare le idee dell'altro.