I palloncini di Mr Mime

Apeshit

Zoidberg
1.​

Era un palloncino viola. Un palloncino a forma di Drifloon. Un palloncino a forma di Drifloon si alzava in cielo per poi sbattere contro i sassi della piazza comunale e rialzarsi di nuovo in cielo. A Simon sembrava destinato a finire contro il rialzo del portico e là rimanere abbandonato, fino a quando gli spazzini sarebbero arrivati a pulire la zona. Era un palloncino come molti altri. A Carnevale o ad Halloween se ne vedevano di vari tipi. Eppure, Halloween e Carnevale erano lontani. E in quella fredda mattina del 6 marzo, Simon rimase quasi ipnotizzato nel vederlo. Batté gli occhi ed ebbe il la forza di voltarsi la città era deserta. Le serrande dei negozi erano tutte chiuse. Le persiane delle case tutte chiuse e provò per un momento una sensazione di stranezza in tutto quello. Tutte le altre mattine, facendo lo stesso tragitto, era possibile vedere il Sindaco entrare baldanzoso all’interno dei bar e ordinare a gran voce un caffè e una brioche. Era possibile vedere un gruppetto di vecchietti davanti l’edicola che bestemmiavano commentando le notizie della giornata. Eppure, in quella giornata del 6 marzo, le uniche cosa dotate di vita in quella piazza di Canalipoli erano Simon e un palloncino viola a forma di Drifloon. Tornò a fissarlo e fu come se dal suo cervello sparisse non solo ogni necessità di raggiungere la scuola prima del suono della campanella ma anche ogni informazione su chi fosse o cosa fosse. Se fosse stato cosciente in quel momento, si sarebbe potuto rendere conto che il palloncino aveva cambiato traiettoria e aveva improvvisamente virato verso di lui. Un movimento che qualsiasi persona avrebbe reputato strano in assenza di vento. Continuava a saltellare sui sassi, colpendoli e rialzandosi rimanendo sempre raso terra.
Il palloncino era ormai a cinque metri di distanza.
Simon alzò il braccio destro.​
Toccò terra.
La manica del giubbotto scese lasciando scoperto il polso.​
Si alzò per aria arrivando fino a sopra alla sua testa.
Un’ombra attraversò la piazza oscurando il sole.​
Il palloncino che stava per appoggiarsi sulla sua testa scoppiò.

Scosse la testa e si guardò il braccio, aggrottò le sopracciglia nel vederlo alzato. Il suo ultimo ricordo era… la piazza vuota. Si afferrò con la mano sinistra il gomito destro e lo spinse verso il basso, aggiustandosi la manica del giubbotto. Guardò la piazza davanti a sé. Non c’era niente e nessuno. Eppure, gli sembrava che ci fosse qualcosa prima. Qualcosa di viola. Provò una sensazione di disagio. Poteva essere… No, era da escludere. Era stato solo un sogno in fin dei conti. Un sogno e niente più. Non importava se anche i suoi compagni di classe avevano avuto sogni simili… Certo, certo, però un brivido gli percorse tutta la schiena. Ebbe la sensazione di esser osservato. Si guardò attorno.
Bar Centrale era chiuso.
Panetteria Bontà era chiusa.
Sì, anche l’edicola.
Sentì la gola chiudersi. Tutto quello non era normale. Tutto quello poteva esser un altro incubo. Alzò gli occhi verso le finestre delle abitazioni che davano sulla piazza. Tutte con le tapparelle abbassate o le persiane chiuse. Il cuore. Il cuore cominciò a pompare fortissimo. Se si fosse tolto i vestiti avrebbe visto la pelle del petto sollevarsi.
Lo sapeva. Sapeva che c’era qualcosa. Sapeva che c’era qualcosa che lui conosceva. Qualcosa che ricordava di aver visto vagamente negli ultimi sogni. E il senso di sopravvivenza prese il sopravvento. Cominciò a correre e a lasciare la piazza.
Forse avrebbe dovuto guardare tra gli alberi che circondavano la Fontana dei Rapidash. Lo avrebbe visto. Sorridente come al suo solito, con scarpe vellutate di rosso sporcate dal terriccio su cui sostava. Al collo portava un collare di quelli che la Regina Elisabetta I portava nei suoi quadri e di epoca elisabettiana era quel bustino con tre pompon rossi che fungevano da bottoni. Il braccio sinistro era alzato verso il cielo, la mano ricoperta da un guanto bianco da cui cadevano un imprecisato numero di fili neri. A terra, giacevano brandelli di gomma viola. Alzò gli occhi al cielo, cercando di vedere attraverso le foglie degli alberi.
Sette secondi dopo, la tapparella della signora Hillary Henry posizionata proprio su quel tratto di prato si sarebbe sollevata. E la signora Hillary, aprendo la finestra, non avrebbe visto nient’altro che fili d’erba.


NOTE DI APESHIT
L'ho scritta in un momento di noia. L'ho rivista in un momento di noia peggiore. Se piace la continuo, se no me la scrivo per conto mio nei momenti in cui ho finito i porno da vedere. Capita raramente, ma è pur sempre un eventualità. Ormai non scrivo più fanfiction. Son fuori allenamento.
Liberamente ispirata all'opera magna del Re. Inutile che vi dica quale.
 
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