Bump.
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Bump.
Il rumore dei passi echeggiava sovrano mentre Richard De'Lain, programmatore di professione, attraversava l'aula tagliandola per il centro, seguendo il sentiero tracciato dal lungo tappeto rosso. Di fronte a lui, il giudice. Alla destra di quest'ultimo, lo spazio che presto avrebbe dovuto occupare.
Bump.
Il giudice batté tre volte il martello sulla scrivania, gesto molto più rituale che di effettiva utilità: i pochi presenti al processo erano già in religioso silenzio, tutti attenti.
"Signor Richard De'Lain" iniziò, con fare professionale "lei è stato accusato di patricidio volontario. Cos'ha da dire in sua discolpa?"
"Il mio avvocato sarà in aula entro breve. La prego di voler attendere ancora qualche minuto."
In quell'istante, il portone ottocentesco si spalancò. Sulla soglia c'era Percival Smoothstick, cinquantun anni, uomo di media statura perfettamente rasato e ordinatissimo, che incedette con estrema pacatezza. "Domando scusa per il ritardo, vostro onore" disse, prendendo posto alla destra del giudice con Richard. Gli era doppiamente d'aiuto, essendo stato anche l'ultima persona ad aver visto vivo suo padre in un bar la sera prima. Gli aveva anche offerto il caffé.
"Ebbene?" Incalzò il giudice.
"Vostro onore" riprese Smoothstick "Non ho avuto modo di trovare prove per difendere il mio imputato."
Tutti i presenti, salvo l'interessato e l'interlocutore, incominciarono a confabulare.
"E lei si presenta qui in ritardo ammettendo di non saper difendere il signor De'Lain in alcun modo?" Lo strano atteggiamento sembrò infastidirlo abbastanza.
"Non ho detto questo" riprese, serafico. "Vi dirò di più: in base ad una legge entrata in vigore sabato scorso, esattamente sette giorni fa, non è più possibile processare un individuo prima di cinque giorni dopo l'avvenimento del misfatto, offrendogli dunque la possibilità di rivolgersi non solo ad un avvocato in caso di processo, anche ad un investigatore privato che indaghi più a fondo sulla vicenda." Estrasse dalla tasca un bollettino e lo aprì alla pagina 8. "Controlli pure."
Il giudice prese il bollettino e lesse il provvedimento, dapprima diffidente, poi sempre più stupito. Non ne poté più. "E' semplicemente ridicolo! Questo significa favorire la privatizzazione degli investigatori!"
"Le vostre considerazioni arrivano tardi, signor giudice. In ogni caso, ha il dovere di rilasciare il mio imputato per i prossimi tre giorni. Così vuole lo Stato" concluse.
Ci fu silenzio per molto a lungo.
"Se la legge ha deciso... così sia." Batté nuovamente il martello, dando un colpo secco. "Il signor De'Lain avrà tempo fino alla mezzanotte di martedì per raccogliere le prove necessarie alla sua assoluzione. La sentenza è sospesa."
Anche gli spettatori ci misero qualche istante per assimilare la notizia; sciamarono fuori a gruppetti, discutendo animatamente.
"Non ho mai visto un processo così strano" si lamentò Richard, uscendo dall'aula col suo avvocato. "Ne stanno facendo un fenomeno da circo."
Si contenne, scosso dai recenti avvenimenti. Non capitava tutti i giorni di essere accusati ingiustamente di patricidio. Percival gli diede una pacca sulla spalla.
"Il fatto che tuo padre fosse in possesso della più redditizia fabbrica di elettrodomestici in Inghilterra per il giudice può significare che tu sei il maggiore indiziato, ma per un detective non ha la minima importanza. Faremo luce su questa brutta faccenda, vedrai."
"Lo spero" sospirò lui, sconsolato. "Ehi, non immaginavo di potermi fare amico un avvocato!"
"C'è sempre una prima volta nella vita" sorrise l'altro affabile. "Da giovane i miei compagni di liceo mi chiamavano Fenice, sai? Il classico ci dava un po' alla testa."
"Avevi la capacità di rinascere dalle braci?" scherzò, col morale un po' meno sotto i tacchi. Lui accolse il tutto con un sorriso. "Non proprio. Mi paragonavano a Phoenix Wright, personaggio di un vecchio videogioco. Era un avvocato alle prime armi. Ma tu puoi chiamarmi Lawman!" rise ancora.
"Ce l'avevi nel sangue, ammettilo! Ti piacciono proprio i soprannomi, eh?" proseguì Richard imperterrito, e più che mai deciso a non pensare più a suo padre fino alla fine del processo.
Percival sembrò intuirlo. "In ogni caso, mi sono messo in contatto col mio amico investigatore. Ho immaginato che potesse servirti. Se vuoi, posso presentartelo oggi stesso."
"Grazie, Percy" sorrise mesto.
***
"Piacere, Harry Marskheil".
"Richard De'Lain, indagato per patricidio volontario con l'accusa di voler intascare una cospicua eredità anzi tempo" fece eco lui. L'investigatore pensò che stesse scherzando, anche se sapeva bene la sua storia.
"Percival mi ha spiegato abbondantemente la sua situazione..."
"Diamoci del tu" intervenne lui, subito. "Non c'è nessun bisogno di formalizzarsi".
"Molto bene" rispose Harry, compiaciuto. "Dicevo, non mi sono necessarie altre spiegazioni. Dovrò solo farti un po' di domande sulle abitudini di tuo padre."
"Hai detto che tuo padre è sempre stato molto dedito al lavoro, giusto?" gli chiese infine Harry, dopo una lunga discussione.
"Sì, moltissimo" confermò l'altro, affranto. "Pur da libero professionista, non passava mai meno di dieci ore in fabbrica. Osservava le produzioni e continuava a macchinare idee per ottimizzare tempi, qualità e costi." Fece una pausa. Era molto difficile parlarne.
"Capisco." Sospirò, serissimo. "Penso che il suo ufficio sia la mia prima tappa."
"La tua prima tappa?" Richard ridacchiò. "Non penso proprio... ti seguirò come un'ombra!"
L'ufficio era rimasto in perfetto ordine, come Johan De'Lain l'aveva lasciato: gli annali erano minuziosi e ricchissimi di dettagli, ampi commenti e annotazioni sui bilanci non mancavano mai, ed era tutto schedato e sistemato secondo un rigorosissimo ordine cronologico. Richard fu sorpreso di non essersi mai accorto dei tantissimi appunti presi dal padre, al più considerazioni sui cambiamenti della domanda di elettrodomestici, che miravano a inquadrare l'epoca più chiaramente e prevedere con buona sicurezza anche le modifiche future.
"Le prove non ci serviranno a molto, se non abbiamo una seconda persona da accusare" osservò sconsolato. "Il giudice sembrava non volermi ascoltare quando gli ho portato i miei testimoni oculari. Non ero qui, quando... è successo."
"Mi dispiace molto, credimi, ma questo paese funziona così." Harry era dotato di una proverbiale schiettezza. "O meglio, è così che questo paese NON funziona. Avrei un buon sospetto, ma credo sia prematuro. Innanzitutto, rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di capire cosa potrebbe aver portato a questo gesto folle."
E iniziarono la perlustrazione. Richard dimenticò presto cosa stava cercando, immergendosi nella lettura dei documenti. Diede un'occhiata anche ai bilanci: grafici realizzati in modo certosino, colorati e d'immediata comprensione. Due linee incostanti, una rossa e una verde, seguivano percorsi quasi congruenti da gennaio a dicembre.
Fino a cinque anni prima tutto sembrava perfettamente a posto... poi, con gli ultimi quattro, giunse il caos. Le linee rosse si mantenevano su livelli normali, quelle verdi saettavano su e giù per poi terminare inesorabilmente in una calata a picco. In principio, il bravo programmatore non capì; poi osservò una noticina a fondo pagina, una legenda in miniatura, che segnava in rosso la stima preventiva delle vendite complessive e in verde le vendite effettuate.
"Credo di aver trovato qualcosa" azzardò, col naso ancora storto per il disordine delle correzioni. "Quest'ufficio è una vera scoperta per me. Guarda."
Gli passò i documenti scarabocchiati, e Marskheil li studiò accuratamente.
"Ho già controllato anche gli altri bilanci" lo anticipò. "Solo questi quattro sono così caotici. Danno l'impressione che mio padre abbia dato di matto. Le stime si tengono su livelli normali, ma... le vendite sembrano essere crollate."
Entrambi avevano un'aria molto meditabonda. "Questi li prendiamo noi. Hai ragione, possono esserci molto utili."
"Credo possa bastare, per oggi." Marskheil si asciugò la fronte, imperlata di sudore, con un fazzoletto. "Domani continueremo. Abbiamo altri due giorni pieni e li sfrutteremo al meglio."
"Penso che resterò qui, stanotte. Posso riaccompagnarti a casa, se vuoi" si offrì Richard.
"Ti ringrazio, ma non è necessario. Tu, piuttosto, dovresti dormire..."
"Mi riposerò, tranquillo. Ci vediamo qui domattina."
Richard approfittò di quella sera per fare visita al guardiano della fabbrica, uomo di fiducia e grande amico di Johan, che aveva fatto costruire una sistemazione apposta per lui. Si trovava al primo piano, precisamente sopra l'ufficio del pianterreno. Non fu difficile riconoscerne la sistemazione: la grande porta bianca semiaperta recava un cartello con su scritto, a grandi lettere, "Butch Kenneth".
Nonostante non fosse completamente chiusa, egli bussò.
"Avanti" pronunciò una voce, pigramente.
Richard entrò. Il monolocale era piccolo, ma accogliente e caldo. La televisione accesa emanava un leggero bagliore bluastro, tingendo la stanza; nello schermo, qualcuno borbottava parole incomprensibili. Il volume era molto basso.
Butch Kenneth era steso sul divano-letto e stava guardando il telegiornale. Era un uomo alto, ma visibilmente consunto dal tempo: la sua settantina d'anni circa gli aveva portato una buona quantità di rughe, baffi folti e capelli completamente bianchi, ma ancora numerosi. Appena vide Richard, si alzò: "Oh... l'erede De'Lain! Prego, si accomodi, per quanto le sarà possibile. Gradisce una tazza di té?"
"Grazie dell'accoglienza" rispose modesto l'invitato. "Non si preoccupi per il té."
Ma Butch aveva già messo l'acqua sul fornello. "Mi... mi dispiace molto per suo padre. Gli sono profondamente grato per ciò che ha fatto, e... capisco come ci si possa sentire, davvero."
"Non si preoccupi, non sono qui per questo" lo rassicurò Richard, tradendo una certa emozione. "Vede... vorrei che mi parlasse un po' di mio padre, perché ho la sensazione di saperne meno di lei. Le andrebbe?"
Butch lo guardò dritto negli occhi, pieno di comprensione. "Sarà un piacere."
Richard si sedette sul divano-letto. "Non so se ne era al corrente, mister Kenneth, ma negli ultimi quattro anni le vendite di mio padre hanno subito un drastico calo, nonostante le aspettative fossero delle migliori."
Il vecchio custode era sbalordito. "Il signor De'Lain che sbaglia le sue previsioni? Non si era mai visto!"
"Eppure è così" tagliò corto Richard. "Rovistando nel suo ufficio ho trovato i bilanci annuali, e gli ultimi quattro indicano chiaramente che l'impresa non andava bene."
Li estrasse dalla tasca e glieli mostrò.
"E' molto strano..." commentò il guardiano. "Passavo moltissimo tempo in compagnia di Johan, e giuro sulla mia testa di non averlo mai visto triste. Quell'uomo ha sprizzato energia da tutti i pori fino all'ultima volta che l'ho visto, poche ore prima che lo spedissero all'altro mondo."
"Quindi, lei pensa che...?"
"Cristo! Se mi sbaglio, mi mangio il cappello!"
Harry era in ritardo, e a Richard non andavano molto a genio i ritardatari. Si costrinse a pensare a quanto lo avrebbe aiutato, per sopportare l'attesa; gli ci volle poco, però, per capire che non sarebbe servito a nulla. Osservò il vecchio computer sul tavolo, impolverato ma funzionante, e pensò che un diversivo non gli avrebbe fatto male.
Lo accese. Le ventole dell'hard disk cominciarono a girare rapidissimamente, emettendo un suono flebile e quasi impercettibile. Che meraviglia, pensò, avere una tecnologia così silenziosa!
Perfettamente in sintonia con l'atmosfera dell'ufficio intero, la mole di dati nel computer si presentava ordinata col metodo e il rigore tipici di Johan De'Lain. Avendo già rovistato metà delle bacheche, con le cartelle di file fece molto prima. Notò che ogni cosa, dal primo file blocco note all'ultimo grafico di Excel, altro non era che la copia digitale di tutto il materiale cartaceo presente; Richard capì al volo che gli originali dovessero essere senza dubbio quelli telematici, e i cartacei le loro successive stampe. Ma non fu tanto questo a colpirlo, quanto una cartella di cui non registrava la presenza fisica tra le scartoffie.
Il suo nome era "Diario".
Richard la aprì, appurando che vi era solo un documento Word omonimo alla cartella all'interno. Cercò di aprire anch'esso, ma risultò protetto da password. Sorrise compiaciuto.
"E bravo papà... prudente come sempre, eh?"
Raccolse le sue conoscenze, aprì Access e iniziò a trafficare, lavorando fitto fitto. Ultimò la creazione del bruteforcer nel giro di dieci minuti. Mandato rapidamente in esecuzione, impiegò pochi secondi a trovare la chiave alfanumerica per aprire la porta a quel piccolo segreto professionale.
"Mi spiace... ma stavolta sono stato più bravo di te!" bisbigliò il pargolo unico e prediletto, felice di aver speso quindici anni della sua vita a programmare.
La sua carica si affievolì notevolmente quando diede un'occhiata più da vicino al documento. Lo scritto ricopriva pochissime righe.
4 settembre 2032
Da oggi si raddoppia la dose d'impegno! Ha aperto da poco la Toy Wiz, che ben presto diventerà la nostra prima e unica concorrente nel settore elettrodomestici. Dimostreremo a questi giovincelli che per far carriera bisogna tirar fuori le unghie, eccome se glielo dimostreremo! Richie diventa ogni giorno più abile. Non mi sorprenderebbe sapere che con le sue diavolerie ha anche un modo per leggere questo diario; e dato che ho il sospetto che prima o poi lo farai, caro il mio mascalzoncello preferito, voglio lasciarti un messaggio: ti ho amato tanto, e ti amerò sempre. Abbi cura della mamma e dille che amo tanto anche lei.
Con affetto,
Johan
Lesse e rilesse più volte, mai sazio del sincero affetto di suo padre. Poi si soffermò sulla prima parte del periodo: "Ha aperto da poco la Toy Wiz, che ben presto diventerà la nostra prima e unica concorrente nel settore elettrodomestici." Prima e unica concorrente...
Sentì bussare alla porta, saltò dalla sorpresa e fece shut down. Lasciava trasparire una certa inquietudine, ma fortunatamente fu un semplice impiegato a entrare nell'ufficio.
"Capo, c'è un tale signor Marskheil che la desidera. Lo faccio entrare?"
"Oh, sì, molte grazie" rispose sbrigativo.
"Richard..."
Harry Marskheil aprì la porta dell'ufficio di pochissimo, appena il necessario per passarci di fianco.
"Non ti porto buone notizie" annunciò, sedendosi davanti a lui. "O forse sì, dipende. Hanno effettuato una seconda autopsia sul corpo di tuo padre."
"Con che risultato?" Richard sperava in un chiarimento riguardo alla morte del padre, ma di certo non si aspettava ciò che le sue orecchie avrebbero udito a breve.
"Hanno trovato tracce di ammoniaca nel sangue, e un buco sul braccio sinistro che può solo essere opera di una siringa." Incrociò le braccia e abbassò il capo.
Richard si risollevò un po'. "Sono riusciti a trovare tracce di DNA che possano discolparmi?"
Harry si rassegnò al dovergli dire la verità nuda e cruda. "No. Il DNA presente sulla siringa non è d'altri che di tuo padre."
Non voleva crederci. "...Mi stai dicendo che sospettano il suicidio?!?"
"Mi dispiace. Io non..." non riuscì a finire la frase. Ci fu un lunghissimo silenzio.
"No, dispiace a me. Ti ho fatto perdere tempo." Si mise le mani tra i capelli. "Tutto questo non ha senso. Puoi... puoi anche tornare a casa."
Harry lo guardò. Sembrava infinitamente più vecchio. Annuì in rispettoso silenzio, si alzò e lasciò l'ufficio, e Richard solo nei suoi pensieri.
No, non ci voleva credere. Suo padre un suicida? Non poteva essere vero. Non era vero, e lui l'avrebbe provato.
Rintracciare la Toy Wiz fu moderatamente difficile, ma alla fine riuscì a trovarla. La fabbrica, di modeste dimensioni, si nascondeva dietro la sontuosa facciata frontale del negozio; sebbene quest'ultimo fosse ancora piccolo, gli interni rifiniti e ben predisposti lasciavano presumere una buona attività commerciale e un promettente futuro.
Non c'erano guardie, o forse erano in pausa pranzo. Richard entrò dalla porta principale passando quasi inosservato. Macchinari nuovi e splendenti trafficavano qua e là emanando sbuffi d'aria fresca e vaghe cortine di vapore acqueo. Le braccia umane della fabbrica sembravano davvero poche.
"Signore?"
Si girò: stavano chiamando proprio lui.
"Mi scusi, lei è...?"
"Oh, mi perdoni per l'intromissione" lo interruppe. "Sono Richard De'Lain, figlio dell'impresario vostro concorrente."
"...Capisco. Le mie condoglianze" mormorò l'impiegato, evidentemente a conoscenza della storia. "Posso aiutarla?"
"Potrei avere un brevissimo colloquio col padrone dell'impresa, se non le dispiace?" chiese, ricevendo uno sguardo furbo in risposta.
"Mio caro signore" fece il lavoratore "se lo conoscessi, domanderei volentieri."
Richard suppose di aver capito male. "Cosa intende?"
"Vede, questa attività è nata da un fallito negozio d'abbigliamento" spiegò l'altro. "La fabbrica, il negozio, tutto ciò che è rimasto è stato messo all'asta e comprato da un soggetto alquanto... come dire... strano."
Si sfilò il guanto destro e indicò il piccolo stemma bianco sulla manica sinistra, che spiccava sulla divisa turchese. Richard lo osservò più da vicino: prima pensò di leggervi "Toy Wiz"; dopo un po' e con buona fatica, si accorse che vi era invece scritto "Toivix".
"Di lui, o forse di lei, altro non sappiamo, se non che ha deciso di chiamare mago dei giocattoli una fabbrica di elettrodomestici."
Richard rifletté, tenendo per sé le considerazioni. "La ringrazio molto. Mi scusi per averle rubato del tempo".
"Si figuri". L'impiegato sembrava affabile e ben disponibile a dirgli altro, qualora ne avesse saputo di più, ma Richard si accontentò di sgattaiolare verso l'ufficio.
Porta scorrevole, nessuna maniglia e un apparecchio molto simile ad una calcolatrice con un display luminoso. Questi i particolari dell'entrata dell'ufficio, oltre al consueto Toy Wiz-Toivix inciso nel legno.
"Ma porca putt..." Richard si morse la lingua. "Massimo silenzio". Incrociò le braccia e si assicurò che nessuno l'avesse sentito. Dieci cifre davanti a lui e otto caratteri di spazio... una possibilità su cento milioni di indovinare la combinazione...
Si concentrò.
"Ok, se ho capito com'è andata questa sporca faccenda so la password. Se non la so, sono un uomo morto o condannato all'ergastolo." Le mani gli tremavano. Iniziò a digitare: prima cifra, seconda, terza, quarta, quinta, settima... ottava.
Un repentino click e la porta scorrevole si spalancò, rivelando al suo interno... una scrivania con un computer.
"Vediamo un po' se il mio passepartout digitale funziona..."
***
Bump.
Bump.
Bump.
Il martello del giudice tornò a colpire. Stavolta Percival Smoothstick era già in aula da parecchio, mentre Richard De'Lain era in ritardo di mezz'ora.
Irruppe letteralmente nella stanza, senza troppe formalità, trafelato e con una pila di disordinatissimi documenti sottobraccio.
"Signor De'Lain" borbottò di nuovo il giudice "ringrazi che questo è il suo ultimo processo, non avrei tollerato un minuto di attesa di più!"
"Mi perdoni, vostro onore, ma ho avuto bisogno di tempo per sistemare i moventi che provano la mia innocenza". Si sedette al consueto posto.
"A dire il vero" riprese il legale "abbiamo già appurato che si tratta inequivocabilmente di un suicidio. Non erano necessarie le sue prove."
Richard ghignò malignamente. "Oh, sì che lo sono. Mio padre non si è affatto suicidato, è stato ucciso dal quipresente Percival Smoothstick".
Non uno dei presenti, eccetto Richard, poté fare a meno di strabuzzare gli occhi per la meraviglia.
"Richard, sei impazzito?" intervenne l'accusato.
"No, mio caro ipocrita." Si girò, guardando il giudice negli occhi. "La faccenda del suicidio puzzava di bruciato dal primo momento. Dai recenti documenti si sarebbe potuto pensare che Johan De'Lain si sia tolto la vita per l'andamento del suo lavoro, ma ho la prova che quei documenti sono manomessi. Uno scritto rilasciato da mio padre stesso, risalente a inizio mese e confermato dal suo amico e custode della fabbrica Butch Kenneth, confuta la sua positività emotiva e attesta che fosse ben più che convinto a tener testa alla catena produttrice Toy Wiz, di cui penso sappiate ben poco... perché non ci dici qualcosa tu, Percy?"
Lui era verde di rabbia, gli occhi iniettati di sangue.
"D'accordo, lo farò io. Introducendomi nel database dell'azienda ho scoperto che è attestata nientemeno che a te, Percy. Tra l'altro, perché chiamare mago dei giocattoli una catena produttrice di elettrodomestici? Presto detto: per la TUA mania di protagonismo. Toy Wiz è una trascrizione libera di Toivix; a sua volta, Toivix ha una grafia molto simile al greco Phoinix, nientemeno che Phoenix, o per meglio dire Phoenix Wright... lo conoscete, vostro onore? C'è qualcuno qui che si divertiva a fare l'avvocato anche ai tempi del liceo classico, e devo dire che la scuola gli ha anche portato uno pseudonimo niente male!"
La fatica cominciava a farsi sentire, ma continuò. "Ah, e riguardo alla faccenda della siringa... ho scoperto solo dopo che mio padre faceva cure vitaminiche per iniezione. Ovvio che c'è solo suo DNA sulla siringa. Ma l'ammoniaca di cui si è trovata traccia nel sangue proviene nientemeno che dal caffé che ha preso la sera prima al bar, e che mister Smoothstick ha insistito a offrirgli! E tutto questo per cosa? Soldi. Solo soldi! Era invidioso della fama della De'Lain Productions, e ha pensato bene di annientare letteralmente la concorrenza!"
"Mister De'Lain, le sue accuse sono profondamente ingiuriose e non possono essere prese per vere così alla leggera" obiettò il legale. "Come confuterà le sue teorie?"
"Nell'unico modo possibile: mostrandovi personalmente il computer dell'ufficio di mister Smoothstick, che con la sua intelligenza sopraffina ha inserito una password decimale di otto caratteri identica alla sua data di nascita, per aprire la porta del suo ufficio. Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l'aiuto del signor Harry Marskheil, abilissimo nel trovare prove... quanto nel contraffarle. Il suo compito era di depistarmi, non per nulla il quipresente Smoothstick ha fatto pressioni affinché assumessi lui come detective privato!"
Aveva il fiato mozzo, era sordo e cieco a qualsiasi manifestazione di tentata discolpa da parte dell'ormai indifendibile avvocato. "Vostro onore" continuò, con estremo sforzo "dalla vita mi sarei aspettato ogni genere di sorprese, ma non di dover accusare un amico di aver ucciso per soldi versando dell'ammoniaca in un caffé e mascherato meschinamente lo scempio tentando di farlo passare come suicidio. Eppure, così è. La prego, voglia verificare che quanto sto affermando corrisponde alla verità."
Era stanchissimo. Il bruteforce delle varie passwords gli aveva rubato ore e ore quella notte. Qualcosa lo colpì sulla testa, duro e freddo come la pietra; tra le ultime immagini indistinte che vide, prima di svenire, distinse forze dell'ordine bloccare la foga dell'avvocato, mentre brandiva un qualcosa di irriconoscibile.
"Rich... ehi, Richie..."
Fino a un attimo prima, aveva creduto che fosse tutto finito. Poi, quella voce dolce lo riportò alla realtà.
"Mamma?"
"Oh, Richie!" Lo abbracciò forte. "Stai bene?"
"Sì, ma..." tentò di tirarsi su, ma sprofondò di nuovo nel letto dell'ospedale. "Che cosa...?"
"Quel pazzo! Portarsi una mazza in aula... inaudito!" farfugliava lei, ma Richard aveva già capito. "Senti, non ti preoccupare. Com'è finita?"
"Oh, ti stanno aspettando per entrare in quel famoso ufficio" gli disse. "Pensa a guarire e riprenderti, tanto quel tale non se la caverà. Se pure venisse scoperto innocente, come minimo si beccherebbe qualche mese in gattabuia per tentato omicidio!"
Eh, sì... era proprio la donna di sempre. "Dopotutto, mamma... me l'hai insegnato tu, da bambino, con tutte le tue favole... la verità trionfa sempre..." fissò i suoi occhi scuri, ancora pieni di affetto.
La madre ricambiò il suo sguardo. "Sei ancora un giovanotto, eh?"
"Certo" confermò felice. "Anche papà lo è ancora, e ha detto che ti ama tanto."