Il canto della Terra

Sky_Anubis

Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Questa è una discussione dedicata alla diffusione della fanfic che ultimamente ho ripreso a scrivere.
Non sono costante con gli aggiornamenti, quindi, se i primi capitoli vi sono piaciuti e vi hanno intrigato, non me ne vogliate se sarete costretti ad aspettare troppo tempo tra un capitolo e l'altro. Tra Università e altri impegni, a Torino ho molto da fare e non riesco a scrivere tutti i pomeriggi.
Stavolta, per evitare problemi con l'edit della discussione, i capitoli saranno disponibili dal secondo post in poi.
A questo link è presente il collegamento con i capitoli su EFP Fanfiction. Chi volesse lasciare una recensione costruttiva è sempre ben accetto.
Non commentate in questa discussione. Se volete inviarmi dei suggerimenti o farmi notare degli errori, mandatemi dei MP.


 
Ultima modifica:

Sky_Anubis

Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo I - Visioni

Regione di Athena, 3750 a.C.

«Maestro, la sento.»
«Cosa dice, Kim?»
«Urla. Urla di dolore, la sento.»
Il giovane Kim appariva sofferente. Girandosi verso il maestro, lo guardò con occhi pieni di lacrime, lacrime di dolore. Iperione non appariva turbato, conscio del fatto che la sofferenza di Kim era necessaria per proseguire nella loro missione. Pose una mano sulla spalla al giovane allievo, cercando di tranquillizzarlo.
«Kim, calmati, devi concentrarti. Chiudi gli occhi. Respira.»
Nel grande tempio sulla cima del Picco Aeternitas, Kim eseguì gli ordini del suo maestro. «Respira regolarmente, con calma. Che cosa senti ora?»
«Io… la sento, mi parla. La Madre Terra mi sta parlando.» diceva, mentre era nello stato di trance.
«Ora, concentrati sulla Madre Terra, cerca di capire cosa ti dice.»
«È davanti a me, sta parlando, ma non… non la capis… AH!»
Kim urlò, a lungo, in preda a spasmi violenti, e poi si accasciò a terra. Iperione stava per intervenire, colto dall’euforia del momento, ma poi il giovane prese ad alzarsi in piedi, tenendo gli occhi chiusi. Quando li aprì, le sue sclere si illuminarono per un attimo di un rosso intenso, e vistosi tatuaggi rossi e neri a forma di triangolo apparvero sulle braccia, sul petto e sulle guance. Le iridi, dall’azzurro ghiaccio tipico del ragazzo, gli erano diventate di un verde profondo. Iperione si inchinò, poggiando il pugno a terra.
«Madre degli dèi, ti saluto.» disse, chinando il capo.
«Alzati, Iperione, non è usanza che un figlio chini il capo dinanzi una madre.»
Iperione si alzò in piedi, fissando negli occhi la Madre Terra. «Sai già perché ti abbiamo invocato, madre.» disse.
«Certamente. E lascia che ti dica che la mia pazienza sta finendo. Ricorda, non tollererò altre offese a ciò che ho creato con così tanta bontà.»
«Madre, ti prego, cerca di comprendere, gli uomini sono assetati di potere, l’Ordine dei Lupi Bianchi da solo non riesce a porre fine alla guerra...»
«Iperione, non sta a me intromettermi nelle faccende di vuoi uomini, anche se tra voi è presente il mio figlio più amato. Per una madre come me non c’è gioia più grande di vedere i miei figli che diventano indipendenti. Non posso pregiudicare la vostra libertà imponendovi di fermarvi.»
«Madre, ti scongiuro, ascolta le preghiere di un tuo devoto figlio.»
«No, Iperione. Voi uomini dovete imparare ad affrontare il destino che voi stessi create, noi dèi non possiamo imporvi nulla. Così è stato deciso all’inizio del tempo e così sarà.»
«Non temi che anche Kim possa cadere?» chiese Iperione alla Madre Terra, ormai disperato. Quella frase alle sue orecchie doveva suonare come l’ultima arma, quella che avrebbe dovuto convincere la dea.
«Io ho parlato. Noi dèi non interverremo nelle faccende di voi umani. Vi ho creati artefici del vostro destino, e come tali subirete la giusta punizione nel caso in cui continuerete ad offendere ulteriormente le nostre supreme leggi. Ricorda, figlio, e fatti portavoce della mia profezia all’umanità. La Terra, la stessa Terra che fino ad ora vi ha generosamente nutrito senza chiedere nulla in cambio, inizierà a cantare, e canterà la melodia della Morte. L’Età dell’Oro è terminata.»
La Madre Terra chiuse gli occhi, e i tatuaggi scomparvero dal corpo di Kim, che stava per cadere sul pavimento dell’altare. Iperione intervenne immediatamente, frenando la caduta. Gli occhi del giovane si aprirono, rivelando di nuovo il solito azzurro ghiaccio.
«Maestro...»
«Non parlare, Kim, devi riposare, ora. Ti porterò nella tua stanza.»
Preso in braccio Kim, il maestro uscì dal tempio e si diresse verso una piccola casetta, metà in pietra metà in legno.
«Maestro… ho… ho sentito cosa ha detto mia madre...»
«Non preoccuparti, Kim, cercheremo di nuovo di convincerla.»
Iperione aprì la porta. In un angolo della costruzione c’era un caminetto in pietra con un fuoco che scoppiettava allegramente. Vicino c’era un letto, sempre in pietra, sovrastato da uno spesso strato di paglia e piume a fare da materasso, con sopra delle coperte di soffice e caldo pelo di Stoutland, e un cuscino morbido. Il maestro poggiò lì il giovane. «Growlithe!» chiamò, e un piccolo Pokémon Cagnolino si presentò scodinzolando. «Riscalda Kim, ti prego, è molto debole, prenditene cura.»
Growlithe si infilò sotto le coperte insieme a Kim, e si dispose in modo da riscaldargli bene il torace.
Iperione fece per andarsene, ma il ragazzo lo chiamò, debolmente: «Maestro Iperione… questa guerra segna la fine dell’Età dell’Oro… ho paura…»
«Non pensarci, Kim, riposa ora.»
Pur nella sua veste di Sommo Sacerdote del Sole, Iperione aveva paura, e ne aveva anche tanta, ma non la lasciava trasparire. Varcò la soglia dell’abitazione di Kim. «Growlithe» disse «Prenditi cura di Kim.» poi chiuse la porta.

Regione di Athena, oggi

È difficile dormire su un letto che ha la stessa morbidezza di una lastra di pietra. E infatti Kai continuava a girarsi e a rigirarsi nel sonno, senza tuttavia trovar pace. Perfino nei sogni sentiva un vago senso di disagio, che ogni tanto veniva interrotto da una secchiata di acqua in faccia, come quella mattina.
«Alzati, moccioso, devo rifare i letti.»
Kai balzò seduto sul letto, ma perse l’equilibrio e cadde a terra, rotolando di lato.
«Henrietta, ma che cazzo di problemi hai?» urlò, mentre era ancora carponi.
«Modera il linguaggio, poppante, o ti battezzo la schiena col manico della scopa.»
«Ma che… va bene, sto zitto...» le rispose Kai, mentre si rialzava mordendosi la lingua per non dare fuoco a qualcosa con le parole. Henrietta era brava ad attirarsi l’odio degli ospiti di quell’orfanotrofio, tanto che la chiamavano Maleficent, come la strega cattiva di una delle tante favole che si sentono da bambini, oppure “la Corva”, per i capelli neri lunghissimi che aveva, sempre incredibilmente lisci e lucenti, proprio come le piume di un corvo. Henrietta era una donna alta, magra, sulla quarantina, con la carnagione chiarissima e gli occhi azzurri. Il viso era bello, con un vezzoso neo sulla guancia sinistra. Una simile bellezza comunque tradiva una cattiveria che i ragazzi dell’orfanotrofio Ilitia pativano da circa 16 anni. Kai in particolare sembrava il suo preferito, dato che la donna non perdeva occasione per farsi odiare specialmente da lui.
«Non ti scordare di svegliare quella bestiaccia che ti dorme vicino.» fece quella, indicando il Riolu di Kai, che aveva continuato a dormire della grossa anche dopo tutto l’ambaradan di prima.
«Tranquilla» rispose Kai, mentre prendeva in braccio Riolu «al massimo quella di cui potrei dimenticarmi sei tu, Corva.» e iniziò a saettare verso il corridoio, mentre quell’altra urlava «Ti uccido, moccioso!» e agitava la scopa in aria. Anche se non era sempre così semplice sfuggirle, a Kai divertiva far arrabbiare Henrietta, era uno dei pochi momenti di divertimento nello squallore dell’Ilitia. Mentre scendeva le scale di corsa con Riolu in braccio, che intanto si era svegliato, il ragazzo ripensava al sogno di quella notte, con tutti quei personaggi dagli strani nomi che però gli sembrava di aver già sentito, specialmente quello del ragazzino, Kim, che gli suonava stranamente familiare, quasi come se fosse un membro della famiglia che non aveva mai conosciuto. Intanto non si era quasi accorto di essere arrivato nel cortile dell’orfanotrofio.
«Ehi, Kai!» si sentì chiamare.
«Ciao, Minerva.» rispose. La ragazza che gli si era avvicinata, alta circa un metro e settanta, capelli biondi con una sfumatura metallica, tendente al platino, aveva gli occhi di un grigio molto chiaro. Minerva aveva 16 anni, ma sembrava in effetti una donna già fatta e finita. Aveva le curve nel posto giusto, e Madre Natura non si era certo risparmiata. Non erano pochi i ragazzi che ci avevano provato con lei, ma erano stati tutti irrimediabilmente rifiutati, senza tentennamenti. Aveva una pelle straordinariamente candida, quasi fosse avorio, senza la minima traccia d’imperfezione, e uno sguardo furbo, attento al minimo particolare. «Ciao, Riolu.» fece al piccolo Pokémon, sorridendo. Riolu rispose al saluto sorridendo anche lui e abbaiando felice. «Sei fradicio.» notò poi, rivolgendo la sua attenzione a Kai.
«Ho provato la sveglia di Maleficent.» risposte lui.
«Ultimamente la propina sempre più spesso, prima o poi beccherà anche me.»
«Non credo, ti svegli sempre prima di tutti, non so come tu faccia a dormire così poco.»
«Va be’… piuttosto, Percy? L’hai visto?»
«No, sono uscito dal dormitorio pochi minuti fa. Deve comunque essere da qualche parte vicino l’istituto.» Kai si guardò intorno, visionando tutto il cortile, ma non lo vide. Vide invece Vincent Ahrai che veniva verso di lui, con la sua solita andatura da bulletto. «Riolu, è meglio che tu scenda, c’è aria di scazzottate.» fece, facendo scendere Riolu a terra. Vincent era un ragazzone tutto d’un pezzo, un vero e proprio armadio, probabilmente originario di Alola, visto il colore della pelle. Sull’avambraccio destro aveva un tatuaggio tribale. Era accompagnato, come sempre, da Cornelia, una ragazza bassina con qualche piercing sul naso e sul labbro, e da Jackson, un ragazzo magrolino, che girava sempre con un coltellino nella tasca dei jeans.
«Ma guarda, Henrietta ti ha fatto la doccia!» fece Ahrai, urlando. Tutti si girarono. «Almeno ti sei lavato, sfigatello.» e poi si mise a ridere rumorosamente, seguito dai suoi compari. Ogni volta che Kai lo vedeva, quel grugno da prendere a schiaffi lo faceva incazzare. Stava lottando con sé stesso per non mettergli le mani addosso, ma stavolta, complice forse la doccia fredda di Henrietta, stava per partire in quarta. Poi vide che Minerva si era messa davanti a lui.
«Ahrai, ti consiglio di chiudere quella fogna che ti ritrovi per bocca, prima che ti spediamo nel cesto dei panni sporchi a piangere.» disse, decisa. La ragazza appariva perfettamente calma, nessuna espressione facciale tradiva la sua imperturbabilità, ma guardandola negli occhi le si vedeva un fuoco divamparle nelle iridi.
«Oh, a quanto pare adesso ti fai difendere dalle ragazze, femminuccia.» rispose Ahrai.
«Tesoro» intervenne Cornelia, rivolta a Minerva «dovresti farti da parte quando parla Vin. E dovresti anche avere un po’ più di gusto, quelle scarpe le ho viste ieri addosso ad un barbone.»
Ogni volta che Cornelia apriva bocca era per dire qualcosa di cattivo a Minerva. E ogni volta dentro di lei si accendeva una vampa che le faceva arrivare troppo sangue al cervello, finendo per rendere inutile il suo volto imperturbabile di prima. «Parla la grande stilista! Non sfidare la mia pazienza, bamboccia!»
La ragazza stava per venire alle mani, ma Vincent si frappose tra le due ragazze, tenendole separate.
«Andiamo, bambole, non vi azzuffate.» Poi si rivolse esplicitamente alla bionda: «Quanto a te, dolcezza, che ne dici di sfogare la tua aggressività da gattina feroce sotto le lenzuola?»
Minerva apparve sconvolta per un attimo, solo per dare al bullo l’impressione che lui l’avesse colpita al fianco, ma subito si abbassò con uno scatto e fece perdere l’equilibrio ad Ahrai con un calcio alle caviglie, poi si spostò immediatamente di lato, per dar modo a Kai di sorprenderlo con una gomitata in piena fronte. La combinazione finì con una Forzasfera di Riolu e scaraventò Vincent ad una decina di metri, facendogli assaggiare il suolo umidiccio del cortile.
«Vin!» esclamò Cornelia, correndo verso di lui insieme a Jackson. Ahrai era intontito per la gomitata, ma riuscì comunque ad alzarsi, anche se con fatica.
«Andiamo, non farla tanto lunga, ti abbiamo colpito appena.» gli disse Kai. Ripresosi dallo shock, Vincent scattò verso i due ragazzi, ma Cornelia e Jackson lo bloccarono. «Vin, non farlo.» gli fece Jackson, dopo aver dato un rapido sguardo dietro le spalle dei due che avevano fatto mangiare la polvere al suo compagno.
«Ahrai, ti conviene ascoltare il tuo cagnolino se non vuoi prenderle di nuovo.» disse Minerva, con ancora il fuoco di prima nello sguardo. La ragazza, Kai e Riolu erano decisi a dare alla combriccola un’altra lezione, se fosse stato necessario, ma furono interrotti da un vocione. «Voi delinquenti! Con me, si va dalla Chateau.»
A parlare era stato il capo dei guardiani della struttura, Francis, che aveva assistito alla scena dal grande portone dell’Ilitia e aveva fatto l’annuncio con un megafono.
«È solo colpa vostra.» borbottò Kai sottovoce a Vincent e gli altri due, mentre salivano la grande scala di legno che portava alla stanza della direttrice. Isabelle Chateau era una donna bassina e compatta, con dei capelli biondi che teneva sempre perfettamente lisci, pettinati in un caschetto. Originaria di Kalos, dove prima insegnava matematica in una delle tante scuole superiori di Luminopoli, era un autentico concentrato di malvagità. Era lì da quasi quattro anni, quattro anni in cui il terrore correva sui muri. L’ufficio della Chateau era forse l’unico posto elegante di tutto l’istituto, con un pavimento di parquet chiaro levigatissimo e una scrivania di ciliegio con sopra una lastra di marmo bianco. Sotto la scrivania stava un grande tappeto, su cui stavano anche due poltroncine in velluto rosa. In un angolo c’era un caminetto con dei divanetti, sempre rosa, e un tavolinetto con sopra un servizio da tè. L’altro lato della stanza era occupato da una grande libreria in legno, con la statua in marmo bianco di una figura femminile, forse una divinità.
«Non vorrei essere nei vostri panni...» disse Francis, con una specie di sorrisetto sadico. Poi bussò alla porta. «Avanti!» si sentì rispondere da dentro da una vocina dolce. «Chiedo scusa per il disturbo, madama.» fece il guardiano, aprendo la porta ed entrando seguito dai ragazzi. «Ho trovato questi ragazzi che cercavano di scatenare una rissa in cortile.»
La Chateau si stava concedendo un attimo di pausa, sorseggiando un tè e leggendo un libro preso dalla sua libreria personale. Minerva allungò lo sguardo per leggere il titolo del libro, “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo. La donna amava i classici, pur essendo un’ex insegnante di matematica. «La ringrazio, signor Francis, può andare ora.»
Francis accennò un mezzo saluto col cappello e uscì fuori dall’ufficio, chiudendo la porta. La Chateau si alzò, dirigendosi verso la scrivania.
«Dunque, tesori, ho sentito un po’ di rumore poco fa dalla finestra. Che cosa è successo?» fece quella, guarduando Kai. “Ma che cavolo vuole questa da me?” pensò il ragazzo. Anche Riolu era leggermente inquieto.
Minerva si fece avanti, spavalda: «Madama Chateau, non è stata...»
«Silenzio, tesoro, non è a te che ho chiesto.» la interruppe. La ragazza strinse gli occhi, ad esprimere silenziosamente il suo odio. «Certo. Chiedo scusa.»
Kai intervenne: «Non è stata colpa nostra, ci siamo soltanto difesi.»
«Da cosa, esattamente?» chiese la direttrice. Kai tentennò un momento. Sapeva che le punizioni della Chateau erano terribili, e quasi gli dispiaceva che Ahrai ne subisse una, e con lui tutta la sua cricca. Il pensiero gli sfiorò per un attimo la mente, ma poi pensò “Al diavolo” e raccontò tutto alla direttrice, perfino delle avances poco ortodosse che il bullo aveva fatto alla sua amica. Durante il racconto Ahrai continuava a negare, disperato, ma la Chateau non sembrava dargli importanza. Finito il racconto, la donna si mise a pensare. Dopo qualche istante, sfoggiò un sorriso malefico, dicendo: «Tutti in punizione, tesoro.» con una calma serafica. Kai e Minerva apparvero stupiti. «Cosa?» risposero all’unisono.
«Esattamente.» disse quella. «Signor Francis, venga.»
Francis aveva aspettato fuori dall’ufficio, origliando tutto il tempo. Entrò dentro, estraendo il manganello. «No! Non abbiamo fatto niente!» esclamò Kai. Francis fece per zittirlo con il manganello, ma quello reagì con violenza. «Non toccarmi!» urlò, mentre una vibrazione del suolo, una vibrazione forte, che stava facendo cadere i libri dagli scaffali e il servizio da tè a terra, aveva iniziato a scuotere la stanza. Un terremoto. Non erano rari ad Athena, ma lasciavano sempre tutti comunque un po’ spiazzati. La stanza continuava a tremare, mentre le iridi di Kai brillavano di un verde intenso, facendo risaltare ancora di più il colore naturale dei suoi occhi. Il ragazzo guardava Francis rabbiosamente, tenendo i pugni serrati, talmente forte che le nocche gli si erano sbiancate. Minerva colse al volo l’occasione involontariamente offerta dall’amico. «Riolu, rompi quella vetrata!» urlò, riferendosi alla grande finestra dietro la scrivania della Chateau. Riolu colpì il vetro con Breccia, infrangendolo in mille pezzi, e atterrò sul ramo del grande abete nel cortile dell’Ilitia. Minerva diede un pugnetto all’amico sulla spalla sinistra, facendolo risvegliare da quella furia violenta che lo aveva colto. «Andiamo, Kai!» gli fece, balzando prima sulla scrivania e poi sul ramo, ed iniziando a scendere lungo il tronco con delle acrobazie degne di un ninja, mentre invece Riolu aspettava l’altro. Ripresosi da quello stato, Kai evitò all’ultimo secondo una manganellata di Francis con un movimento a spirale, e lo colpì con un calcio sulla gabbia toracica, sufficiente a farlo cadere a terra. Rapidamente e senza esitare, si tuffò nel vuoto, appendendosi al ramo su cui il suo Pokémon lo aspettava e iniziando a scendere verso terra come aveva fatto Minerva.
«Kai! Minerva!» si sentirono chiamare da fuori il cortile. Appeso alla cancellata c’era un ragazzo biondo che li aspettava. «Di qua, presto!»
I due ragazzi e Riolu scavalcarono velocemente la cancellata di ferro, uscendo da quella prigione che era l’Ilitia, con l’intenzione di non farvi più ritorno. Mentre tutti e tre correvano via, il ragazzo biondo fece: «Ho sentito il terremoto mentre ero qui vicino, come avete fatto a scappare?»
«Te lo spieghiamo dopo, Percy, ora pensiamo a mettere quanta più distanza possibile tra noi e quell’inferno.» rispose Minerva.
Kai era rimasto zitto, e mentre correvano pensava a quello che era successo, a quel potere immenso che aveva sentito dentro di sé. Molto presto avrebbe saputo qualcosa che avrebbe cambiato la sua visione del mondo per tutta la vita, qualcosa che aveva a che fare con le antiche divinità di Athena.

Capitolo II - Figlio della Terra
Dopo aver corso per una decina di minuti, i tre ragazzi arrivarono davanti ad un grande edificio in stile classico, e si fermarono nel boschetto lì vicino, stando bene attenti ad appartarsi.
Kai si buttò sul prato. «Finalmente siamo liberi!»
«Cavolo, ma abbiamo avuto una fortuna incredibile.» fece Minerva.
«Insomma, volete dirmi che cavolo è successo?» chiese Percy.
Minerva si mise a raccontargli tutto, mentre Riolu si metteva ad esplorare quel piccolo boschetto, tutto felice. Quando la ragazza arrivò alla parte del terremoto, Percy ebbe un sussulto. «Come hai detto? Gli occhi di Kai brillavano?»
«Sì, brillavano di un verde intenso.»
«Potrebbe essere… Kai, cosa sentivi durante il terremoto?» chiese poi, rivolto al ragazzo dagli occhi verdi.
«Io… non lo so, ma… credo di averlo provocato io, ero così arrabbiato per quello che aveva detto la Chateau… ho sentito questo grande potere nel petto e non riuscivo proprio a trattenere la mia rabbia...» rispose, tenendo basso lo sguardo.
«Kai, andiamo, è impossibile che sia stata colpa tua.» fece la ragazza.
«No, Minerva» rispose il biondo. «Non ne sarei così sicuro.»
«Che intendi?» chiese quella.
«Venite con me, all’Università c’è qualcuno che può spiegarvi tutto.»
Mentre parlavano, Riolu si era seduto su un rametto e si godeva la brezza fresca di ottobre, ascoltando il rumore del vento tra le foglie, in completa beatitudine, fin quando Kai lo chiamò. Il piccolo Pokémon scese con un balzo e atterrò leggero sulla spalla del suo amico. Usciti dal boschetto, i tre entrarono nel grande edificio classico che era l’Università di Aeteria, la capitale della regione di Athena. Una volta salita la grande scalinata, videro una donna che stava pulendo. Percy la salutò mettendosi una mano davanti al petto, come quando ci si mette in preghiera, ma con una sola delle due mani.
«Eklaie, Matilde. C’è Deucalion, per caso?»
«Eklepte, Perseus.» rispose, con lo stesso gesto del ragazzo. «Sì, lo trovi nell’aula magna della facoltà di archeologia.»
«Grazie.» rispose, sorridendole. Matilde ritornò alle sue mansioni di inserviente mentre i ragazzi entravano dentro l’Università, il biondo con passo spedito, Kai e Minerva invece un po’ incerti. Entrambi pensavano allo strano gesto con cui Percy aveva salutato quella donna, come se facessero tutti e due parte di chissà quale setta segreta.
«Eklaie?» chiese Kai, curioso.
«È un antico saluto che si usava qui ad Athena, molto tempo fa. Deucalion vi spiegherà tutto.»
Mentre parlavano di questo, erano già arrivati a destinazione. Da dietro una porta rossa si sentiva qualcuno che spiegava qualcosa riguardo vasi antichi e vino. Percy aprì la porta. Dentro c’erano un sacco di ragazzi, di non più di 23 anni, che ascoltavano un uomo che ne aveva circa 27.
«Deucalion, scusa se ti disturbo, ma ci serve il tuo aiuto.» proruppe il biondo, deciso.
«Un attimo solo, per favore.» rispose quello. «E quindi, come vi stavo dicendo, nel 1891...»
Il ragazzo lo interruppe di nuovo. «Deucalion, non c’è tempo, ne abbiamo uno.» fece. L’uomo si fermò di colpo e si girò verso i ragazzi, guardandoli in un primo momento tutti e tre, e soffermando in seguito la sua attenzione su Kai, come se il ragazzo fosse una calamita. «Signori, la lezione è finita, per oggi.» annunciò, rivolto a tutte le persone lì sedute che prendevano appunti come forsennati. «Venite nel mio studio.» disse ai tre, dopo che gli si era avvicinato.
Mentre camminavano, Minerva si era portata a fianco di Deucalion, e ogni tanto gli dava un’occhiata furtiva. Era un bell’uomo, ancora nel fiore degli anni, moro, con degli straordinari occhi color ambra con sfumature rosse. Addosso aveva soltanto un maglioncino rosso con lo scollo a V abbastanza attillato, che faceva vedere il rigonfiamento dei bicipiti e dei pettorali. Il viso era armonioso, con una barba curata, abbastanza corta, Insomma, un figo, e ci mancava poco che a Minerva venissero gli occhi a cuoricino. Mentre lo guardava, Deucalion si girò verso di lei. «Qualcosa non va?» le chiese. La ragazza avvampò. «Ehm… no, no, niente!» e si mise a fissare il vuoto davanti a lei, ancora rossa. Kai si stava mettendo a ridere insieme a Percy, dietro, ma entrambi riuscirono a trattenersi.
Camminarono un po’ nei corridoi dell’Università di Aeteria, che scoprirono essere davvero enorme, finché non arrivarono in un’ala del palazzo con i muri a bassorilievo, su cui erano mostrate scene di mitologia classica. Kai si perse un attimo a guardarli mentre ancora camminava e non vide lo studente che veniva verso di lui, tutto trafelato, mentre controllava l’orario sul cellulare. Proprio in quel momento in cui entrambi avevano distolto lo sguardo, il ragazzo andò praticamente addosso a Kai, e tutti e due caddero a terra, mentre dei fogli svolazzavano di qua e di là.
«Oddio, scusa, non ti ho visto!» esclamò quello.
«Tranquillo, tranq...» e arrossì, guardandolo in volto. «Sto be… bene, n-non mi hai fatto nulla!» fece, scattando in piedi come una molla, mentre anche l’altro si alzava. «Mi dispiace di esserti venuto addosso. Mi chiamo Orione.»
«Kai!» rispose. Poi aggiunse: «Ti aiuto a raccogliere le tue cose!» e scattò di nuovo, quasi buttandosi a terra.
«Ah, grazie.» rispose quello, sorridendo. Orione era un ragazzo di 19 anni, al primo anno di archeologia, con i capelli neri e gli occhi di una varietà di azzurro che sembrava racchiudere tutto il cielo nelle iridi. Aveva addosso una semplice maglietta verde a mezze maniche, pur essendo ottobre inoltrato, e una felpa abbastanza leggera sotto braccio. La maglietta faceva intravedere i muscoli, che spostarono la fantasia di Kai in dimensioni sconosciute, tutto questo mentre ancora raccoglieva fogli da terra.
«Grazie per avermi aiutato, davvero, non c’era bisogno.» gli disse sorridendogli.
«Figurati!» rispose, e voleva aggiungere anche “Per un figo come te questo e altro”, ma non gli pareva il caso. Orione si sistemò, mettendo in tasca il cellulare che Kai gli aveva raccolto.
«Grazie ancora. Ciao!» fece, andandosene.
«Ciao!»
Il ragazzo dagli occhi verdi stava in piedi a guardare Orione che si allontanava, mentre le iridi gli brillavano leggermente. Minerva gli si avvicinò, dicendogli: «Kai, dai, dobbiamo andare.»
«Eh? Dove?» chiese, come se non avesse proprio sentito, come se il mondo, per quei momenti, fosse totalmente scomparso.
«Dai, Casanova, alla caccia ci pensi dopo.» gli fece Percy. Deucalion in tutto questo ridacchiava, mentre apriva la porta del suo studio.
«Ah, sì!» esclamò il ragazzo, tornando con i piedi per terra.
Lo studio di Deucalion era grande, elegantemente arredato, e si divideva in due sezioni: la parte in cui l’uomo studiava le civiltà antiche, estremamente ordinato, con le pareti tappezzate di libri, e il laboratorio, in cui lui e i suoi assistenti catalogavano i reperti. Deucalion si sedette alla scrivania, facendo accomodare i ragazzi su due divanetti bianchi. Aprì un cassetto e prese un ciondolo a forma di cerchio diviso da una sbarra verticale, che sconfinava oltre la circonferenza. Lo poggiò e si mise a chiedere a Percy di raccontargli tutto. Mentre il ragazzo parlava, quello lo guardava con le mani unite, mentre Kai li sbirciava entrambi, con lo sguardo preoccupato. Finito il racconto, Deucalion chiuse gli occhi per riflettere un attimo, poi prese il ciondolo in mano. «Kai, mettilo al collo, è giusto per confermare la mia teoria.» fece, porgendoglielo. Il ragazzo lo rimirò un po’, poi lo indossò. Passarono diversi secondi senza che succedesse niente, in cui la tensione si tagliava con il coltello, finché Minerva non ruppe il silenzio: «Ehm… siamo sicuri che stia funzionando?»
«Pazienza, Minerva.» le rispose Percy. Kai intanto si sentiva tesissimo, finché un capogiro non lo distrasse. «Kai, che hai?» gli chiese la bionda.
«Mi… gira la testa...» e sbiancò tutto d’un tratto. Il ragazzo si sentiva debolissimo, stava per svenire addosso all’amica.
«Deucalion, questo non è normale.» fece Percy.
«No, infatti, fatelo sdraiare!» esclamò Deucalion.
Kai era in preda ad un fortissimo mal di testa, gli sembrava gli stessero strizzando il cranio con una pressa, e prese ad urlare, mentre se lo toccava come a dire “Esci! Esci dalla mia testa!”.
«Percy, togligli il ciondolo! Sbrigati!» gli urlò il professore.
Percy fece per strappare al ragazzo la collana di dosso, ma si ustionò la mano. Kai smise di gridare e all’improvviso aprì gli occhi, che iniziarono a brillare vivacemente di verde, mentre un terremoto scuoteva l’Università, e gli alberi nel cortile si agitavano come se stessero ballando, in completa assenza di vento. Intanto il ciondolo, da oro di cui era fatto, era diventato di smeraldo, con la barra al centro nera, come fosse fatta di lava solidificata. Il lampadario oscillava violentemente, e buona parte dei libri nella stanza era a terra. Riolu era terrorizzato dalle vibrazioni e si aggrappava a Minerva, stringendosi al suo collo.
«Mettetevi sotto la scrivania, presto!» gridò Deucalion ai ragazzi, mentre cercava di strappare di dosso il ciondolo a Kai. Dopo aver fatto molta forza ci riuscì, anche se si ustionò le mani fin quasi ad avere il sangue. Il terremoto cessò immediatamente, così come la luminescenza negli occhi del sedicenne. Deucalion gettò la collana in un angolo della stanza, mentre Kai si mise in piedi come se si fosse appena svegliato da un incubo. «Che è successo? Che ho fatto?» chiese. Tutti lo guardarono stupefatti, tranne Riolu, che si mise a correre verso di lui e lo abbracciò, guaendo. Il ragazzo si mise a piangere con il Pokémon in braccio, perché si era accorto di aver terrorizzato il suo amico, pur senza avere il controllo delle sue azioni. Minerva gli si avvicinò, poggiandoli una mano sulla spalla: «Non è colpa tua, non fare così» disse per consolarlo.
«Io… sono un mostro, non sono umano...»
«No, in effetti.» rispose Deucalion. Kai smise di piangere e alzò lo sguardo verso di lui, ancora con gli occhi arrossati, insieme a Minerva. Percy invece continuava a guardare il ragazzo. «Hai ragione, non sei umano. Non completamente, almeno.» continuò l’uomo.
«Io… cosa sono?»
«Per dirtelo devo conoscere i tuoi genitori.»
Kai sentì un colpo al cuore. I suoi genitori. Per 16 anni era cresciuto all’Ilitia, fantasticando di avere una famiglia. Quando vedeva tutti quei bambini che passavano davanti all’orfanotrofio tenendo per mano la mamma, oppure sulle spalle del papà, sentiva una grande tristezza e un bruciore in mezzo al petto che gli rimaneva per ore e ore, finché Minerva non arrivava lì a consolarlo, ogni volta. E anche se non se n’era mai accorto, anche la natura intorno a lui diventava meno ridente, più grigia, più spoglia. Deucalion si rese conto di non aver detto una cosa troppo delicata e cercò di scusarsi: «Non intendevo ferirti, ma io posso rivelarti chi sono i tuoi genitori.» fece, cercando con lo sguardo il ciondolo. Lo individuò sopra un libro, con lo smeraldo che risplendeva. «Kai, nelle tue vene non scorre soltanto sangue umano.» disse, mentre il ragazzo lo fissava con occhi interrogativi insieme a Minerva. «I tuoi genitori ti hanno abbandonato all’Ilitia perché non hanno avuto altra scelta. Hanno dovuto celarti tra gli umani perché non corressi rischi.»
Il ragazzo, che fino ad allora aveva ascoltato senza reagire, iniziò a sentire un vago senso di fastidio causato da quelle parole, come una vampa che cresceva pian piano dentro di lui.
«I miei genitori mi hanno abbandonato. In quell’inferno. Non meritano nemmeno di essere chiamati genitori.»
«Non dovresti dire così, Kai.»
«Non farmi la predica, non sei nella posizione. Potrai anche conoscere i miei genitori, ma non sai nulla di me.» disse, e i suoi occhi si illuminarono di nuovo, mentre una leggera vibrazione scuoteva l’edificio per l’ennesima volta. Deucalion avvertì il pericolo di un possibile crollo della struttura, già messa a dura prova dal precedente sisma.
«Ti prego, calmati, ma questo discorso è di importanza fondamentale per il futuro di tutti noi.»
Minerva abbracciò il ragazzo cercando di tranquillizzarlo. Il barlume nelle sue iridi si spense, mentre anche la stanza smetteva di vibrare. «Parla, dunque, Deucalion» disse «Chi sono i miei genitori? Cosa sono io?»
«Come ti stavo dicendo, Kai, tu non sei completamente umano. In un tempo remoto, poteva succedere che gli dèi si innamorassero dei mortali, e che generassero dei figli con loro.»
Quelle poche parole erano bastate per sconvolgere Kai. «Che?» esclamò, con gli occhi sgranati.
«Tu, ragazzo, sei figlio di una delle divinità ancestrali di Athena. Tu sei un semidio figlio della Madre Terra.» continuò. Questa era la verità. Kai non era un semplice umano, e nelle vene gli scorreva anche l’aureo icore degli dèi.

Capitolo III - Verità

Kai e Minerva erano sconvolti, non comprendevano bene la situazione in cui si trovavano. E del resto, come avrebbero dovuto farlo? Chi crederebbe ad uno sconosciuto che di punto in bianco arriva e rivela verità di questo genere? La realtà appariva ai due ragazzi incerta, rarefatta, coperta da un sottile velo di nebbia, quasi come un sogno. Dopo un lungo silenzio Minerva azzardò una domanda. «Come lo sai?» fece, rivolta a chiunque potesse darle una risposta e dissolvere la foschia che avvolgeva la sua mente e quella dell’amico.
«Il ciondolo.» si intromise il biondo. «È sacro, da sempre lo usiamo per individuare i semidei. Quando qualcuno come Kai lo tocca, i minerali di cui è composto cambiano.»
Il ragazzo dagli occhi verdi, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad ascoltare, alzò lo sguardo verso Percy. «Voi? Chi siete voi? Che cazzo sta succedendo?» disse, con una punta di aggressività nella voce. Tutte quelle rivelazioni gli avevano fatto venire un gran mal di testa, riusciva quasi a sentire il sangue che gli scorreva nelle vene pulsanti del cranio, e un leggero ronzio nelle orecchie.
«Noi, amico mio, siamo...»
«L’Ordine dei Lupi Bianchi.» intervenne Minerva. «Ne ho sentito parlare. Ho letto delle cose su di voi.»
A Deucalion scattò una molla nella mente, e un ingranaggio si mise a lavorare. Percy si accorse di una variazione minuscola nella sua espressione e gli chiese con lo sguardo cosa avesse capito. Quelle fece cadere subito l’argomento scuotendo leggermente il capo, come a dire “Ti spiego dopo”. Il professore continuò il discorso di Percy: «Noi facciamo parte di una società segreta millenaria che si occupa di custodire i misteri e i segreti della regione di Athena. Troppe volte gli uomini hanno rischiato di bruciarsi giocando con un fuoco che non avrebbero mai dovuto conoscere. Tra questi segreti segreti ci sei anche tu, Kai, insieme a tutti gli altri semidei.»
«Cosa? Ce ne sono altri?» chiese il ragazzo.
«Rimarresti sorpreso da quanti ce ne sono, ma tu non sei come tutti gli altri, sei più potente. Il terremoto che hai causato prima lo dimostra, anche se sono sicuro sia stato originato da una parte molto piccola del potere che effettivamente possiedi.»
Al mal di testa che tormentava Kai si aggiunse una grande stanchezza improvvisa, che gli calò dall’alto senza preavviso come la grandine di un temporale estivo. Stranamente, anche Riolu accusò quell’improvviso torpore, e cadde addormentato in braccio al ragazzo entro poco tempo. Quello iniziò a vedere sfocato e a stropicciarsi gli occhi come fanno i bambini. «Minerva… voglio… dormi...» e crollò esausto sul divanetto. Percy e la ragazza scattarono verso di lui, preoccupati da quell’improvviso tracollo, ma Deucalion li tranquillizzò. «No, lasciatelo stare, è solo l’effetto del ciondolo. Prosciuga le energie dei semidei, la prima volta che viene in contatto con uno di loro. Non preoccupatevi, ha soltanto bisogno di riposare.» fece, con una mano tesa in avanti per bloccarli. «Minerva, per favore, resta qui accanto a lui. Una volta sveglio sarà… un po’ euforico, ha bisogno di qualcuno che lo tranquillizzi. Percy, ho bisogno di parlarti.»
Percy stava là, in attesa che Deucalion proferisse parola. «Da solo» fece il moro, voltandosi e uscendo nel corridoio dopo aver controllato l’orologio per accertarsi che non ci fossero studenti che cambiavano aula. Il terremoto generato da Kai non era stato abbastanza forte da essere considerato un pericolo per gli edifici antisismici di Aeteria. Percy lo seguì immediatamente, evitando una pila di libri caduti con un agile salto. Minerva, intanto, era rimasta sola con Kai, e gli accarezzava i capelli mentre era sprofondato in un sonno profondo, affettuosamente, come fa una sorella maggiore. Il ragazzo dormiva senza avere in volto nessuna espressione a parte quella di chi si era addormentato per riprendere le forze, prosciugategli da quel ciondolo, e abbracciava Riolu come se il Pokémon fosse una delle poche sicurezze che gli erano rimaste, ovviamente insieme al suo gruppetto di amici. Kai, Riolu e Minerva erano insieme da quando avevano memoria, e nessuno dei tre riusciva a ricordare un solo momento in cui non fossero stati uniti. Percy era subentrato solo in un secondo momento, quando entrambi avevano circa nove anni e lui undici, anche se da subito era entrato nel loro striminzito ed evanescente nucleo familiare. Evanescente perché avevano rischiato più volte di essere separati per colpa di chi dirigeva l’Ilitia, per ultimo dalla Chateau che li aveva puntati fin dal primo giorno. Una volta, addirittura, erano state avviate le pratiche per mandare ognuno in una regione diversa, e Percy aveva smosso il mondo intero per impedire che accadesse, chiedendo aiuto ad una donna che tutti e tre i ragazzi videro un’unica volta nella loro vita. Minerva ricordava di lei la tranquillità che le dava, che comunque non si spiegava, essendo diffidente per natura verso gli sconosciuti. A volte le sembrava di sentire nella sua mente una voce che la guidava o che le dava dei consigli, e somigliava, anzi, era praticamente la voce di quella donna. Il tutto durava al massimo un paio di secondi, ma quei pochi attimi furono più di una volta indispensabili per farle prendere delle decisioni importanti, come quando i ragazzi erano fuggiti dall’orfanotrofio. A Kai sembrava una donna senza timore di nulla, capace di fare ogni cosa e di ottenere sempre ciò che vuole. E infatti era riuscita a scovare un microscopico codicillo nel codice che tutela gli orfani minorenni che le permise di ottenere da Eric Zakalos, il direttore di allora, l’annullamento permanente delle pratiche di trasferimento. I ragazzi avevano un ricordo comune di quella donna: un ciondolo d’argento e avorio a forma di testa di Noctowl che le faceva risaltare gli occhi chiarissimi, quasi bianchi. Non ne ricordavano il nome, purtroppo, ma nel corso degli anni Minerva e Kai fecero ricerche su ricerche per rintracciarla, ma ogni pista che imboccavano li portava ad un punto morto, come se il loro obiettivo non fosse mai esistito, come se non ci fosse sulla Terra un’umana che avesse quelle caratteristiche.
Intanto, nel corridoio dell’Università, attenti che nessuno li ascoltasse, Deucalion e Percy discutevano di ciò che era appena accaduto.
«Deucalion, siamo sicuri che Kai sia così potente?»
«C’è qualcosa che te lo fa dubitare?»
«Non dico questo, ma già altre volte ci è capitato di trovare semidei capaci di scatenare terremoti, ma figli di altre divinità meno antiche.»
«No, Percy, questa volta è diverso, è proprio lui. Tu non te ne sei accorto, ma anche gli alberi nel cortile si muovevano, nonostante non ci fosse vento. E non erano solo scossi dal terremoto, erano proprio i rami ad agitarsi come se fossero vivi.»
«Sai cosa significherebbe, Deucalion… Non voglio che i miei amici corrano un pericolo così grande, non sopporterei di nuovo un altro dolore di questo tipo…»
«Lo so, Percy. E credimi, io non voglio assolutamente che tu perda di nuovo qualcuno a cui tieni, ma Kai potrebbe essere chi cerchiamo da tempo, anche se questo significherebbe rischiare la rovina. Resta il fatto che questa notizia non deve trapelare nemmeno tra i membri dei Lupi Bianchi, almeno finché...»
«Finché non ne saremo completamente sicuri.» lo interruppe Percy.
«No» rispose Deucalion «Non intendevo quello. Il ciondolo non mente, ma dobbiamo evocare la Madre Terra e pregarla di riconoscerlo.»
«Come?» chiese il biondo. «Stiamo parlando di invocare una divinità ancestrale, non è esattamente come cucinare dei biscotti. Sono più di cinquemila anni che nessuno ci prova.»
«Lo so, ma sono anche più di cinquemila anni che nessuno ne ha avuto il motivo. Credo si possa provare sul Picco Aeternitas, è il luogo in cui la Madre Terra si è manifestata l’ultima volta.»
Percy rifletté un attimo. «È vero, quel luogo è sacro. Ma… se dovessimo fallire?»
«Non preoccuparti, non falliremo.» cercò di rassicurarlo Deucalion, mettendogli una mano sulla spalla.
«D’accordo...» rispose controvoglia il ragazzo. «Ma… preferirei che fosse tutto un sogno...»
«Lo so, ma purtroppo il destino oggi ci ha dato un appuntamento. Non credere che io non comprenda cosa provi, Percy.»
«Non è colpa tua, solo che… vorrei tanto che questo giorno non fosse mai arrivato.» disse, guardando verso il basso. Percy e Deucalion erano a conoscenza di un antico segreto che metteva in pericolo Kai, una profezia ancestrale che ne prevedeva l’apogeo, ma anche l’inevitabile caduta. Percy era distrutto da quel pensiero e non riusciva a mascherarlo. Non che a Deucalion non importasse, ma era bravo a non farlo trasparire. Al biondo invece riusciva troppo difficile soffocare i suoi sentimenti in moltissime occasioni.
«Percy, io devo sbrigare delle cose» fece l’uomo, tagliando la nebbia di tensione che si era venuta a creare. «Tu resta con Minerva e Kai. Sono confusi, hanno bisogno di avere vicino qualcuno di cui si fidano.»
«Quando tornerai?»
«Stasera. Ah, Percy.»
«Cosa?»
«Quel ragazzo di prima, Orione.»
«Devo tenerlo d’occhio?» chiese, secco.
«Sì, ho uno strano presentimento su di lui. Prima non me ne ero reso conto, ma adesso ho come l’impressione che il suo incontro con Kai non sia stato così casuale come abbiamo pensato. Fai in modo che Kai non resti mai solo quando lui è nei paraggi.»
Deucalion andò via, lasciando Percy da solo nel corridoio. Il ragazzo indugiò un attimo prima di entrare nello studio, pensando ai futuri sviluppi di ciò che era successo. Non sentiva alcun rumore provenire da dietro la porta. Probabilmente Kai non si era ancora svegliato. Chiuse un secondo gli occhi per scacciare quei brutti pensieri, e poi entrò.
Riolu si era già svegliato e stava accoccolato sul petto di Kai, come quei bambini che non hanno voglia di alzarsi la mattina per andare a scuola e rimangono nel letto a fissare la parete. Il ragazzo, invece, dormiva ancora, anche se adesso aveva un viso sereno. Percy si sedette sull’altro divanetto. «È normale che dorma così tanto?» gli chiese Minerva.
«Tranquilla, è solo l’effetto del ciondolo, tra un paio d’ore sarà come nuovo.»
«E… una volta che si sarà risvegliato?»
Percy sentì un tuffo al cuore. Le parole dell’amica le avevano fatto ricordare ciò di cui parlava con il suo maestro. Minerva non fece caso all’attimo di sconvolgimento sul suo volto solo perché non lo stava guardando. «Deucalion non mi ha detto nulla, l’unica cosa che so per certo è che dovremo evocare la Madre Terra e pregarla perché lo riconosca.» fece. Tutte quelle parole sortirono l’effetto di una illusoria tranquillità. Percy era riuscito ad acquistare l’aria impassibile che Deucalion aveva tentato di insegnargli in tanti anni.
«Si… si può fare?»
«In teoria sì.»
«E in pratica?» chiese la ragazza, leggermente inquieta da quella risposta.
«Nella pratica sono cinquemila anni che nessuno ci prova.»
Quelle parole lasciarono un po’ di stucco Minerva. Kai prese ad agitarsi nel sonno, stringendo le palpebre. La ragazza se ne accorse e prese a carezzargli i capelli per cercare di calmarlo. In genere funzionava, anche se lo aveva sempre fatto solo da sveglio, ma questa volta il disagio dell’amico sembrava più profondo, tanto che iniziò a sudare e a sillabare parole confuse.
«No… no… Ga...»
Percy sentì un campanello d’allarme suonargli nella testa con la voce di Minerva. «Percy, questa cosa non è normale.»
«Che intendi?»
«Ti sembrerà strano, ma Kai non ha mai avuto incubi, né ha mai parlato nel sonno.»
«Dai, avrà fastidio a qualcosa. Deucalion mi dice sempre che a volte parlo nel sonno quando sento prurito.»
«Ma non ha mai avuto questa espressione di terrore.» fece la ragazza. Il volto di Kai era contrito in una smorfia di orrore misto a dolore, come quando a qualcuno uccidono una persona davanti ai propri occhi. Riolu prese a scuoterlo leggermente per cercare di farlo svegliare. Percy realizzò la situazione. «Minerva, sveglialo. Questa cosa non è normale, i semidei non hanno incubi.»
Minerva si mise a scuotere energicamente Kai insieme a Riolu, ma non riuscirono a svegliarlo. «Kai, svegliati!» diceva la ragazza nel mentre. La smorfia sul volto del ragazzo espresse il massimo dello sgomento un attimo prima che si mettesse ad urlare in preda al panico, alzandosi di scatto.
«Kai, calmati!» gli urlò Minerva. Anche Riolu abbaiava per cercare di calmarlo. Percy cercò di far calmare il semidio tenendolo sdraiato sul divanetto. «Kai, calmati! Non è reale! Stai calmo!»
Kai smise di agitarsi e di urlare all’improvviso, dopo che Riolu, come guidato da una forza superiore, gli aveva messo una zampa sul cuore. Il piccolo Pokémon apparve stupito, e fissò la sua zampetta azzurra con sguardo interrogativo, come a chiedersi come avesse fatto a calmare il suo amico.
«Cosa… cosa ha visto, Kai?» gli chiese Minerva preoccupata.
«Io… ho visto… occhi… occhi rossi. Mi fissavano malefici, erano terrificanti. Stavo cadendo in un mare di lava e il fuoco mi ha travolto e…»
«Cosa?» chiese il biondo, in ansia anche lui.
«Ho… ho sentito un ruggito. Era mostruoso, come se venisse dalle profondità della terra. Era orribile, orribile!» fece, coprendosi gli occhi con le mani, terrorizzato.
Percy sentì il mondo scivolargli davanti e cadere in un pozzo nero senza fondo. Era lui, era Kai il semidio maledetto, il ragazzo che i papiri avevano citato, che le profezie avevano predetto. Dopo che per un secondo questi pensieri gli si affacciarono in mente e sul volto, riuscì però a mascherare abilmente le sue emozioni, non sapeva nemmeno lui come. I suoi due amici non si erano accorti di alcun mutamento nella sua mimica facciale, e anche grazie a questo riuscì a spostare l’attenzione su Riolu, che intanto continuava ancora a fissare la sua zampetta. «Kai, tu e Riolu siete insieme da quando sei nato, vero?» gli chiese.
«Esatto.» rispose Minerva al posto del ragazzo, che era ancora troppo sconvolto dall’incubo per connettere il cervello alle orecchie. Ciononostante, dopo alcuni secondi di smarrimento, Kai si riebbe e riuscì a formulare una risposta di senso compiuto. «Sì, ma cosa c’entra ora questo?»
«Io… credo che Riolu sia il tuo Spirito Protettore.»
«Il mio cosa?» fece il sedicenne, perplesso e spaventato, con ancora la pelle d’oca.
«Il tuo Spirito Protettore. Non tutti i semidei ne hanno uno, soltanto i più potenti. Non ne so molto, ma tu e Riolu dovete avere una specie di connessione, un legame che vi tenga sempre uniti.»
«Come la telepatia?» chiese Minerva.
«Più o meno. Deucalion comunque ne sa di più.»
«Dov’è andato?» chiese Kai con un’espressione ancora un po’ sconvolta. Minerva aveva capito che stava facendo quella domanda per non pensare al suo incubo. Faceva sempre così, ogni volta che qualcosa lo spaventava a morte cercava di non pensarci facendo conversazione su altri argomenti. Anche Percy se n’era accorto, e cercò di far sembrare che tutto il trambusto di prima non fosse mai avvenuto. «Non mi ha detto nulla, so solo che ritornerà stasera.»
In tutto questo, Kai continuava a guardare Riolu, e Riolu guardava Kai, entrambi con curiosità nello sguardo. Seguì un momento di silenzio. Il ragazzo prese delicatamente il Pokémon sotto le zampette, lo alzò verso l’alto e gli sorrise affettuosamente. Quello ricambiò allegramente, e sia Percy che Minerva compresero che in quel momento il già saldo legame tra i due si era rafforzato ulteriormente.

Deucalion aspettava, seduto su uno squallido divanetto marroncino all’Ilitia, che di marroncino non aveva nulla a parte la sporcizia accumulata negli anni. Aspettava che la direttrice dell’orfanotrofio si liberasse e lo facesse entrare. Aspettava ormai da tre quarti d’ora. Guardò l’orologio. Le 18:55. Stava iniziando a spazientirsi, anche se era conosciuto tra i Lupi Bianchi per la sua pazienza. Smanettava sul cellulare ormai da venti minuti, quando Francis gli aprì la porta dell’ufficio.
«Prego, la direttrice può riceverla.»
«Grazie.» rispose cortesemente, alzandosi. Era un grazie assolutamente freddo e impersonale, come se Francis fosse l’ultimo fesso sulla faccia della Terra. Era però una risposta adeguata all’espressione da rettile che l’uomo gli aveva rivolto.
La Chateau stava firmando dei fogli che sembravano essere importanti quando Deucalion entrò nel suo ufficio. La donna alzò lo sguardo dalla scrivania e smise di scrivere. «Buonasera. Lei sarebbe?»
«Deucalion Hyperion.»
«In cosa posso esserle utile?»
«Vorrei richiedere la custodia di due ragazzi qui alloggiati.»
Deucalion aveva tagliato corto. Conoscendo di fama la Chateau, sapeva che i preamboli sarebbero serviti solo a sprecare parole e tempo.
«Ma certo, mi dica pure.» fece la donna, abbozzando un mezzo sorriso rettiliano mentre prendeva in mano un enorme raccoglitore con i nomi di tutti gli orfani dell’istituto. Le si era affacciato in mente il pensiero che la richiesta riguardasse quei due ragazzini dell’altro giorno. «E di grazia, signor Hyperion, quali dei nostri ragazzi vorrebbe prendere con sé?»
«Minerva Glaukopis e Kai Metheria, sono entrambi qui da pochi giorni dopo la nascita, insieme ad un esemplare di Riolu.»
«Vediamo un po’...» fece la Chateau, mentre cercava i loro nomi sull’elenco. «Ah, sì, eccoli.» fece ad un certo punto, fermando il dito su due nomi.
«E dunque?»
«Mi dispiace, ma non posso affidarle la custodia di due soggetti pericolosi.»
«Prego?»
«La polizia di Aeteria li ha classificati in tal modo. E in effetti mi trovo d’accordo con questa definizione. Dopo tutte le comodità di cui godevano qui, non riesco proprio a capire come abbiano potuto fare ciò che hanno fatto. E, tra l’altro, dovrebbe dimostrare legalmente che questi ragazzi siano d’accordo ad essere adottati da lei, ma dubito che questo possa avvenire, dato che sono dei fuggitivi.»
Deucalion si alzò in piedi di scatto, poggiando i pugni sulla scrivania. «Non diciamo stronzate, signora. Tutti qui ad Aeteria sanno in che condizioni fate vivere i ragazzi all’Ilitia.» disse. Gli occhi ambrati gli erano diventati di ghiaccio. «La prego di sedersi, signor Hyperion, e di moderare il linguaggio, o mi vedrò costretta a chiamare la sicurezza.»
«Oh, andiamo! Lei crede che nessuno sappia dei letti duri come pietra, delle coperte che non scaldano o del cibo disgustoso che servite alla mensa? Crede che la gente non sappia delle violenze che ogni giorno i ragazzi subiscono qui dentro?»
Deucalion aveva uno sguardo gelido mai visto prima. La voce era dura come una coltellata, ma comunque calma, se si esclude un minuscolo cenno di emozione prima di parlare dei letti. La Chateau, al contrario, stava diventando tutta rossa in volto. Si alzò a sua volta, di scatto, indicando la porta con l’indice destro. «Esca immediatamente da qui! Ora!»
Evidentemente Deucalion aveva detto qualcosa di sconveniente. Ed era altrettanto evidente che la direttrice avesse la coda di paglia.
«Non si preoccupi, me ne stavo già andando.» disse, girandole le spalle con disappunto dopo averle dato un’ultima, gelida occhiata, e incamminandosi verso la porta. Arrivatoci davanti, si fermò. «Lasci che le dica un’ultima cosa, signora Chateau.» fece, girando lo sguardo verso di lei in modo da vederla con la coda dell’occhio. «Lei ha appena scatenato una tempesta.» disse, prima di aprire la porta ed andarsene.

Kai si sentiva decisamente meglio e stava giocando con Riolu. I pensieri riguardo il suo incubo gli erano passati quasi del tutto. Minerva si stava occupando di mettere un po’ in ordine la stanza dopo il terremoto di prima, risistemando i libri negli scaffali. Per fortuna il sisma non aveva causato danni gravi e, a parte un vaso rotto, la stanza era in buone condizioni. L’unica seccatura erano appunto i libri caduti a terra.
Percy spuntò da un angolo del laboratorio con una busta di patatine in mano, di quelle grandi.
«E quelle da dove sbucano?» chiese Kai.
«Deucalion ogni tanto ha degli attacchi di fame e tiene sempre delle patatine nascoste da qualche parte.»
«Mi piace.» esclamò Minerva, mentre ancora aggiustava libri, con un tono piccante. I ragazzi si girarono a guardarla, provocando un momento di silenzio. Quella avvertì un senso di disagio e si girò di scatto, diventando un po’ rossa in viso. «Cioè, no, intendevo la cosa delle patatine! Che avete capito?» disse, con una voce un po’ più stridula del normale.
«No, è che quando siamo arrivati all’Università sembrava te lo volessi mangiare.» rispose Kai, prendendola in giro.
«Ma che cavolo dici? Non è vero!»
I due maschietti si guardarono, soffocando entrambi una risata, mentre Minerva li fulminava con uno sguardo assassino. Riolu invece assisteva alla scena con uno sguardo curioso, non comprendendo molto di quello che stava succedendo.
Il biondo stava per aprire le patatine, quando sentì bussare alla porta.
«Avanti.» fece Kai, istintivamente. La porta si aprì, rivelando un ragazzo con gli occhi azzurri e i capelli neri che il semidio riconobbe subito, un millesimo di secondo prima di avere un sussulto. Orione.
«Ops, scusate, stavo cercando il professore di archeologia. Lo avete visto?» chiese, affacciandosi nella stanza.
«Non sappiamo quando tornerà, veramente.» intervenne Percy, con sguardo diffidente.
«Scusate se vi ho disturbato, magari torno più tardi.» fece, chiudendo la porta. Kai ridiscese nel mondo terreno. «No, ehi, Orione!»
«Sì?»
«Deucalion dovrebbe tornare tra poco. Se non hai da fare, puoi aspettarlo qui.»
«Ah, grazie, ma non vorrei disturbarvi.» fece il diciannovenne. Kai durante tutta la scena aveva continuato a pensare “Restarestarestaresta”, più un sacco di altre cose leggermente meno consone al secondo incontro con un ragazzo. Orione, dopo qualche secondo di incertezza, si decise: «D’accordo, grazie.» rispose sorridendo, ed entrò nella stanza.

Deucalion camminava, ripensando a quello che era successo all’Ilitia. Non avrà esagerato? Non avrà calcato troppo la mano con la Chateau?
Erano passati dieci minuti dalle sette, il colloquio era durato appena cinque minuti. Cinque minuti che si rivelarono sufficienti a fargli montare dentro una gran rabbia per ciò che quella donna aveva detto, nonostante sembrasse che il professore non si fosse scomposto più di tanto.
Si fermò sotto un albero di magnolia, sospirando e respirando l’aria autunnale di Aeteria, con quel profumo di pioggia che permeava tutto. Il cielo era stellato e terso, e le stelle splendevano fulgidamente, facendo compagnia alla luna crescente. Deucalion contemplò qualche costellazione, che gli richiamò velocemente alla mente alcuni miti originari di Athena. Stette alcuni minuti con il naso all’insù a riflettere, poi si decise. «Ho bisogno del suo aiuto.» fece, e si incamminò verso l’Università.
 
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Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo IV - Potere
«Quindi sei di Ladonia, la città dei draghi?» chiese Minerva, mentre era intenta a frugare nel sacco di patatine cercando di dimenticare l’imbarazzo provato poco prima.
«Sì, sono nato lì, ma la mia famiglia si è trasferita a Pelagia quando avevo 8 anni.» rispose Orione, mentre lanciava un’occhiata furtiva alla confezione che Minerva stringeva tra le mani come fosse il suo tesoro personale.
«Cavolo, avete attraversato praticamente l’intera regione. Pelagia non è sulla sponda opposta di Athena?» chiese Kai, curioso.
«Già. Per me non è stato facile adattarmi a vivere in una così grande città dopo che ho trascorso la mia infanzia in una comunità tranquilla come Ladonia.»
«Sì, in effetti deve essere difficile abituarsi a vivere nel caos di una metropoli come Pelagia.» continuò Kai.
«Ci sei stato anche tu?» chiese il diciannovenne.
«No, veramente no. Ho soltanto potuto leggere qualcosa su quella città dalla biblioteca dell’Ilitia.»
«L’Ilitia? Sei stato lì? Come hai fatto ad entrare in quel posto orribile?»
Kai distolse per un attimo lo sguardo, piegando la testa di lato e fissando il pavimento con un’espressione accigliata, mentre anche Riolu, sedutosi per terra tra le gambe del suo Allenatore, provava un certo senso di disagio.
«Ci siamo stati entrambi» intervenne Minerva, mettendo una mano sulla spalla all’amico. «Da quando siamo nati, abbiamo sempre vissuto lì.»
«Dici davvero?»
«Sì» rispose Kai, cercando di scacciare dalla mente gli sgradevoli ricordi che gli aveva riportato alla mente quel luogo. «Noi siamo orfani.»
Orione ebbe un piccolissimo sussulto. Nessuno se ne accorse, tranne Percy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad osservarlo, e Riolu, che iniziò a fissarlo con gli occhi leggermente socchiusi. Aveva avvertito un vago tremore nell’aura del ragazzo, che fino a quel momento era rimasta limpida.
«Mi dispiace, Kai...» fece il diciannovenne, dispiaciuto, con un tono che al biondo, però, suonava falso.
Kai mise la sua mano su quella di Minerva, che era andata a coprirgli la spalla, come per farsi forza e cercare di non pensare mai più a quel luogo infernale.
«Non preoccuparti, non fa niente.»
Nella stanza era calato il silenzio, dopo il discorso sull’orfanotrofio. Kai era rimasto seduto per terra come tutti, con le gambe incrociate, ma adesso fissava il pavimento con aria malinconica. Minerva, anche lei con le gambe incrociate, restava con la mano sulla spalla dell’amico, con gli occhi chiusi, come per concentrarsi e costruire una barriera mentale contro i brutti ricordi. Percy, invece, si limitava a starsene a braccia conserte e a continuare ad osservare Orione cercando di non farsi vedere. Anche Riolu continuava a tenere gli occhi rossi fissi sul ragazzo, ma a quanto pare non gli importava granché che questi si sentisse osservato.
«Kai...» fece il moro, rompendo la tensione di quel momento di silenzio, mettendo la mano destra sul ginocchio del ragazzo. «Sul serio, mi dispiace che tu e Minerva abbiate dovuto affrontare un passato e un’infanzia tanto difficile, ma non credi che adesso che sei al sicuro qui dovresti pensare soltanto al futuro?»
«Sì… forse hai ragione...» rispose il ragazzo, alzando lo sguardo quel tanto che gli bastava per vedere il viso di Orione.
Minerva si alzò, rivolgendosi a Percy: «Percy, non avevi un impegno con i laureandi di archeologia?»
«Cosa? Io? Un impegno?» fece quello, cadendo dalle nuvole perché era ancora concentrato su Orione.
«Certo, avevi promesso ad una signorina di aiutarla con delle fonti.» rispose la ragazza, mentre prendeva il biondo per un braccio e gli faceva attraversare mezza stanza, quasi trascinandolo di forza. Gli altri due li guardavano perplessi. Kai si accorse di quello che Minerva stava architettando solo quando i due arrivarono davanti la porta e lei gli fece uno striminzito occhiolino, che Orione, essendo di spalle, non poteva vedere.
«Scusa, Orione, ma dobbiamo lasciarvi soli, ho promesso al nostro amico che l’avrei assistito nella ricerca in biblioteca.» annunciò la ragazza, mentre Percy comunque non aveva nessuna intenzione di lasciare Kai da solo con quello che per lui e per Deucalion era un elemento sospetto.
«Riolu, vieni anche tu, dai, andiamo a mangiare qualcosa.» fece la ragazza per convincere il piccolo Pokémon a seguirla. Riolu, dal canto suo, non appena sentì la parola “mangiare” dimenticò subito i turbamenti nell’aura di Orione e con un paio di balzi si ritrovò fuori dallo studio.
Minerva dovette quasi spingere fuori Percy dallo studio, sussurrandogli all’orecchio un “Muoviti o stanotte ti raso a zero” per convincerlo del tutto. «È stato un piacere conoscerti, Orione.» disse con un sorriso, mentre chiudeva la porta dall’esterno.
«Ah, anche per me...» rispose quello, ancora perplesso. Poi si rivolse a Kai: «Hai degli amici un po’ strani, sai?»
Fuori dello studio, Minerva stava spiegando a Percy che le era sembrato il momento giusto per uscire di scena con discrezione e lasciare che Kai stesse un po’ solo con quel ragazzo così affascinante, trascinando con sé anche Riolu, che si era messo comodo su una delle sedie addossate al muro.
«Ma è un perfetto estraneo...» ribatteva il biondo.
«Lasciali un po’ da soli e vedrai che non lo sarà per più di cinque minuti. Staremo qui fuori finché non tornerà Deucalion, o almeno finché Orione non se ne andrà.»
«Ma, Minerva…»
«Niente ma. Mettiti seduto e stai buono anche tu.»
Niente da fare. Percy non riusciva mai ad averla vinta con Minerva, era troppo brava quando decideva di imporsi.
«Posso almeno entrare per riprendere il cellulare? Credo di averlo lasciato sulla scrivania.»
«Quando Orione se ne sarà andato, certamente.»
«Non ho alcuna speranza di vincere, vero?» chiese il ragazzo, rassegnato.
«Sono sette anni che ci conosciamo, Percy, ormai dovresti aver imparato che quando mi intestardisco su una cosa nulla riesce a smuovermi.»
«Va bene, se mi cerchi sono nella biblioteca della facoltà di lettere.»
«E come dovrei arrivarci? Questo posto è enorme.»
«Chiedi in giro a qualche inserviente, ci vediamo dopo.» fece, andandosene verso un non meglio identificato punto dietro una colonna.
«Va bene, ciao.»

Dentro lo studio di Deucalion, l’atmosfera si era rasserenata, e il discorso si era spostato su argomenti più leggeri. Adesso i due ragazzi stavano parlando di musica.
«Sai, ogni tanto io e Minerva riuscivamo a scappare e a fare una gita non autorizzata ad Aeteria. Un paio di anni fa abbiamo scovato un negozio di musica vicino al centro e siamo diventati amici di un ragazzo che stava dietro al bancone. Così, quando capitavamo lì, potevamo ascoltare la musica che ci pareva, ogni volta che volevamo.» prese a raccontare Kai.
«Davvero? E che musica ascoltavate?»
«Conosci gli Evanescence?»
«Certo, adoro la voce della cantante.» rispose Orione.
«Sembra incredibile che riesca a prendere note così alte senza stonare, vero?»
«Hai ragione, è fantastica.» confermò il moro. Poi guardò d’istinto l’orologio e quasi sobbalzò. «Cavolo, è tardissimo. Scusa, Kai, ma devo proprio andare, ho un impegno urgente e sono in ritardo.»
«Ah, va bene...» fece il ragazzo, un po’ deluso dal fatto di non poter più trascorrere del tempo con Orione.
«Però… domani mattina ho un paio di ore libere prima di iniziare le lezioni, ti andrebbe di vederci nel giardino dell’Università verso le dieci? Se hai tempo, ovviamente.»
A Kai si accese un bagliore negli occhi, ma cercò di mantenere la calma e la compostezza che ben si addice a situazioni di questo genere. «Mi farebbe molto piacere.» disse, sorridendo, mentre cercava di trattenere le sue gambe, che stavano quasi per costringerlo a saltare per tutta la stanza.
«Allora ci vediamo domani mattina, ok?» fece Orione, afferrando lo zaino e incamminandosi verso la porta.
«Va bene, ciao!» disse, mentre la porta si chiudeva.

Nel corridoio, Minerva stava ritornando dal bagno, e quasi venne travolta da Orione che camminava sovrappensiero. «Ops, scusa, Minerva!» cercò di scusarsi il ragazzo.
«Oh, Orione, te ne vai di già?»
«Purtroppo sì, ho un impegno urgente e non ho molto tempo, ciao!» fece quello, salutandola frettolosamente. Riolu seguì il ragazzo con lo sguardo, finché questi non scomparve dietro un muro.
Intanto, dall’altro lato del corridoio, Deucalion procedeva verso lo studio, accompagnato da Percy. Evidentemente, dovevano essersi incontrati in quel labirinto enorme che era l’Università di Aeteria, e camminavano conversando fitto fitto tra di loro, quasi fossero due agenti segreti che si scambiavano informazioni riservate. I due smisero di confabulare quando si accorsero della presenza di Minerva, che però non li stava né guardando né ascoltando.
«Minerva!» la chiamò Deucalion. La ragazza si girò di scatto. «Dov’è Kai?»
«Deucalion! Quando sei tornato?» chiese la ragazza, ma lo sguardo dell’uomo faceva intendere che non era il momento per queste curiosità superflue. «È nello studio.»
«Vieni dentro, ho bisogno di parlare ad entrambi, anche per quello che mi ha detto Percy.» disse il professore, ormai arrivato davanti a Minerva, con il ragazzo biondo dietro.
«D’accordo. Vieni, Riolu.» fece la ragazza al piccolo Pokémon. Riolu scese velocemente dalla sedia e arrivò alle gambe della sua amica, facendo segno di voler essere preso in braccio. Mentre entravano nella stanza, la giovane donna pensava a cosa diavolo dovesse dire Deucalion a lei e al suo amico, e aveva un presentimento non ben definito che le attanagliava la mente, un presentimento non esattamente felice.
Nello studio, Kai si era adagiato sul divano, e guardava il soffitto con uno sguardo a metà tra il sognante e lo strabiliato. Strabiliato dalla bellezza di Orione e dall’empatia che aveva iniziato a sentire con lui appena si erano messi a parlare mentre erano soli. Stava pensando alla mattina dopo e a come sarebbe stato il prossimo incontro con quel ragazzo così affascinante, e anche a come evitare di fare figure di merda nel mentre, che comunque gli riuscivano sempre particolarmente bene. Mentre pensava a tutto questo, la porta si aprì ed entrarono Deucalion e i suoi amici.
«Deucalion! Sei tornato!» fece, quasi spaventato dopo essere ritornato con i piedi per terra.
«Sì, Kai, e ho bisogno di parlare con te e con Minerva riguardo il vostro futuro.»
«Il nostro futuro?» fecero i due interessati, in coro.
Deucalion provò a formulare la frase completamente, arrivando a dire «Per il vostro bene, ho deciso di...», ma venne interrotto da Minerva e preceduto perfino nei suoi pensieri da quello che uscì dalle labbra della ragazza: «Di adottarci» disse. Un attimo dopo, tutti la guardavano, tranne Kai. Quella si risvegliò un secondo dopo da quello che le era sembrato un momentaneo sonno profondo, mentre agli occhi degli altri era invece apparsa normalissima. Il figlio della Terra non era sorpreso, gli era già capitato di vedere cose del genere succederle, e anche lei ormai si era abituata. Anche Percy aveva assistito a questo genere di eventi, un paio di volte, ma non gli erano mai parsi importanti. Era anche vero, però, che Minerva non aveva mai dimostrato di saper leggere nella mente degli altri come aveva appena fatto, ma si era limitata a “prevedere” eventi che ai suoi amici sembravano deducibili grazie al suo acume e al suo spirito d’osservazione. L’unico che aveva sempre notato delle stranezze nel suo modo di fare era Riolu, che si era accorto ogni volta di sconvolgimenti abbastanza profondi nella sua aura, e localizzati prevalentemente nel cranio. Deucalion, al contrario, non aveva mai assistito a niente del genere. Almeno per quanto riguardava quella ragazza. Tuttavia, notando che la cosa non costituiva un fatto eccezionale per lei e per Kai, decise di lasciar cadere l’argomento, rimandando a dopo un’eventuale discussione con Percy, intenzione che era nata in seguito ad una rotellina che gli si era messa a girare nel cervello.
«Esattamente. Hai un grande intuito, Minerva.»
«Davvero tu vorresti adottarci?» chiese Kai, incredulo, mentre guardava negli occhi la sua amica.
«Ovviamente, ma dovremo sbrigare alcune formalità.»
«Tutto quello che serve, Deucalion!» risposero in coro i due ragazzi. A Kai ancora non sembrava vero di poter finalmente scappare legalmente da quell’inferno di orfanotrofio. Non avrebbe più rivisto la tirannica Henrietta ogni mattina e nessuno come Ahrai. Nessun Francis con il suo manganello e nessuna punizione della Chateau, nulla di tutto questo per il resto della loro vita, che si prospettava felice e spensierata. Almeno in quel momento.
«Serve che voi due facciate qualcosa che non credo vi piacerà, purtroppo.» disse l’uomo.
Kai iniziò a sentire un sottile senso di inquietudine, come se Deucalion stesse per dire qualcosa di altamente spiacevole. «Cosa, esattamente?» domandò il ragazzo.
«Dovrete venire con me all’Ilitia.»
Ed ecco che Minerva sentì che il suo brutto presentimento era fondato.
Il professore aveva pronunciato poche parole, che erano bastate per provocare a Kai un capogiro, stavolta per il disgusto che quel nome gli evocava nella mente. «Perché?» si limitò a chiedere, aspettandosi una risposta soddisfacente. Stava iniziando ad incazzarsi.
Minerva, intanto, si limitava ad ascoltare, mentre Percy guardava entrambi come se si aspettasse chissà quale titanico scontro.
«Non arrabbiarti, Kai» gli rispose il biondo. «Sono sicuro che Deucalion abbia dei validi motivi per riportarvi lì.» disse, cercando di fare da paciere tra l’intemperanza del suo amico e la calma del suo mentore. Per tutta risposta, ottenne di farsi zittire dal ragazzo e abbassò la testa. Si aspettava una reazione del genere, conoscendo Kai. Minerva gli si avvicinò e gli sussurrò all’orecchio delle parole di conforto: «Non te la prendere, sai che quando Kai è arrabbiato reagisce male.»
«Kai, so che né tu né Minerva vorreste mai tornare in quel posto, ma è necessario, purtroppo.» rispose Deucalion, con calma
«Perché?» ribatté di nuovo il ragazzo.
«Ho parlato con la direttrice dell’orfanotrofio, poco fa, e mi ha riferito che la polizia ha etichettato te e Minerva come soggetti pericolosi. Dovete tornare all’Ilitia per difendervi e, se necessario, per riferire ogni cosa sulle condizioni degli orfani di quel posto davanti alla polizia.»
Calò un momento di silenzio, in cui Kai stava accumulando altra rabbia che non sapeva bene contro chi indirizzare, se contro Deucalion o contro la Chateau.
Minerva decise di prendere in mano il coltello delle parole e di fendere quella nebbia di mutismo.
«La polizia ci ha etichettati come?» fece, con una punta di incredulità nella voce.
«Ma non ci posso credere!» urlò Kai, a metà tra lo sconvolto e il furioso, mentre le iridi iniziavano a brillargli leggermente. Percy se ne accorse e cercò di tranquillizzarlo: «Non arrabbiarti per quella vecchia strega, Kai.»
«Sta’ zitto!» urlò il ragazzo, mentre gli occhi presero a brillargli vistosamente, quasi fossero due fiamme verdi. Un ramo sfondò il vetro della finestra e venne scaraventato dentro lo studio a folle velocità, schiantandosi contro la scrivania di Deucalion con una forza immane, quasi spaccandola in due. Intanto, un altro sisma iniziava a far tremare l’Università, mentre Kai teneva i pugni serrati fino a farsi sanguinare i palmi e Minerva e Percy cercavano di calmarlo in tutti i modi possibili. Deucalion invece si era catapultato dietro la sua scrivania a cercare forsennatamente qualcosa nei cassetti, mentre il terremoto aumentava di intensità e iniziava a provocare delle crepe nell’intonaco di tutto l’edificio e di tutte le abitazioni di Aeteria.
«Percy! Dove diavolo sono le siringhe con la morfina?» urlava Deucalion al ragazzo, mentre ancora rovistava. Intanto nel laboratorio un vaso era caduto a causa delle scosse ed era finito in mille pezzi, e anche nello studio iniziavano a cadere i libri dagli scaffali, seguiti dalle stesse librerie.
In tutto questo, Riolu era rimasto con gli occhi chiusi, come se si stesse concentrando su qualcosa di indefinito, e pareva non sentire proprio il finimondo intorno a lui. Minerva e Percy urlavano a Kai di calmarsi in tutti i modi che conoscevano, ma quello sembrava infuriarsi ancora di più, e il terremoto continuava ad aumentare d’intensità. Vistose crepe si facevano strada nei muri e nel soffitto, mentre il lampadario ondeggiava paurosamente sopra le teste dei tre ragazzi, minacciando ad ogni secondo di staccarsi e di cadere.
«Percy, cercate di portarlo sotto la scrivania! Muoviti!» urlò Deucalion.
All’improvviso, Riolu aprì gli occhi, saltò agilmente e mentre era ancora a mezz’aria poggiò un palmo sul petto di Kai, guaendo forte. Il ragazzo sentì tutta quanta la rabbia e l’agitazione scemare di colpo, finché non sentì altro che una rasserenante sensazione di tranquillità pervaderlo. Il terremoto diminuì di intensità poco per volta, finché le vibrazioni non si azzerarono totalmente.
«Cosa… che è successo?» chiese Percy, incredulo. Kai crollò sulle ginocchia, mentre teneva gli occhi chiusi. Li riaprì dopo alcuni secondi, e vide che la zampetta di Riolu era ancora sul suo petto, mentre il suo Pokémon lo fissava. Le iridi del ragazzo si illuminarono di nuovo di un verde intenso e brillante, e quelle di Riolu di un rosso acceso, mentre i due amici continuavano a guardarsi negli occhi.
Minerva guardava entrambi, ma non cercava di capire cosa stesse succedendo, perché lo aveva già capito. L’unico che non capiva niente era Percy, e chiese di nuova cosa stesse succedendo. Deucalion intervenne a fugare i suoi dubbi: «Il legame è stabilito» disse. «Tu e il tuo Spirito Protettore avete appena stretto il patto di fedeltà, Kai.»
«Il cosa?» fece il semidio, appena le sue iridi e quelle di Riolu tornarono normali.
«Il patto di fedeltà viene stretto tra un semidio e il suo Spirito Protettore» iniziò a spiegare il professore. «E dura per tutta quanta la vita. Non può essere sciolto in nessun modo, o almeno io non ne conosco nessuno. Tu e Riolu adesso potrete comunicare telepaticamente ovunque vi troviate, e lui sarà l’unico a poterti calmare in caso di un’altra crisi come questa.» aggiunse. Poi si rivolse a Percy, che stava guardando il tutto con una faccia da pesce lesso. «Percy, hai fatto bene ad avvisarmi di quello che è successo mentre ero via, ero preparato ad una simile eventualità.»
«Eh? Cosa? Ah, sì, figurati...» rispose il biondo, ancora incredulo per quello che era appena successo.
«È tutto fantastico» intervenne Minerva. «Ma credo sia il caso di continuare il discorso fuori di qui, prima che questo posto ci crolli sulla testa.»
«Hai ragione, Minerva, andiamo a casa mia.» rispose il professore.
Kai e Riolu crollarono al suolo, all’improvviso.
«Kai, che hai?» fecero Percy e la ragazza, buttandosi in ginocchio vicino a lui.
«Tranquilli, non è niente, sono soltanto esausti» intervenne Deucalion. «Per Kai è stata la prima effettiva manifestazione del suo potere, è naturale che sia crollato al suolo.»
«Ma è successo anche a Riolu.» obiettò Minerva.
«È normale, hanno appena stretto il patto di fedeltà, è una cosa che richiede moltissima energia.»
La ragazza e Percy erano ancora preoccupati per il loro amico e il suo Pokémon.
«Non preoccupatevi, dormiranno almeno per le prossime sedici ore, è normale.» cercò di tranquillizzarli Deucalion. «Piuttosto, qualcuno di voi due prenda Riolu, a Kai ci penso io, dobbiamo portarli in macchina.»
«D’accordo, prendo io Riolu.» fece Minerva.
«Benissimo. Percy, tu invece cerca Matilde, dovrebbe essere nel cortile anteriore insieme a tutto il personale. Dille di venire a casa mia insieme a noi.»
«Va bene, vado.» fece, scattando.
«Vi aspettiamo all’auto.» lo avvisò Deucalion, mentre prendeva in braccio Kai. «Minerva, mi apriresti la porta, per favore?» chiese poi alla ragazza, mentre reggeva il suo amico con le forti braccia. Minerva aprì la porta, rivelando vistose crepe nei muri dei corridoi, qualche capitello crollato a terra, ma per fortuna nessun tipo di danno irreparabile.
«Cavolo, Kai è davvero potente...» fece la ragazza, contemplando lo scenario.
«Muoviamoci, c’è un’uscita d’emergenza qui vicino.» la incalzò Deucalion, svoltando a destra. Ormai l’Università era deserta e tutti avevano effettuato la procedura di evacuazione, ritrovandosi in quattro grandi spiazzi alberati, perciò i due poterono muoversi senza essere intralciati da altre persone.
Percy correva verso l’entrata principale dell’Università, schivando ogni tanto un calcinaccio caduto o evitando con un salto un busto fracassatosi in mille pezzi a causa delle vibrazioni. Arrivò rapidamente all’atrio principale, dove aveva visto Matilde l’ultima volta, e, dando una rapida occhiata fuori, la trovò intenta a spazzare le scale dalla polvere e dai piccoli pezzettini di marmo che si erano staccati dalla facciata dell’edificio.
«Perseus, cosa è successo?» gli fece la donna, mentre non smetteva di pulire per terra.
«Abbiamo avuto un… problema nello studio di Deucalion.» rispose il ragazzo.
«Un semidio, vero?» chiese Matilde, curiosa di sapere. «Ed è quel ragazzo che hai portato qui prima, vero?»
«Io mi chiedo come tu faccia a capire tutte queste cose guardando la gente una sola volta...»
«È molto che lavoro qui, caro. Ho visto tante facce, e conosciuto molti semidei. Comunque, perché mi stavi cercando?»
«Ah, già. Deucalion vorrebbe che tu venissi da lui, abbiamo bisogno di aiuto.»
«Deucalion… quel ragazzo chiede aiuto solo quando capisce di trovarsi di fronte a qualcosa più grande di lui.» riflette la donna.
«Temo che questa volta si tratti di qualcosa più grande di tutti noi, Matilde.» fece Percy, incupendosi.
«È potente, vero? Il ragazzo, intendo. Ha provocato lui il terremoto?» domandò Matilde. Il biondo rispose annuendo. «Avete già capito di quale divinità è figlio?» chiese ancora.
«Non ne siamo ancora perfettamente sicuri, ma dal ciondolo sembra che il suo genitore divino sia la Madre Terra.» le disse il ragazzo. Matilde ebbe un sussulto. «La Madre Terra?» chiese, leggermente incredula. «Potrebbe voler dire che quell’antica profezia si sta realizzando...»
A Percy sembrò di ricevere una coltellata. Ogni volta che pensava a quella profezia si sentiva così, e si sentiva ancora peggio se la associava a Minerva e Kai. Le lacrime iniziarono a farsi strada, ma con uno sforzo riuscì a non mettersi a piangere. La donna si accorse del disagio che stava provando il ragazzo, e provò a spostare l’argomento della conversazione. «Dunque, dove ci aspetta Deucalion?» chiese.
«Alla sua auto… vieni, è di qua, ha parcheggiato in Corso Aigaios.» fece Percy, mentre scendeva le scale di corsa, per non pensare alla profezia.

L’auto di Deucalion sorprese Minerva non poco. Non che la ragazza si aspettasse un’anonima utilitaria, ma non era nemmeno preparata a trovarsi davanti un’auto sportiva di quel tipo. Nera ed aggressiva come una pantera, la Ferrari di Deucalion sembrava soffrire ogni volta che non sfrecciava. Essere membro dei Lupi Bianchi doveva rendere davvero bene.
Dopo un iniziale momento di stupore, Minerva si diresse verso lo sportello anteriore del passeggero.
«Minerva, no, tu sistemati dietro. È meglio che badi a Kai, potrebbe avere altri incubi.» fece Deucalion.
«Ah, va bene.»
Una decina di minuti dopo, anche Percy e Matilde avevano raggiunto l’auto. Deucalion li stava aspettando col motore acceso, mentre conversava con Minerva sul da farsi più tardi. Percy si buttò sul sedile davanti mentre parlavano degli incubi di Kai, interrompendo il discorso, mentre la donna si accomodò sul sedile posteriore, facendo bene attenzione a non disturbare il ragazzo, che stava dormendo.
«Minerva, lei è Matilde, un membro dell’Ordine dei Lupi Bianchi. Ci aiuterà a badare a Kai in questo periodo.» fece Deucalion, avviando le presentazioni.
«Piacere di conoscerti, Matilde.» rispose la ragazza, cauta. Matilde aveva percepito perfettamente il fatto che Minerva non desse subito confidenza a chi non conosceva, e cercò di tranquillizzarla: «Cara, sono abbastanza vecchia da capire che non ti fidi molto di me. Ma è normale, mi hai appena conosciuta. Sappi che non devi aver paura, puoi fidarti.»
«Tranquilla, Minerva» intervenne Deucalion. «Conosco Matilde da un bel po’ di tempo, ormai. Non esiste persona più affidabile di lei.»
La ragazza ci pensò su un momento, attivando la sua capacità di ragionare a mente fredda. Poteva fidarsi di una persona appena conosciuta? Anche se Deucalion le aveva detto di sì? Mentre pensava a questo, guardava il volto di Kai, appoggiato sulla sua coscia destra, dormire beatamente. L’unica cosa che le importava in quel momento era che il suo migliore amico stesse bene. Pensò che valesse la pena fidarsi.
«Va bene, mi fido.» disse. Matilde sorrise, mentre Percy e Deucalion guardavano le due donne dallo specchietto retrovisore.
«Bene» annuncio l’uomo. «Ora andiamo a casa, Kai ha bisogno di dormire in un posto più comodo del sedile posteriore di un’auto.» fece, mettendo in moto e partendo.

Non si poteva dire che Deucalion non guidasse bene, ma per i gusti di Minerva premeva un po’ troppo sull’acceleratore. Non che alla ragazza fosse mai capitato di salire su di un’auto più di una volta al mese, intendiamoci, ma davvero non riusciva a capire come Percy e Matilde potessero stare così tranquilli mentre il loro autista sfrecciava in quinta su Corso Sovrani di Athena, quasi sfiorando i 120 all’ora.
Arrivati a casa di Deucalion, Minerva rimase davvero sorpresa di trovarsi di fronte ad una simile villa con giardino. Percy e Matilde non fecero una piega, ormai dovevano esserci abituati, ma a Minerva sembrò davvero di entrare nella residenza privata di qualche politico, o comunque di qualcuno pieno di soldi. La villa era situata in periferia, in una zona residenziale piena di case bellissime, ma comunque non quanto quella. Realizzata completamente in marmo bianco, brillava come se fosse un tempio antico benedetto da qualche divinità, pur nel buio della notte. La facciata in stile classico, meravigliosa, con colonne ioniche, austere ed eleganti, la colpì particolarmente. Percorso tutto il vialetto, Deucalion scese dall’auto e si diresse ad aprire la porta, sfruttando un meccanismo che riconosceva l’impronta della mano del suo padrone. Fatto questo, tornò a prendere Kai, mentre Minerva prendeva in braccio un comatoso Riolu, che aveva preso a russare di gusto.
Entrati dentro, la ragazza si trovò in un atrio gigantesco, completamente in marmo bianco, adornato da busti di personaggi illustri della regione di Athena, mentre ai piedi di un enorme scalone trovava posto una statua alta almeno quattro metri della Sapienza, la divinità protettrice della regione e della sua capitale, Aeteria. A differenza del resto dell’ambiente, la statua non era completamente in marmo. I particolari come le ciglia e le iridi erano in avorio, così come gli attributi della dea, come l’elmo e lo scudo finemente lavorati. La Sapienza si ergeva fiera in piedi davanti alla porta d’ingresso dell’abitazione di Deucalion, reggendo con la mano destra una lancia d’argento con la punta in oro. Sul braccio destro teso le stava appollaiata un Noctowl in argento e con gli occhi d’avorio, che guardava nella stessa direzione della divinità. La scultura era davvero perfetta in ogni minimo particolare, dalle pieghe della veste modellata come se fosse vera, perfino in quegli spiragli che l’armatura d’argento lasciava intravedere, ai lineamenti facciali, resi con una maestria che Minerva aveva visto in poche altre opere scultoree. Doveva essere stata modellata da un grandissimo artista.
La ragazza rimase stranamente attratta da quella scultura. Il viso della dea le ricordava qualcuno di familiare, di già visto in passato, qualcuno che le era rimasto stampato nella mente. Si avvicinò alla statua per sfiorarla, come attratta da un campo magnetico invisibile, ma ebbe la sensazione che fosse meglio non farlo. Percepì l’alone di sacralità che avvolgeva l’opera, e il suo intuito le fornì la certezza che non fosse una semplice statua acquistata per mecenatismo. Era qualcosa di antico, infuso di potere, le stava dicendo il suo cervello, finché non ricordò l’illustrazione di un libro letto tanto tempo fa.
«La statua della Sapienza Onniveggente...» mormorò. «Era andata perduta millenni fa...»
Minerva si stava perdendo nei suoi pensieri, cercando di richiamare a sé tutte le informazioni che aveva assimilato nel tempo su quella scultura, ma venne interrotta da Riolu, che prese a muoversi nel sonno, mentre lei ancora lo teneva in braccio. «Va bene, va bene, andiamo da Kai.» fece al piccolo Pokémon, e quello prese a sorridere mentre dormiva. Si girò dando le spalle alla statua, e sbatté contro Percy, che trasportava un cesto di vimini con dentro degli asciugamani bianchi puliti, proprio mentre lui le passava accanto per salire le scale e dirigersi nelle stanze degli ospiti. Lo scontro fece agitare un po’ Riolu nel sonno e per poco non fece scivolare di mano la cesta al biondo.
Dopo essersi accertata che il Pokémon stesse dormendo ancora bene, la ragazza si ricompose. «Dove stai andando?» chiese all’amico.
«Da Kai, no?» fece quello. «Hai presente il nostro amico semidio che se la dorme della grossa al piano di sopra?»
«Ehm… sì, scusa, mi ero un attimo distratta...»
«A cosa stavi pensando?» le chiese il ragazzo.
«Questa statua… è la Sapienza Onniveggente, dovrebbe essere andata perduta molto tempo fa...»
«Tranquilla, non è la scultura originale. È una copia realizzata molto dopo.» rispose Percy, sperando di aver fugato i dubbi di Minerva. «Molte persone hanno già fatto la tua stessa domanda.»
La ragazza non si sentì del tutto soddisfatta della risposta. Avrebbe voluto chiedere di più, sapere di più, cercare di placare la sua insaziabile fame di sapere, ma intuì che in quel momento la cosa più importante non era quella statua, ma qualcuno al piano di sopra. La cosa più importante in quel momento era Kai, il suo amico, suo fratello. Decise di lasciar cadere l’argomento: «Certo, lo avevo immaginato.»
«Tutto a posto?» le chiese Percy. Il ragazzo aveva notato un’espressione pensierosa sul suo volto.
«Certo, andiamo da Kai, ora.»

 
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Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo V - Divina Sapienza

La camera in cui Kai stava dormendo era grande, ma calda e accogliente, con mobili in legno scuro che spiccavano su un pavimento di marmo bianco venato. Un camino donava calore alla stanza, mentre Matilde stava tirando le tende delle finestre per evitare che il ragazzo venisse svegliato dai primi spiragli di sole, all’alba del giorno dopo.
Kai era adagiato su un grande letto nero, e dormiva profondamente. Percy depositò la cesta con gli asciugamani nel bagno che dava direttamente nella camera, elegantissimo, interamente realizzato in marmo nero. Minerva, appena entrata nella camera, si diresse verso il letto e vi adagiò con dolcezza Riolu, che continuava a dormire beatamente. Appena poggiò la schiena sul morbido materasso del letto, il Pokémon prese a girarsi cercando qualcuno, e si fermò soltanto quando ebbe trovato il petto del suo amico, su cui appoggiò la testa. In quel momento assunse un’espressione angelica, mentre ancora dormiva profondamente.
«Hai visto giusto, Percy» fece Deucalion, entrando nella camera con dei vestiti puliti in mano. «Quei due sono davvero legati uno all’altro.»
«Il cucciolo è il suo Spirito Protettore?» chiede Matilde, mentre accendeva il camino presente nella stanza.
«Esatto, mia cara, ed è stato Percy il primo ad accorgersene.» rispose l’uomo, sorridendo. Si sentiva nella sua voce un senso di fierezza.
In tutto questo, Percy era seduto su un divanetto nero, assorto nei suoi pensieri. Nonostante le lodi che Deucalion gli aveva rivolto, non trovò di meglio che ribattere con un «Eh? Sì, sì, certo».
Pensava al futuro, al suo e a quello dei suoi amici, ma soprattutto a quello di Kai, il semidio figlio della Madre Terra, quel ragazzo di 16 anni talmente potente da poter provocare un cataclisma con la sola forza di volontà, o con quella delle sue scelte.
Minerva era seduta sul letto e guardava Kai e Riolu dormire, ma percepì comunque che qualcosa non andava nelle parole del biondo.
«Percy? Che hai?» gli chiese, girandosi verso di lui.
«Cosa?» fece quello, riprendendosi un attimo.
«Che cos’hai? Sei strano...»
«Ah… no, nulla. Tranquilla.» le rispose il ragazzo, alzandosi e dirigendosi verso il camino, intento ad attizzare il fuoco. Si fermò a guardare le fiamme. Le fiamme che ardevano, in tutta la loro potenza e la loro magnificenza, le stesse fiamme che ribollivano nei meandri del pianeta, nei crepacci delle montagne, nelle caverne dimenticate da tutti dove prima si elevavano i canti in onore della Madre Terra. Le stesse fiamme che aveva visto accendersi, per un attimo, negli occhi di Kai. Le stesse fiamme citate nelle antiche profezie. Le stesse fiamme che avrebbero potuto condurre Athena alla rovina.
Stava per dirle tutto, ogni cosa che concerneva il futuro profetizzato per loro. Credeva che Minerva fosse pronta a ricevere una simile notizia, una notizia che l’avrebbe fatta vacillare, resa fragile e insicura, che l’avrebbe resa debole per sempre. Kai, il suo più sincero amico, suo fratello, sarebbe andato incontro ad una fine orrenda. Lo avevano previsto gli antichi oracoli del Sole, infusi del potere e della coscienza del dio della luce e della profezia, ogni volta che gli veniva domandato il futuro della regione di Athena. Percy stava per girarsi verso la ragazza con l’intenzione di rivelarle tutto, ma gli vennero alla mente i versi delle profezie tanto a lungo studiate da quando aveva 13 anni.

Il figlio della Terra ardentemente splenderà
nei giorni in cui la melodia della Morte sarà cantata,
la stirpe della Sapienza fedelmente l’accompagnerà
e dalla luce di tre eroi la regione rimarrà abbagliata,

ma gli dèi contro gli uomini combatteranno
e quando sarà stato accolto il traditore,
le ossa lucenti alla terra condotte saranno
e l’eroe mortale conoscerà il supremo dolore.

Erano state tramandate in tante versioni differenti, ma la più antica, da sempre nelle mani dell’Ordine dei Lupi Bianchi, diceva esattamente questo. Prediceva la nascita e lo splendore di un figlio della Madre Terra, la sua ascesa e il suo apogeo, ma anche la sua caduta. Certo, la profezia non lasciava intendere immediatamente tutto questo, era nello stile delle profezie degli oracoli di Athena essere sibilline, ma dopo la concatenazione di eventi degli ultimi tempi, Percy non aveva più dubbi: Kai era il semidio della profezia, e se questo era vero, un destino funesto attendeva loro tre e l’intera regione, un destino che non sarebbe stato illuminato dalla benevolenza delle divinità.
Quei versi gli seccarono la gola e gli irrigidirono i muscoli delle spalle. Non trovava la forza né per girarsi né per parlare, come se qualcuno glielo impedisse. Una presenza invisibile che per Deucalion, però, non lo era proprio per niente. La dea della Sapienza stava impedendo a Percy di aprir bocca, tenendolo dolcemente per le spalle. Una presenza tremolante, come quella di uno spettro, era tutto ciò che Deucalion riusciva a percepire, finché la dea, dopo aver calmato il ragazzo, non alzò lo sguardo verso di lui, guardandolo con i suoi occhi cerulei e trasportandolo in un luogo che più nulla aveva a che vedere con quella stanza.
Deucalion e la dea ora si trovavano all’interno di un magnifico tempio in marmo bianco, illuminato dal un debole fascio di luce solare. Bracieri accesi diffondevano un calore intenso, mentre fuori nevicava. La statua della Sapienza Onniveggente dominava il naòs, svettando con i suoi quattro metri di altezza, nel più assoluto silenzio. La neve cadeva candida sull’acropoli di Aeteria, mentre un semplice mortale era al cospetto della divinità protettrice della regione di Athena nella sua forma umana.
«Madre della Sapienza, ti saluto.» fece Deucalion, inginocchiandosi.
«In piedi, Deucalion. Noi dèi pretendiamo la sottomissione soltanto dai nostri sacerdoti. E comunque, io non la pretendo dai miei Lupi.» rispose la dea, fissandolo con i suoi occhi cerulei. L’elmo in avorio, su cui spiccava una vistosa gemma rossa, e l’armatura in argento scintillante le facevano risaltare ancora di più le iridi, incutendo un certo timore. Ma Deucalion non aveva timore, né paura.
«Il tuo discepolo stava per rivelare tutto alla ragazza.» disse la dea.
«È per questo che sei apparsa?» chiese l’uomo.
«Non è ancora il momento che tutto ciò si sappia. E comunque, non è il momento giusto perché lo sappiano loro.»
«Perché, mia dea? Tutti noi Lupi conosciamo la profezia, perché loro no?»
«Non sono ancora pronti. Non sono ancora liberi.»
«Liberi da cosa? Dal loro passato?»
«Dalla paura, mio caro. Stiamo per affrontare tempi difficili, tempi in cui gli Inferi reclameranno sempre più anime. Una in particolare è in testa alla lista, e tu sai di quale si tratta.»
La voce della dea era grave, consona all’argomento che stava trattando.
«Quella di Kai.»
«Esatto. Sono stata la prima a conoscere la profezia che mio fratello, il Sole, ha rivelato agli uomini millenni fa, e anche la prima a conoscere l’identità dei tre eroi, appena sono nati. Ma sono stata la prima anche a vedere con i miei occhi le conseguenze dell’avverarsi di questa profezia. E ho visto morte, distruzione e fiamme in tutta la regione di Athena, e il mio cuore è stato stretto in una morsa di ghiaccio. Non crediate che solo perché siamo dèi non siamo legati dal mondo che noi stessi abbiamo creato.» proseguì la dea.
«Non l’ho mai creduto, lo sai.» le rispose Deucalion.
«Tu lo sai, ma gli altri uomini? Continuano a credere che il mondo su cui si trovano, la terra che li nutre e li sostenta, non soffra a vedere i genocidi di cui la storia è foriera.»
«Conosco le conseguenze di tutto questo, mia dea, conosco la profezia pronunciata dalla Madre Terra in persona.»
«Ma non conosci i tempi in cui la Terra inizierà a reclamare ciò che è suo. Ed io ti dico che non bisognerà aspettare ancora molto, il tempo è quasi giunto.»
La scena, tranne la figura della Sapienza, iniziò a tremolare, perdendo consistenza. La dea si sfilò l’elmo, rivelando una cascata di capelli biondo scintillante, e si avvicinò a Deucalion, fissandolo con i suoi occhi lucenti.
«Mio amato, ricorda, l’Età dell’Oro è terminata.» annunciò la dea, poco prima di baciarlo.
La scena si dissolse, e Deucalion ritornò nella camera della sua abitazione, ma non era passato neanche un istante. La Sapienza aveva fatto in modo che nessuno si accorgesse della sua assenza, oltre a cancellare dalla mente di Percy i ricordi immediatamente precedenti. Il ragazzo non ricordò di aver pensato di rivelare a Minerva le sue paure. Anzi, la dea era riuscita anche ad infondergli serenità nell’animo, in modo che non ripensasse immediatamente all’oscuro futuro che li attendeva.
Nella stanza si sentiva ancora una certa tensione, ma Deucalion decise di spezzarla.
«Percy, mi accompagneresti in Università? Dovrei mettere un po’ a posto lo studio e mi servirebbe una mano.»
«Sì, certo.» rispose il ragazzo.
«Benissimo. Matilde, tu e Minerva mangiate qualcosa, la dispensa è piena. Noi ritorneremo domattina, credo.» disse, poco prima di girarsi e avviarsi verso l’atrio insieme a Percy, lasciando le due donne con Kai e Riolu.
«Ti va un po’ di zuppa?» chiese Matilde.
«Sì, grazie. Vuoi una mano a prepararla?» rispose la ragazza.
«Non preoccuparti, so destreggiarmi bene in questa casa, nonostante sia così grande. Tu resta qui con i tuoi amici, se vuoi.» disse Matilde, con un sorriso.
«Va bene, grazie.»

Deucalion e Percy erano fermi ad un semaforo su Corso Sinnoh, e stavano aspettando che scattasse il verde. Il ragazzo non aveva detto una parola da quando era salito in auto, e continuava a fissare la strada fuori dal finestrino.
«Percy, qualcosa non va?» gli chiese Deucalion.
«No, è solo che stavo pensando a quanto Kai sia potente. Non abbiamo mai incontrato un semidio forte quanto lui.»
«Hai ragione, è sicuramente il primo da moltissimo tempo. Nemmeno io ne avevo mai incontrato uno così potente.»
«Sì, ma questo potrebbe voler dire… la profezia…»
«Percy, ascolta. Conosco benissimo la profezia, ma per quanto ne sappiamo, potrebbe esserci anche un altro semidio figlio della Madre Terra, da qualche parte ad Athena.»
«Sai che questa è una speranza del tutto illusoria, vero?» fece il ragazzo, conscio del fatto che la profezia riguardava Kai. Una lacrima iniziò a rigargli il viso.
«Te l’ho già detto in Università, non credere che io non sappia cosa stai provando. So che gli vuoi bene.»
«Già… Deucalion, loro dovrebbero sapere tutto.» disse, deciso.
«No.» rispose l’uomo.
«Perché? È del loro destino che stiamo parlando.»
«Non è perché io non voglia, Percy, ma...»
«E allora perché no?» chiese il biondo, iniziando a piangere.
«La dea mi è apparsa. Poco fa, mentre tu eri davanti al camino. Mi ha detto che non sono ancora pronti a saperlo.»
La rivelazione avrebbe dovuto scioccare Percy. Non capita tutti i giorni che una divinità si rivolga ad un comune mortale. Tuttavia, sapeva che non era stata certo la prima volta.
«E allora quando sapremo quando sarà il momento giusto? Stiamo parlando sempre dei miei amici, Deucalion!»
«Non lo so, Percy, non lo so...»
Scattò il verde. Deucalion ingranò la prima e ripartì, facendo ruggire il motore dell’auto. Percy si girò verso il finestrino, fissando la strada con gli occhi pieni di lacrime. Non disse una parola per tutto il resto del viaggio.

Matilde e Minerva stavano mangiando sedute al piccolo tavolo della stanza di Kai. La donna aveva preparato una pentola intera di zuppa, che tuttavia non sarebbe sopravvissuta a lungo, dato che Minerva stava già per ripulire il piatto per la seconda volta. La zuppa più buona che avesse mai mangiato in vita sua.
«Ti piace la zuppa?» le chiese Matilde, per fare un po’ di conversazione.
«È buonissima» fece lei, rispondendo tra una cucchiaiata e l’altra. «In assoluto la migliore che abbia mai mangiato.»
«Ti ringrazio. Ho imparato a cucinare da mia madre, un po’ prima di entrare nell’Ordine.»
«Da quanto ne fai parte?» chiese curiosa Minerva.
«Ormai sono trent’anni. Ho reclutato io Deucalion, sai?»
«Davvero? Quando è successo?»
«Oh, un bel po’ di tempo fa, cara. Deucalion ha fatto carriera molto presto, è molto intelligente. Aveva quindici anni quando è diventato un Lupo.»
«Era davvero giovane… come è venuto a conoscenza dell’Ordine?»
«I Lupi avevano scovato un semidio nella sua scuola superiore e lui si è ritrovato nel mezzo della faccenda. All’epoca lavoravo lì come bidella ed è venuto da me dopo aver indagato un po’ per conto suo.»
«E tu gli hai detto tutto?» chiese la ragazza, mentre finiva il terzo piatto di minestra.
«Già. Deucalion ha deciso di unirsi a noi, dopo quel giorno, e da lì si è fatto notare ben presto per la sua intelligenza e la sua passione per l’antichità.»
«Ne parli quasi come se fosse tuo figlio, Matilde.» notò Minerva.
«In un certo senso, è come se lo fosse. Quando i nuovi adepti vengono reclutati da qualcuno, quel qualcuno diventa per loro come una madre o un padre.»
«Stringete davvero dei legami forti, nell’Ordine...»
«Non puoi immaginare quanto, mia cara.» rispose la donna, con un velo di malinconia nella voce. Minerva lo notò, ma preferì non fare domande. Non le piaceva immischiarsi negli affari altrui.
«Vuoi dell’altra zuppa?» le chiese Matilde, notando quanto le fosse piaciuta.
«Oh, no, grazie. È davvero buonissima, ma il mio stomaco non è così capiente da poterne contenere un’intera pentola.» rispose la ragazza, sazia.
«Allora direi che possiamo andare a dormire, non credi?»
«Sì, direi che è un’ottima idea.» rispose Minerva, iniziando a sentire una leggera sensazione di stordimento, data dall’abbondante cena e dalla stanchezza della giornata.
«Vieni, ti accompagno nella tua camera. Ormai conosco bene questa casa.» fece Matilde, alzandosi e iniziando a camminare verso il corridoio.
«Non vuoi una mano a sparecchiare?» le chiese Minerva.
«Non preoccuparti, non ci vuole niente.»
«D’accordo...»
La stanza di Minerva era uguale a quella di Kai. Lo stesso pavimento di marmo bianco venato, lo stesso camino e lo stesso ampio e comodo letto, ma i mobili questa volta erano di legno chiaro, e davano la sensazione che la camera sembrasse molto più grande di quanto non fosse realmente. Anche le lenzuola e le coperte del letto erano chiare, di un colore grigio argento. Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino, donando calore alla stanza.
«Buonanotte, cara, a domattina.» fece Matilde, prima di chiudere la porta delicatamente.
Minerva si ritrovò d’un tratto assalita da una potente stanchezza. Si appoggiò sul letto, e non fece neanche in tempo a sdraiarsi che si addormentò esausta, provata da tutto ciò che era successo durante la giornata.

Deucalion aprì la porta del suo studio, in Università. I danni causati dal terremoto era consistenti, ma nulla si poteva definire del tutto perduto. Eccezion fatta per un antico vaso nel laboratorio e il vetro sfondato di una finestra, c’era soltanto un gran disordine. Qualche crepa sul soffitto si faceva strada da un lato all’altro della stanza, ma non era particolarmente importante.
«Avremo un bel po’ da fare, stanotte.» fece Percy.
«Già… è meglio se iniziamo subito.» gli rispose il suo maestro, mentre cercava di spostare l’enorme ramo piombato sulla sua scrivania. «Percy, dammi una mano. Attento a non tagliarti, ci sono frammenti di vetro ovunque.» lo avvertì.
«Cerchiamo di buttarlo fuori dalla finestra.»
Con un po’ di forza, lo studio risultò libero dall’invasione di Madre Natura.
«Bene, tu inizia ad occuparti dei libri, io vedo cosa si può recuperare del vaso in laboratorio.» fece Deucalion.
«Fai con calma, qui penso a tutto io.» rispose il biondo, con un’aria rassegnata.

Alle otto del mattino del giorno dopo, Minerva fu la prima a svegliarsi. Si sentiva un sapore amaro in bocca e dovette subito correre a lavarsi. Arrivata davanti lo specchio, si accorse di aver dormito vestita, e anche di essersi agitata nel sonno, dato che aveva i capelli tutti in disordine. Abbassò leggermente lo sguardo e notò, con la coda dell’occhio, un cestino di vimini coperto da un panno bianco, con sopra adagiato un biglietto.

Ti ho lasciato dentifricio, spazzolino e tutto quello
che può servirti per il bagno.
Perdona la mia assenza, ma ho anch’io
una famiglia e devo prendermene cura.
Matilde

«Una famiglia...» mormorò la ragazza.

Dopo essersi sistemata, Minerva si diresse verso la stanza di Kai. Lo trovò ancora addormentato insieme a Riolu, mentre ronfava beatamente. Il piccolo Pokémon stava anche russando leggermente.
La ragazza si sedette piano sul letto, accarezzando i capelli di Kai con fare materno, delicatamente. Un tocco leggero, ma fu sufficiente a far svegliare suo fratello.
«Minerva!» fece Kai, scattando in posizione seduta, facendo un tale trambusto da far quasi rotolare giù dal letto Riolu. «Dove siamo?» chiese, tutto agitato.
«Kai, calmati, siamo a casa di Deucalion. Non agitarti.» cercò di tranquillizzarlo Minerva.
Riolu, intanto, era già sceso dal letto e stava esplorando la stanza, curioso, consapevole che Kai non fosse realmente così agitato come poteva sembrare.
Il ragazzo si calmò un po’, poi chiese alla sua amica da quanto fossero lì.
«Hai dormito come un macigno, siamo qui dalle sei di ieri sera.»
«Cosa? Che ore sono?»
«Le otto e mezza.»
«Quanto siamo distanti dall’Università?» chiese Kai, leggermente agitato.
«Non so dirtelo precisamente, ma qui siamo nella periferia di Aeteria, perciò credo che distiamo un bel po’.»
«No, cazzo!» disse il ragazzo, mentre saltava giù dal letto e scattava verso la prima cosa che gli sembrava essere un bagno.
«Kai, che ti prende?» gli chiese l’amica.
«Avevo promesso ad Orione che alle dieci ci saremmo incontrati in Università!» rispose, mentre si lavava la faccia.
Minerva era abbastanza abituata a gestire queste situazioni, con tutte le sbandate che Kai si era preso negli ultimi due anni per ragazzi conosciuti per puro caso in giro per Aeteria, durante le loro passeggiate fuori programma. La ragazza si limitò a sospirare. «D’accordo, ma ora calmati. Lavati e pensiamo ad un modo per raggiungere il centro.»
«Sapevo che sei la migliore.» fece il ragazzo, grato.

Dopo essersi lavato, Kai trovò dei vestiti lasciati da qualcuno su una poltrona. Un jeans, una maglietta bianca e una felpa nera, vicino ad un giubbotto verde, adatto per l’autunno di Athena, lavati e stirati. Ai piedi del divano stavano un paio di scarpe sportive, nere, con un design slanciato. Il ragazzo si cambiò velocemente, mentre Minerva guardava fuori dalla finestra per cercare di trovare un qualche punto di riferimento.
«C’è una stazione della metropolitana, qui vicino.» annunciò la ragazza, mentre Riolu guardava fuori dalla finestra insieme a lei.
«Di quale linea?» chiese Kai, mentre si aggiustava i capelli.
«La sei, la palina è viola.» rispose lei.
«Non capirò mai come tu faccia a ricordare tutti questi dettagli.» fece il ragazzo, mentre usciva dal bagno. «Come sto?» le chiese.
Minerva si girò, guardandolo a braccia conserte con i suoi occhi grigi. Kai si era davvero impegnato per prepararsi ad uscire. Si era sistemato i capelli in modo da farli stare rialzati, tagliato quella poca barba che un ragazzo di sedici anni può avere e messo un po’ di profumo.
«Se non fossi gay, ti sarei già saltata addosso.» rispose la ragazza, con un tono di voce leggermente ironico.
«Dai, smettila. Che ore sono?»
«Soltanto le nove, tranquillo. C’è tempo per fare colazione.»
«D’accordo, ma in fretta.»
«Calmati.» fece Minerva, ridacchiando. «Giù c’è già la colazione pronta.»
«Ok, andiamo, allora. Vieni, Riolu.» fece il ragazzo, dirigendosi spavaldo verso la porta della stanza, anche se non aveva la minima idea di dove andare.

In Università erano ormai iniziate le lezioni, e un gran viavai di studenti e professori si era creato nei corridoi dell’edificio, mentre dei muratori sistemavano le ultime crepe, dopo aver tolto di mezzo i detriti provocati dal crollo di qualche calcinaccio. Il rettore aveva tempestivamente comunicato che le lezioni sarebbero proseguite normalmente, una volta accertatosi che i danni all’edificio non fossero di una gravità tale da giustificarne la sospensione. Nonostante questo, c’era più di qualche studente che sperava in una chiusura di almeno un giorno, per poter allungare il fine settimana.
Deucalion e Percy avevano appena finito di riordinare e ripulire lo studio e il laboratorio. In effetti, sembrava che lì dentro fosse passato un tornado, con tutti i libri e le relazioni del professore buttate per aria.
«A posto, abbiamo finito.» annunciò Percy, una volta sistemato l’ultimo libro in una delle numerose librerie.
«Non resta che chiamare il vetraio per riparare la finestra.» notò Deucalion.
«Vuoi che lo faccia io?» propose il biondo.
«Non preoccuparti, tu vai pure, me ne occupo io.»
«Va bene, ci vediamo più tardi, Deucalion. Se mi cerchi, sono nella biblioteca di archeologia ad aiutare i tesisti.» rispose, mentre si girava e usciva dallo studio.

Nella stazione della metropolitana non c’erano controlli, eccezion fatta per le due uniche telecamere a circuito chiuso puntate sui gate.
«Ci sono soltanto due telecamere.» notò Minerva.
«Vuol dire che sarà ancora più facile passare senza biglietto, qui.» rispose Kai.
Con tutte le volte che i due ragazzi avevano girato per Aeteria usando la metropolitana di nascosto, non sarebbero state certo un paio di telecamere a fermarli, questa volta. E di certo non a fermare Kai, deciso ad arrivare in Università, nel pieno centro della città, entro i prossimi quaranta minuti.
«Vai, Riolu, Stridio.» ordinò il ragazzo al piccolo Pokémon, che saltò, facendo leva su uno dei gate, per appendersi alla telecamera più vicina. Una volta fatto questo, emise un verso orribilmente stridulo, ma impercettibile per gli altri, e saltò verso l’altra telecamera, bene attento a non farsi inquadrare, e fece la stessa cosa. Riolu aveva imparato a modulare il suo verso per creare piccole e temporanee interferenze elettromagnetiche, che in genere duravano abbastanza da permettere a Minerva e Kai di scavalcare i cancelli senza farsi vedere. I due ragazzi si slanciarono verso i gate, oltrepassandoli facilmente, e corsero verso le scale il più velocemente possibile per cercare di non farsi inquadrare, mentre Riolu li aspettava. Una volta raggiunto il grande tabellone su cui era indicato il tragitto della metropolitana, il piccolo Pokémon si mise a tirare un lembo dei jeans di Kai per far capire che voleva essere preso in braccio dal suo amico.
«Riolu, dovresti stare un po’ meno in braccio.» fece il ragazzo, mentre lo tirava su.
«La linea sei non arriva fino in Università, ci conviene cambiare con la linea due a Leggenda.» notò la ragazza.
«Va bene, ma sbrighiamoci, sullo schermo c’è scritto che il treno è in arrivo.» rispose Kai, dirigendosi verso le scale come una furia.
«Aspetta» ribattè Minerva, prendendolo per un braccio. «Quel treno va nella direzione opposta.»
Riolu guardava con i suoi grandi occhi rossi il ragazzo. Percepiva che la sua aura era turbata. In effetti, Kai era piuttosto agitato per via dell’incontro con Orione.
«Sei troppo agitato, dovresti calmarti.» lo rimproverò l’amica. «Non è il primo ragazzo con cui ti vedi.»
«Lo so, ma… sento che stavolta c’è qualcosa di diverso.»
«E cosa?» chiese Minerva, facendo finta di non conoscere la risposta.
«Non ero mai stato preso così tanto prima d’ora. E tu lo sai.»
«Hai ragione, l’avevo capito già ieri, quando ti è venuto addosso.»
«Un giorno mi spiegherai come fai ad intuire le cose così velocemente, Minerva.» disse il ragazzo.
Minerva ci pensò un secondo. In effetti, nemmeno lei era mai riuscita a spiegarsi come facesse, a volte, ad intuire gli eventi con tanta precisione. Ogni volta ci pensava per molto tempo, ma finiva sempre per arrovellarsi inutilmente il cervello, perché non riusciva ad arrivare a nessuna conclusione plausibile. Odiava non capire cosa stesse succedendo, e in particolare odiava questi momenti.
«Guarda, è arrivato il treno.» rispose la ragazza, cercando di sviare l’attenzione su un altro argomento. Kai appoggiò Riolu sulla spalla destra e si buttò dentro senza tanti complimenti, in preda alla foga.
«D’accordo, ma calmati.» gli fece Minerva, ridacchiando.

Nella biblioteca della facoltà di archeologia c’erano un mucchio di ragazzi. Chi preparava la tesi, chi invece studiava per dare gli ultimi esami, e chi semplicemente non aveva voglia di andare a lezione e se ne stava tranquillo in quella marea di libri, con il computer e le cuffie. E poi c’era Percy, intento a raccogliere volumi su volumi dagli scaffali e a depositarli su un tavolo vicino.
«Grazie, Percy, non so come faremmo senza di te.» gli disse una ragazza con i capelli ricci, mentre sceglieva alcuni tra i tomi prelevati dal biondo e li passava a due altri ragazzi.
«Figurati, sono qui per dare una mano.» rispose lui, sorridendo. Aiutare i ragazzi laureandi riusciva a distrarlo, ad evitargli di pensare alla profezia e ai suoi amici più intimi. Erano ormai due anni che era entrato in quell’edificio, ma non come studente. Ad un Lupo ciò non serviva, non quando si è sotto la protezione di uno dei membri più influenti dell’Ordine come Deucalion. Percy si limitava soltanto ad accrescere la propria cultura, innamorato com’era dell’antichità e degli usi dei popoli classici, ma più in generale del sapere. Non perdeva infatti occasione di documentarsi su qualsiasi area dello scibile umano riuscisse a stuzzicare la sua curiosità. Era un dono, gli piaceva pensare, un dono che non lo obbligava a pensare come tutti e che gli permetteva di esplorare più punti di vista su ogni argomento. Gli era stato trasmesso da Deucalion, il suo maestro, il suo mentore, suo padre, e lui lo aveva a sua volta trasmesso a Kai e Minerva.
«Guarda, Max, secondo me potresti inserire questo articolo nella tua tesi.» fece ad un ragazzo con i capelli neri, mentre leggeva un passo di Tucidide. Max lesse rapidamente il titolo e l’introduzione. «Dici che al professor Hyperion potrebbe andare bene?» chiese.
«Non preoccuparti, so cosa vuole il professore dai suoi studenti. E in seduta di laurea non è duro come durante gli esami.» rispose il biondo, rassicurandolo.
Deucalion si era infatti creato la fama dell’ottimo professore durante le lezioni, chiaro e preciso, ma agli appelli pretendeva molto dagli studenti. A buona ragione, sosteneva che “un archeologo deve avere in sé il seme della pignoleria e dell’inflessibilità”, che secondo lui erano le doti imprescindibili che ogni bravo studioso del passato doveva possedere. In seduta di laurea, invece, diventava un pezzo di pane perché vedeva in ogni tesista un archeologo formato, grazie ai suoi insegnamenti.
«Grazie, Percy. Davvero.» fece una dei tre che il biondo stava aiutando, una ragazza con i capelli lunghi, lisci, di un bel rosso ramato. Non sembravano soltanto semplici ringraziamenti. Percy si fermò un attimo a guardarla. Conosceva già quella ragazza, Rodia, da più di due anni. Ma ultimamente il loro rapporto stava iniziando a diventare strano. Lei aveva improvvisamente iniziato a chiedergli aiuto per ogni cosa che riguardasse l’Università, e ad ogni festa in cui si incontravano si mettevano a parlare e a bere insieme. Percy non era stupido, aveva capito da tempo di piacerle, ma non voleva fare la prima mossa perché non era sicuro che la ragazza gli interessasse davvero. Così prendeva tempo, ogni volta, per cercare di capire meglio. Ma Rodia, a quanto pare, non aveva tutta questa pazienza. Fece un cenno quasi microscopico con la testa al suo amico, e Max se ne uscì con un «Percy, Rodia, sto andando alle macchinette, volete un caffè?».
«Oh, sì, grazie.» rispose la rossa.
«Per me niente, tranquillo.» rispose invece Percy.
«Aurora, mi accompagni?» fece Max, rivolto alla ragazza riccia. I due uscirono da quella sala della biblioteca, lasciandoli praticamente soli. Nessun altro era presente, e c’era un gran silenzio. Rodia si avvicinò a Percy con un libro in mano.
«Secondo te questo passo potrebbe andare bene per la mia tesi?» fece, mostrandogli una pagina a caso del primo libro che le era passato per le mani.
«Senofonte? Non credo che possa andare bene con il tuo tema, sinceramente.»
«Certo, hai ragione. È che ho dimenticato a casa i miei appunti, avevo trascritto lì sopra i titoli di tutti i libri che potrebbero servirmi.» fece Rodia, sparando la prima scusa che le era venuta in mente. Percy alzò lo sguardo verso di lei, scrutandola con i suoi occhi azzurro limpido mentre poggiava un pugno sul tavolo.
«Certo, sarebbero davvero utili. Magari potrei venire a casa tua insieme a te per consigliarti meglio.» disse, cogliendo la palla al balzo. Era l’occasione giusta per chiarire cosa provasse.
Rodia lo guardò per un istante. Non si aspettava che abboccasse così facilmente.
«Mi faresti un grande favore.» rispose, dopo l’iniziale tentennamento.

La metropolitana era appena arrivata alla stazione Leggenda, l’interscambio con la linea due. Kai continuava a fissare le porte scorrevoli in attesa che si aprissero. Sembravano attimi infiniti. Finalmente i pannelli si divisero, e Kai quasi si buttò fuori dal treno.
«Ok, da qui con la due sono soltanto 3 fermate, e sono ancora le dieci meno dieci.» calcolò rapidamente il ragazzo.
«Continuo a pensare che dovresti darti una calmata, stai facendo agitare anche Riolu.» notò Minerva posando lo sguardo sul Pokémon sulla spalla destra di Kai, che in effetti era accigliato.
«Hai ragione.» riconobbe Kai, fermandosi e facendo scendere il Pokémon a terra, mentre si puntellava su un ginocchio. «Scusami, Riolu.» disse, guardando il suo piccolo amico. Il suo compagno gli rivolse un sorriso gioioso, poco prima di girarsi verso delle scale e dirigersi verso un varco colorato di verde, dove si girò nuovamente verso Kai e Minerva, indicando dietro di sé con la zampina il treno che stava arrivando. I due ragazzi corsero verso la banchina, quasi saltando le scale. Si tuffarono nel treno di colore verde, mentre le porte si chiudevano dietro di loro un secondo dopo.

Percy e Rodia, intanto, erano appena usciti dall’Università, diretti verso casa della rossa.
«Non è lontana da qui.» disse la ragazza.
«Non preoccuparti, non ho nulla di importante da fare.» rispose Percy, fiutando lo stratagemma di prima. Aveva pensato che probabilmente Rodia e i suoi due amici si fossero messi d’accordo per creare quel momento particolare.
«Sei davvero gentile ad aiutare noi tesisti.» prese il discorso la rossa, per evitare di creare un silenzio imbarazzante durante quei cinquecento metri di tragitto.
«Mi piace aiutare gli altri, mi aiuta a svuotare la mente.» rispose il biondo.
«Da quanto conosci il professor Hyperion?»
«Oh, da molto tempo. È come un padre per me.»
«È davvero molto bello che abbiate un rapporto così stretto.»
«Sono stato fortunato.» rispose Percy, in maniera leggermente evasiva.
I due rimasero in silenzio per gli ultimi venti metri, quando, davanti ad un portone di legno intarsiato, Rodia spezzò la tensione: «Siamo arrivati, io abito qui.»

Kai e Minerva uscirono dalla stazione metropolitana Sovrani di Athena, proprio davanti l’Università. Per fortuna non si erano visti controllori, così i due non avevano nemmeno avuto bisogno di ricorrere ai soliti trucchetti per evitarli. Mancavano cinque minuti alle dieci, e Kai stava per andare in iperventilazione.
«Mi raccomando, spavaldo, ma non troppo.» gli diceva Minerva, mentre prendeva in braccio Riolu.
«Lo so, lo so.» rispose il ragazzo, agitato.
«Dai, andrà tutto bene, non è la prima volta.» ribatté la bionda. In effetti, Kai aveva un certo ascendente sui ragazzi. Aveva dei meravigliosi occhi verdi come la foresta profonda, un viso decisamente gradevole e un fisico asciutto e atletico. Lui e la sua amica avevano avuto modo di allenarsi fin da bambini, ogni volta che scappavano dall’orfanotrofio. Scalavano alberi, cancellate, steccati, a volte perfino edifici, cercando ovviamente di rimanere ben nascosti. Correvano velocemente e a lungo, e avevano entrambi una buona resistenza, da veri esperti di parkour.
Negli anni, il fisico di entrambi si era modellato, rendendoli attraenti. Non erano pochi i ragazzi che Kai aveva conosciuto, spesso carnalmente, o anche soltanto per divertirsi per qualche minuto. Ma sapeva che con Orione avrebbe dovuto essere più cauto. Non aveva mai incontrato qualcuno capace di affascinarlo a tal punto con un solo sguardo, e sapeva che non era il caso di usarlo soltanto per divertirsi. Kai avrebbe dovuto mettere da parte la sua strafottenza, per una volta.
«Kai, io e Riolu ti aspettiamo qui fuori.» gli fece Minerva.
«Sì, certo.» rispose il ragazzo.
Chiuse gli occhi, cercando di rallentare il suo battito cardiaco. Un minuto dopo li riaprì, fissò l’edificio e si decise ad entrare, finalmente.
 
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Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo VI - Atto di ribellione

In Università c’era un gran viavai di studenti, docenti e personale del posto. Nei corridoi c’era chi camminava con libri in mano, chi mescolava il caffè per farlo raffreddare prima, chi prestava più attenzione al cellulare che al resto del mondo. E poi c’era Kai, che non aveva la minima idea di dove andare per raggiungere il giardino. Nel dubbio, continuava a camminare lungo un corridoio, cercando qualcuno che non fosse di fretta o che non fosse troppo preso da sé stesso.
Davanti il busto di marmo di qualcuno che sembrava essere un personaggio importante, c’erano una ragazza con i capelli ricci e uno con i capelli neri. Parlavano tra di loro, mentre sorseggiavano un caffè.
«Questo caffè diventa ogni giorno più simile ad un’acqua sporca.» fece il ragazzo.
«Resta sempre caffè delle macchinette, anche se costa poco.» rispose la riccia.
Kai individuò i due come potenziali GPS umani e decise di chiedergli indicazioni per raggiungere il giardino.
«Scusate...» fece, interrompendo i loro discorsi.
«Ciao, ti serve qualcosa?» gli rispose la ragazza, mentre girava il caffè.
«Dovrei raggiungere il giardino dell’Università, ma non so dove sia. Potreste dirmi come arrivarci?» chiese il semidio, mentre controllava l’orologio. Mancavano due minuti alle dieci.
«Certo, vieni con noi, stiamo andando in quella direzione.» rispose il ragazzo, facendo cenno sia a Kai che alla sua amica di seguirlo.
«Ah, grazie mille.» rispose Kai, sorridendo.
«Figurati. Sei uno studente?» gli chiese la riccia, mentre camminavano.
«Veramente no, devo soltanto incontrare una persona. Voi due, invece, studiate qui?»
«Già, dobbiamo laurearci fra tre mesi.» rispose il ragazzo.
«In cosa?» chiese Kai, con la curiosità di chi faceva domande per scacciare l’agitazione.
«Archeologia.»
Dovevano essere studenti di Deucalion, pensò il semidio. Sembravano simpatici.
«Comunque, io mi chiamo Max.» fece il ragazzo con i capelli corvini.
«Io invece sono Aurora.» gli fece eco la ragazza riccia.
«Piacere, io mi chiamo Kai.» rispose, mentre controllava l’orario per l’ennesima volta. Le dieci precise. Iniziava a chiedersi dove diavolo fosse quel giardino.
«Siamo arrivati, l’entrata del giardino è quella.» disse Max, indicando una porta scorrevole su cui era disegnato un grande albero stilizzato, diviso tra le due ante. «È stato un piacere conoscerti, Kai.»
«Anche per me. Ciao!» rispose il ragazzo con gli occhi verdi, mentre correva verso la porta scorrevole.
Aurora e Max si diressero verso la biblioteca di archeologia, che era posizionata lì vicino.
«Simpatico, vero?» fece Max alla ragazza.
«Anche piuttosto carino.» rispose lei.

Orione era lì ad aspettare, comodamente seduto sul prato, con la schiena poggiata sulla fontana al centro del giardino. Stava leggendo un libro, mentre teneva la gamba sinistra distesa e quella destra piegata per poggiarvi il gomito sopra. Sembrava piuttosto assorto nella lettura, tanto da non accorgersi di cosa gli capitava intorno.
Kai lo osservava da dietro la porta scorrevole, un po’ in agitazione. La luce del sole baciava la carnagione olivastra di Orione, e donava ai suoi occhi un colore azzurro più acceso e profondo di quel che ricordava, mentre continuava a stare con la testa china sulle pagine stampate. Una maglietta leggera a mezze maniche, nera, lo rendeva irresistibile agli occhi di Kai, che prese ad agitarsi ancora di più.
«Coraggio» disse, a voce bassa. «Va tutto bene, non è la prima volta. Respira.»
Si fece coraggio ed oltrepassò la porta scorrevole.

Casa di Rodia era piuttosto carina. Piccola e accogliente, adatta per lei e la sua coinquilina. Qua e là c’erano appunti, fogli sparsi e libri buttati per aria, normale amministrazione per una casa di universitarie, ma nel complesso era ordinata.
«Carina casa tua.» le fece Percy, guardandosi un po’ intorno.
«Grazie. Scusa il disordine, ma ultimamente non ho troppo tempo per mettere a posto la casa.» si scusò la ragazza.
«Ma questo non è disordine» disse una ragazza bionda, spuntando di spalle dalla cucina. «Questo è caos artistico.» proseguì poi, mentre spazzava il pavimento con la scopa, sempre rimanendo di spalle.
«Persefone...»
«Sì?» rispose la ragazza.
«Non è carino dare le spalle ad un ospite.» la ammonì Rodia.
«Ma dai, è Max...» disse, rimanendo intenta a pulire per terra.
«Veramente io mi chiamo Percy.» si intromise il biondo. Persefone si girò di scatto verso di lui, accorgendosi finalmente che il ragazzo entrato in casa non somigliava nemmeno lontanamente a Max. Aveva dipinta in viso l’espressione di chi era convinto di aver appena fatto una pessima figura, con gli occhi verdi spalancati, rivolti prima a Rodia e poi a Percy.
«Ah, sì, cioè, è che credevo fosse Max...» farfugliava, mentre diventava rossa in volto. Rodia cercò di tagliare la nebbia dell’imbarazzo con le presentazioni.
«Lei è Persefone, la mia coinquilina. Persefone, lui è Percy, mi sta aiutando con la tesi.» disse.
«Piacere di conoscerti.» fece il biondo, stringendo la mano alla ragazza.
«Ah, anche per me.» rispose lei, imbarazzatissima, mentre ancora teneva in mano il manico della scopa. Percy ebbe modo di osservarla meglio. Persefone era una bella ragazza, nonostante in quel momento sembrasse una casalinga, con il viso puntinato di lentiggini e degli occhi color verde acqua davvero meravigliosi. I capelli biondi, lunghi e leggermente ondulati, erano di una sfumatura molto chiara, e alla luce diventavano quasi bianchi. Aveva lineamenti delicati. La carnagione luminosa e il viso piccolo, dall’ovale perfetto, la facevano somigliare a quelle fate di cui sono pieni i libri e i film fantasy.
Nonostante l’aspetto fatato, comunque, era una vera campionessa nel fare figure di merda.
Percy distolse il suo sguardo da Persefone per rivolgerlo di nuovo a Rodia.
«Allora, dicevi di avere degli appunti qui.»
«Ah, sì, certo, sono in camera mia, vado a prenderli subito.» rispose la ragazza.
«Ti accompagno.» replicò il biondo, cogliendo la palla al balzo.
«Ah… va bene, per di qua.» fece Rodia, un po’ in imbarazzo, mentre si incamminava verso la sua stanza.
«Chiudete la porta, mi raccomando.» urlò ai due Persefone, che aveva una vaga idea di come sarebbe andata a finire la situazione.

Orione era ancora alle prese con il suo libro, quando Kai si sedette vicino a lui e lo salutò.
«Ciao, Orione.»
Quello distolse lo sguardo dalle pagine stampate, e solo allora si accorse della presenza di un’altra persona accanto a se.
«Oh, ciao, Kai. Scusami, non mi ero accorto che fossi arrivato.» rispose il ragazzo, con un sorriso, mentre metteva via il libro. Kai era ancora tremendamente agitato, perciò cercò di non far cadere il discorso.
«Cosa stavi leggendo?» gli chiese.
«L’Antigone di Sofocle, la conosci?» rispose Orione.
«Percy me ne aveva parlato qualche tempo fa, ma non l’ho mai letta di persona.»
«È un’opera molto bella, una delle mie preferite.» ribatté il ragazzo dagli occhi azzurri, in tono leggermente sognante.
Kai era sempre più affascinato da quel ragazzo bellissimo, che sembrava avere una profonda conoscenza dell’antichità classica. Bello e intelligente, come piaceva a lui.
«Mi sarebbe piaciuto leggerla.»
«Vuoi che te ne legga qualche passo?» gli chiese Orione.
«Mi piacerebbe molto.» rispose Kai, sorridendogli.
Orione iniziò a leggere la parte in cui Antigone e Ismene parlano tra di loro, dopo la morte del loro fratello e il divieto di Creonte di seppellirlo. Kai lo ascoltava affascinato, mentre parlava di leggi divine e mortali, e per quella breve ora il mondo intorno a loro smise di esistere, mentre le verdi iridi del semidio brillavano leggermente.

Rodia stava sfogliando un quaderno, alla ricerca dei suoi appunti, mentre Percy si guardava intorno.
La camera della rossa era tutto un fiorire di poster di gruppi musicali, con relativi biglietti dei concerti attaccati vicino. In un angolo della stanza era adagiata una chitarra classica, e sulla scrivania della ragazza erano presenti gadget dei più disparati gruppi rock, oltre ad una gran quantità di plettri.
«Ti piace molto la musica, vero?» le chiese il biondo.
«È una delle mie passioni fin da bambina, in effetti.» rispose lei, girandosi verso Percy.
«Sai anche suonare la chitarra?»
«Sì, ma ho lasciato le lezioni da qualche anno. Con l’Università non avevo molto tempo per dedicarmici come prima.»
«Certo, è comprensibile.» le rispose il ragazzo. Poi si avvicinò a lei da dietro e le mise le mani sulle spalle. «Sai che ho sempre ammirato chi suona uno strumento?» aggiunse. Rodia avvampò violentemente e rimase ferma dov’era, di spalle, per non far vedere il suo rossore.
«Da-davvero?» fece lei, cercando, inutilmente, di non far tremare la voce. Il respiro le divenne più affannoso.
«Davvero» rispose Percy, mentre spostava le mani sui suoi fianchi, cingendole la vita, e iniziava a baciarle il collo. Rodia iniziò a rilassarsi e si girò lentamente, facendo ondeggiare i capelli. Il suo rosso ramato risplendeva del colore della passione, mentre alzava i suoi occhi color nocciola verso il suo viso.
Era ancora rossa in volto.
«E sai che cos’altro ho sempre ammirato?» disse il biondo, sfiorandole la guancia destra con la mano.
«Che cosa?» rispose lei, guardandolo nei suoi limpidi, profondi e bellissimi occhi azzurro fiume.
I volti dei due ragazzi erano ad un centimetro di distanza l’uno dall’altro.
«La bellezza di un volto pieno di speranze e sogni. Come il tuo.» disse, poco prima di baciarla appassionatamente, trascinandola in una dimensione eterea, fatta di sogni e di amore.
Rodia contraccambiò il bacio subito dopo, delicatamente. I due si guardarono negli occhi per un secondo, un infinito secondo. E poi presero a baciarsi con più passione, con più desiderio, mentre i vestiti di entrambi volavano via, rivelando corpi colmi di brama, di smania d’amore, di cupidigia per l’altro. I due erano avvinghiati l’uno all’altro, come se avessero paura di perdersi, e danzavano la vorticosa danza della sensualità, il vertiginoso valzer della carnalità, soddisfacendo a pieno i bisogni del proprio corpo e della propria anima, in un turbine di baci, di ansimi e di gemiti di piacere. Non gli importava che qualcuno li potesse sentire. Erano diventati, per quei momenti, una cosa sola, con un solo corpo e una sola anima, in armonia con il mondo. L’energia che pervadeva entrambi sembrava essere illimitata, rinnovata continuamente dalla loro passione.
E si unirono nella loro intimità, con ardore e passione, come fanno due ragazzi che si amano. Come fanno due ragazzi con lo spirito dell’Amore dentro di loro.

Erano le undici, e Orione si rese conto di quanto fosse tardi.
«Devo andare, Kai, ho lezione.» fece, mentre infilava nello zaino il suo libro.
«È già così tardi?» chiese il semidio, che non voleva staccarsi dal ragazzo.
«Vorrei rimanere di più, ma ho lezione con la professoressa Chrise, e non ammette ritardi.» rispose Orione, mentre iniziava ad avviarsi fuori dal giardino.
«Aspetta!» lo fermò Kai.
«Sì?»
«Posso… accompagnarti?» chiese, timidamente.
«Certo, se ti va.»
I due ragazzi uscirono dal giardino insieme, parlando tra di loro di tutti gli argomenti che gli passassero per la testa. E Kai, felice com’era, aveva un gran sorriso stampato in volto.
Minerva e Riolu, intanto, stavano camminando senza meta nei corridoi gremiti di persone dell’Università, tenendosi comunque vicino al giardino. Nel mezzo del loro girovagare, Minerva intravide Kai e Orione davanti una delle tante aule dell’ateneo, mentre parlavano di chissà cosa.
«Riolu, secondo te di cosa stanno parlando?» chiese la ragazza al piccolo Pokémon. Quello guardò prima i due ragazzi e poi guardò Minerva, aggrottando un po’ la fronte.
«Hai ragione, probabilmente Kai gli sta chiedendo un secondo appuntamento. Lo fa sempre, se al primo non si annoia.»
I due ragazzi si salutarono, e Kai prese a camminare verso Riolu e la sua amica, sorridendo.
«Quanto scommetti che non ci vede perché è ancora nel mondo dei sogni?» disse Minerva al piccolo Pokémon. In effetti, il ragazzo stava per sorpassarli senza vederli, quando Riolu richiamò la sua attenzione tirandogli un lembo dei jeans.
«Ehi, Riolu!» fece, piegandosi. «Dov’è Minerva?»
«Alza lo sguardo.» gli fece lei.
«Oh, eccoti, non vi avevo visti.»
«L’avevamo notato. E noto anche che non riesci a smettere di sorridere. Deduco che l’appuntamento sia andato bene.»
«Benissimo! È bello, è intelligente, è fantastico!» fece Kai, esternando la sua felicità.
«Allora vi rivedrete?» gli chiese Minerva, curiosa, anche se intuiva già la risposta.
«Fra tre giorni, al parco qui vicino» le rispose lui, sempre più felice. «Piuttosto, hai visto Percy e Deucalion? Magari riusciamo a tornare a casa sua senza che si accorga di niente.»
«No, non li ho visti, ma ho chiesto un po’ in giro. Percy è stato visto uscire da qui poco più di un’ora fa, Deucalion invece dovrebbe essere nel suo studio da questa mattina.»
«Ottimo, allora torniamo a casa in fretta.» propose il ragazzo.
Riolu, intanto, era presissimo dal basamento di un bassorilievo lì vicino, che aveva attirato la sua curiosità, e non prestava la minima attenzione a quello che dicevano Kai e Minerva.
«D’accordo, muoviamoci. Vieni, Riolu.» rispose la ragazza, facendo cenno al Pokémon di seguirli, mentre si tuffavano tra tutte le persone che giravano nei corridoi.

Ora che lo studio era finalmente in ordine, Deucalion si stava dedicando ad alcune scartoffie che recavano il sigillo dell’Università di Aeteria. Sembravano essere particolarmente importanti.
Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti.»
«Ciao, Deucalion.» fece Matilde, entrando nella stanza. «Hai già messo a posto, vedo.»
Il professore smise di esaminare i fogli e alzò lo sguardo verso la donna.
«Merito di Percy, mi ha aiutato lui.»
«Gli vuoi davvero molto bene. Ne parli ogni volta come se fosse davvero tuo figlio.»
«Già, sai com’è andata.» rispose Deucalion, accennando un piccolo sorriso. «A proposito, lo hai visto, per caso?»
«L’ho visto uscire dall’Università insieme ad una ragazza, un po’ prima delle dieci.»
Deucalion aveva più o meno intuito cosa fosse successo. «Una ragazza con i capelli rossi e lisci?» le chiese.
«Esatto, la conosci?» fece Matilde, curiosa.
«Più o meno. È una studentessa che segue le mie lezioni, deve laurearsi a breve.»
«Percy la aiuta con la tesi?»
«Già. E credo che lei gli piaccia, ultimamente me ne ha parlato spesso.» rispose Deucalion, con uno sguardo furbo negli occhi.
«Non sta bene farsi gli affari degli altri, lo sai.» lo rimproverò Matilde, dolcemente.
«Io spero solo che lo aiuti ad essere più tranquillo. Ultimamente è in ansia per la sorte del suo amico.»
«Pensa che Kai sia quel semidio, vero?» disse Matilde, con un’ombra che le passava sul viso.
«Già. E non posso dargli torto, quel ragazzo è più potente di chiunque io abbia mai incontrato in vita mia.»
«Potrebbe sempre non essere lui...»
Il silenzio calò nella stanza.
«Vorrei tanto crederci anch’io, Matilde.» aggiunse Deucalion, tristemente.

Percy e Rodia erano nudi nel letto, coperti soltanto da una coperta leggera e un lenzuolo, esausti. Tutta l’energia che avevano fino a pochi minuti fa li aveva abbandonati di colpo. La ragazza aveva la testa poggiata sul petto di Percy, che guardava il soffitto con sguardo assente, mentre con la mano destra sfiorava la schiena della rossa, disegnando delicatamente dei ghirigori sulla sua candida pelle olivastra.
Si sentiva a malapena il respiro di entrambi, ora che la passione tra i due si era calmata.
Rodia alzò la testa dal petto del ragazzo, facendo risplendere i suoi capelli rossi. «È stato bellissimo.» disse, guardandolo negli occhi.
«Ti è piaciuto?»
«Moltissimo.» rispose, e poi lo baciò delicatamente, per alcuni secondi.
«Anche tu mi piaci.» replicò Percy dopo il bacio, sorridendo.
I due ragazzi si sentivano completamente realizzati, illuminati dalla luce del sole che penetrava dal balcone, in pace con tutto, quando un urlo interruppe il perfetto stato di cose che si era creato.
«Rodia, è pronto il pranzo!» gridò Persefone dalla cucina, per farsi sentire. Decisamente inopportuno, in un momento del genere.
A Rodia mancò improvvisamente un battito. Probabilmente la sua coinquilina si era dimenticata di quello che stava succedendo, come già aveva fatto altre volte. Infatti, non era raro che andasse ad aprire la porta di casa mentre era in mutande o che facesse bruciare il caffè perché, nel mentre, si era messa a studiare.
«Forse è meglio che me ne vada.» suggerì Percy.
«Tranquillo, non è niente, Persefone combina di peggio. Puoi restare, se ti va.» rispose la rossa, ora che si era resa conto di cosa stesse succedendo.
«Sicura? Non è imbarazzante?»
«Non preoccuparti, mangia qualcosa con noi.» rispose, poco prima di baciarlo di nuovo.
«D’accordo, allora, rimango qui con te.» disse il biondo, sorridendo. «Però dovresti farmi vestire.» aggiunse poi.
«Devi proprio?» fece Rodia, in tono piagnucoloso.
«Non vorrai che anche Persefone mi veda nudo.» replicò lui, divertito.
«No, in effetti no.» rispose la rossa, alzandosi e lasciando libero il petto di Percy. Iniziò a rivestirsi, mentre il ragazzo continuava a rimanere sdraiato, fissandola.
«Sei bellissima.» le disse lui. Rodia lo guardò e sorrise, arrossendo leggermente. Era vero, lo sapeva anche lei, anche se non se ne vantava. Oltre ai suoi bellissimi occhi color nocciola e ai suoi capelli color rosso ramato, Rodia aveva una delicata carnagione olivastra con curve sorprendentemente sviluppate e un corpo tonico. Il viso era tondo, ma non la faceva sembrare grassa, quanto piuttosto più formosa.
Qualcuno bussò alla porta. Percy girò di scatto la testa, invece la ragazza si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a sbuffare.
«Rodia? Che diavolo stai facendo lì dentro? È mezz’ora che ti chiamo.»
Di nuovo Persefone. Era davvero imbranata, a volte.
«Arriviamo subito!» rispose la rossa, urlando. Poi si rivolse a Percy: «Credo proprio che dovresti rivestirti.» gli fece, lanciandogli i suoi boxer neri.
«In effetti questi potrebbero servirmi.» fece lui, prendendoli al volo. Si alzò in piedi e si avvicinò alla ragazza, ancora nudo. «Anche se non in questa stanza.» aggiunse, mentre si faceva di nuovo strada in lui la prepotente voglia di esprimere la sua energia fisica. Percy era conosciuto in Università come il ragazzo che aiutava tutti con gentilezza, quello a cui potevi sempre chiedere un favore, ma non era soltanto questo a farlo apparire irresistibile agli occhi di Rodia e di molte altre ragazze. Era un bel ragazzo, alto, muscoloso, con una corporatura slanciata e un paio di stupendi occhi di un azzurro limpido come l’acqua di un torrente di montagna. Irraggiungibile per molte, poche altre sapevano invece che era anche molto bravo a letto.
Rodia poggiò un dito sui suoi addominali, con fare sensuale, e lo fece scendere lentamente, arrivando a toccare la virilità del ragazzo. «In questa stanza no, in effetti» fece, guardando il suo dito. «Ma in quell’altra sì. Dai, vestiti, altrimenti Persefone è capace di entrare qui dentro.»
«Uffa, va bene.» rispose il biondo, con un’espressione da cucciolo bastonato, prima di infilarsi i boxer e il resto dei vestiti.
Quando tutti e due furono di nuovo presentabili, Rodia aprì la porta della sua stanza, ancora con i capelli leggermente scompigliati. I due ragazzi si diressero in cucina, dove la ragazza bionda stava aspettando. Rodia entrò per prima, e Persefone attaccò subito a lamentarsi: «Ti ho chiamata cento volte!» fece. Poi notò i capelli della sua coinquilina e si zittì per un attimo, un secondo prima che Percy entrasse in cucina, fermandosi sull’uscio.
«Ti dispiace se rimango anch’io a pranzo?» le chiese gentilmente. La ragazza finalmente realizzò, mentre Rodia la guardava. «Ah.» fece, arrossendo.
«Persefone? Tutto a posto?» le chiese la sua coinquilina.
«Ehm… sì, sì, certo, tutto a posto» rispose lei. «Certo che puoi rimanere! Ti piace il minestrone?» chiese, mentre si buttava verso la pentola lasciata sul piano cottura, cercando di non far vedere quanto fosse imbarazzata.
«Ma certo.» rispose Percy.

Kai e Minerva stavano uscendo dalla stazione della metropolitana davanti casa di Deucalion, dopo aver usato i soliti trucchetti. Camminavano tranquillamente, come se nulla potesse dargli preoccupazione. Kai aveva ancora un gran bel sorriso stampato in faccia, e per tutto il viaggio non aveva fatto altro che parlare a Minerva del suo appuntamento. Riolu, invece, aveva deciso che non gli andava di ascoltare tutte quelle parole, e perciò si era messo ad esaminare qualsiasi cosa attirasse la sua curiosità, anche dentro il treno.
Erano le dodici e un quarto, quasi ora di pranzo. Arrivati davanti casa, i due ragazzi si resero conto di non avere le chiavi.
«E ora come entriamo?» chiese Kai, mentre Riolu osservava una statua vicino la fine del vialetto.
«Tranquillo» rispose Minerva. «Ho lasciato una finestra aperta proprio in previsione di una cosa del genere. Dobbiamo solo arrampicarci su quell’albero.» continuò, indicando un grande abete con un ramo proteso verso una finestra.
«D’accordo, muoviamoci. Vieni, Riolu.» rispose il semidio, chiamando il suo Pokémon.
Rapidamente, i due ragazzi e Riolu si arrampicarono sul grande abete ed entrarono nella camera di Minerva.
«Ho tanto bisogno di una doccia...» fece la ragazza, scrollandosi qualche ago di dosso.
«Io invece ho tanto bisogno di mangiare qualcosa, sto morendo di fame.» replicò il ragazzo. Anche Riolu aveva fame.
«Non puoi aspettare che mi faccia la doccia?» rispose Minerva, mentre iniziava a spogliarsi.
«Uff… va bene, ma sbrigati, io e Riolu abbiamo fame.»
«Dovresti fartene una anche tu, stamattina ti sei soltanto lavato la faccia.» fece la ragazza, mentre si toglieva i pantaloni.
«Mi insaponi la schiena?» le chiese il semidio.
«Certo.» rispose lei.
«Ok, allora. Mi spoglio e arrivo, tu intanto fai riscaldare il bagno.» disse il ragazzo, mentre si toglieva il giubbotto.
«Dai, sei un grande e potente semidio. E dopo tutte le docce gelate che Henrietta ti ha fatto all’Ilitia, hai ancora paura di trovare il bagno freddo?» lo canzonò Minerva.
«Lo sai che sono freddoloso...» rispose, mentre si toglieva la maglietta, mostrando il suo fisico asciutto. Minerva, intanto, era già in mutande e reggiseno e aveva alzato il riscaldamento nel bagno.
Kai si tolse i pantaloni e li buttò sul letto della sua amica, senza curarsi troppo di poggiarli delicatamente per non farli stropicciare.
«Riolu, ci facciamo una doccia e dopo mangiamo qualcosa, ok? Tu fai il bravo.» fece il ragazzo al Pokémon. Riolu, appena intuì che si stava parlando di cibo, sorrise e si mise seduto buono sul letto, adagiato sul mucchio di vestiti del suo amico.
Kai si sfilò le mutande, aprì la porta ed entrò nel bagno, mentre Minerva, nuda anche lei, stava già entrando nella doccia. Erano abituati a fare la doccia insieme o anche a stare nudi uno di fronte all’altra, come quando due fratellini fanno il bagno in mare senza costume. Il semidio e la sua amica, pur non avendo sangue in comune, avevano sviluppato fin da piccoli una specie di legame a doppio filo, come quello che si instaura tra due gemelli. In effetti, avevano la stessa età, entrambi sedici anni, e in tutto questo tempo, Kai era stato l’unico a vedere Minerva nuda. Lo stesso non si poteva dire per il ragazzo, date tutte le sue avventure. Una volta ci aveva perfino provato con Percy, durante una delle tante fughe dall’orfanotrofio, ma l’amico gli aveva prontamente dato il due di picche, facendogli capire che non avevano gli stessi gusti.
«Credo che dovrei iniziare a fare qualche esercizio.» disse il ragazzo, mentre si insaponava.
«Lo hai detto ogni volta che hai conosciuto un ragazzo.» rispose Minerva.
«Ma sento che con Orione è diverso.» gli rispose Kai, mentre iniziava ad immaginarselo senza vestiti.
«Secondo me sei troppo preso. Non hai i bicipiti degli attori in TV, ma hai comunque un bel fisico.» fece in risposta la ragazza. «E non farti venire erezioni mentre siamo nella doccia.» aggiunse, vedendo che Kai era un po’ troppo preso dall’argomento.
«Come se fosse la prima volta che succede. E poi sei mia sorella.»
«Girati che ti insapono la schiena, dai.» fece la bionda, come se la risposta del semidio fosse la cosa più normale del mondo.
Kai iniziò a farsi lo shampoo, intanto.
«Comunque, quando stamattina ho visto Percy, era in compagnia di una ragazza.»
«Davvero? Secondo te dove stavano andando?»
Minerva si bloccò per un secondo, in una sorta di trance. Kai però non notò nulla, perché la ragazza continuava ad insaponargli la schiena, e anche perché era abbastanza preso dal non farsi andare lo shampoo negli occhi.
«A casa sua.» rispose la ragazza, passato il momento di trance. Un altro di quei momenti. Minerva aveva visto una scena molto nitida: Percy e Rodia da soli, nella stanza della rossa, nudi sul letto.
Ora che aveva scoperto che Kai era un semidio, ricordò di aver letto, molto tempo fa, della dea della Sapienza, la divinità protettrice di Athena. Oltre ad essere, secondo antichi poeti e sapienti, la divinità delle arti femminili, il suo potere più grande era sapere tutto ciò che accadeva nel passato e nel presente, in qualsiasi parte del mondo. Si diceva che avesse generato alcuni figli, infusi del suo potere: strateghi ricordati in eterno, grandi condottieri, ma anche sapienti e studiosi famosi.
E c’era un particolare che l’aveva colpita in tutti i dipinti che la ritraevano: i suoi occhi cerulei, dalle iridi bianche, che sembravano contenere tutto il sapere del mondo, incorniciati da uno sguardo che nascondeva sempre una punta di malinconia, come se fosse venuta a conoscenza di qualcosa di talmente terribile da sconvolgere persino l’eterna pace di cui godevano le divinità.
«Credi che Percy ci stesse provando?» le chiese Kai, insinuandosi in quell’attimo di riflessione. Minerva si ridestò come da un sogno. «Credo di sì» rispose. «Ricordi quella ragazza con i capelli rossi di cui ci aveva parlato un po’ di tempo fa?»
«Uhm… mi sembra di sì. Come si chiamava? Rossa?»
«Rodia. Comunque, credo proprio si tratti di lei.»
«Quindi pensi che Percy e questa ragazza abbiano...»
«Fatto sesso?» continuò la frase Minerva. «Sì, penso proprio di sì.»
«Percy ha imparato bene.» fece il semidio, ridacchiando, mentre si risciacquava i capelli.
«Non fare lo sbruffone, Kai.» lo ammonì la ragazza. «E fatti passare quell’erezione, ora tocca a te insaponarmi la schiena.»
«Va bene.» rispose Kai, ridacchiando.

Deucalion e Matilde erano appena entrati in casa, quando il professore ricevette un messaggio sul suo cellulare, da parte di Percy.

Ho un impegno e non tornerò per pranzo.
Tu e gli altri non aspettatemi, tornerò a casa con i mezzi.

Deucalion immaginò subito che l’impegno di Percy avesse i capelli rossi.
«Deucalion, mi metto a preparare il pranzo.» gli disse Matilde.
«Togli la porzione di Percy, non torna a mangiare.»
«Ha avuto qualche problema?» gli chiese la donna.
«Non lo definirei proprio un problema.» rispose il professore, ridendo. Matilde afferrò il senso del discorso. «D’accordo, allora tolgo la sua porzione. Ti chiamo quando è pronto.»
«Va bene, allora io salgo su da Kai e Minerva.» disse il professore, iniziando ad incamminarsi su per le scale.
Arrivato nella stanza di Minerva, la più vicina alla scalinata, Deucalion vide soltanto Riolu che aspettava seduto sul letto. «Riolu, dove sono Kai e Minerva?» gli chiese. Il piccolo Pokémon indicò la porta del bagno con una zampa. «In bagno?» chiese l’uomo, girandosi in quella direzione. Riolu guaì per confermarlo, poco prima che la porta si aprisse, mostrando un Kai nudo che si asciugava i capelli con un asciugamano.
«Ah, ci voleva davvero.» fece, soddisfatto, prima di rendersi conto della presenza di Deucalion. Si portò subito l’asciugamano sulle parti basse, per coprirsi. Non era troppo abituato a farsi vedere nudo da qualcuno con cui non aveva fatto sesso. «Ah, Deucalion, sei già tornato?» fece, leggermente imbarazzato.
«Già. Minerva dov’è?» chiese l’uomo.
«Ancora in bagno, si sta asciugando i capelli.»
«Avete fatto la doccia… insieme?»
«Ehm… sì, che c’è di strano?» gli chiese il ragazzo. In effetti, non era troppo normale che un ragazzo e una ragazza si facessero la doccia insieme, anche se non per i due ragazzi. Deucalion rimase un attimo zitto, prima di ricordarsi dell’orientamento sessuale di Kai. «Oh… nulla, certo.» si limitò a dire. «Be’, quando avete finito di asciugarvi, nell’armadio di ognuno ci sono dei vestiti puliti. Tra un po’ il pranzo è pronto.»
«Va bene, grazie.» lo ringraziò Kai, ancora un po’ imbarazzato. Deucalion uscì dalla stanza, e il semidio ritornò in bagno, chiudendo la porta dietro di lui. «Ho appena fatto una figura di merda.» disse, rivolto a Minerva, mentre la ragazza si aggiustava un turbante fatto con un asciugamano.
«Deucalion ti ha visto nudo?»
«Ehm… già.»
«E allora? Non è neanche la prima volta che ti succede.»
«Sì, ma Deucalion… ha dieci anni più di me, dai! E poi ti piace.»
Minerva si girò di scatto verso il suo amico. «Lui non mi piace!» disse prontamente.
«Come no.» rispose il semidio. «Infatti quando eravamo in Università lo guardavi solo perché conosceva la strada, vero? Cos’è, avevi paura di perderti?» la canzonò poi, giocherellando con l’asciugamano che aveva in mano, mentre era ancora nudo.
«Kai…» fece Minerva, assumendo un’espressione inquietante. «Stanotte ti uccido nel sonno.»

Orione aveva finito le lezioni del mattino, e stava uscendo dall’aula con alcuni suoi amici, diretti verso il parco lì vicino per consumare il pranzo. Stava ridendo e scherzando su quanto alcuni professori fossero davvero incapaci a spiegare, quando gli arrivò un SMS sul cellulare.

Vieni in aula magna, ti devo parlare.
- A

«Ehi, Orione, con chi parli?» gli chiese un ragazzo con un cespuglio in testa. «Forse con quel ragazzo con cui eri stamattina?»
«Dai, Frederick, smettila.» lo ammonì una ragazza con un caschetto biondo.
«No, è che… Talìa, ti dispiace portare anche il mio pranzo? Vi raggiungo tra poco al parco.» rispose il ragazzo.
«Certo, dammi pure.» gli rispose Talìa. «Ma tu dove vai?»
«Torno subito, devo soltanto parlare con una persona.» fece Orione, incamminandosi verso l’aula magna. Appena girato l’angolo, però, si fermò a guardare lo schermo del cellulare, pensieroso.
Gli tornò in mente il libro che aveva letto a Kai. La storia di Antigone, l’eroina tebana che aveva affascinato intere generazioni di giovani e di pensatori, così fedele verso il suo defunto fratello da non accettare le imposizioni di un tiranno.
Orione rispose alla conversazione di prima:

Ora non posso, non cercarmi.

E si diresse verso i suoi amici, che erano arrivati soltanto all’ingresso dell’Università.
«Ehi, hai già fatto?» gli chiese Talìa.
«Per la verità no, mi sono ricordato che oggi quella persona non è qui.» rispose. «Dai, andiamo a mangiare, ho fame.»
Si incamminarono verso il parco, mentre Orione ancora pensava se il suo primo atto di ribellione fosse stato giusto o meno.
 
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Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo VII - Balla con i lupi
Picco Aeternitas, 3750 a.C.

Dodici figure vestite di bianco e oro erano riunite in una grande sala circolare. Ognuno era seduto su un trono splendente, mentre grandi bracieri gettavano una lugubre luce.
Una figura con una folta barba nera e una saetta in mano prese la parola, mentre la corona di platino massiccio che indossava luccicava: «Dunque, figlia mia, rivelaci perché hai convocato il concilio degli dei con così tanta fretta.» disse, rivolgendosi ad una giovane donna alla sua destra. Quella si alzò in piedi e si posizionò nel mezzo della sala, così che tutti potessero ascoltarla.
«Padre» esordì, facendo scintillare la sua armatura d’argento. «Vi ho convocati perché ho avuto delle visioni. Il mondo che noi stessi abbiamo creato è in pericolo.» proseguì, fissando il sovrano degli dei con i suoi occhi cerulei.
«Cosa intendi dire, sorella?» chiese una figura femminile seduta su un trono d’argento splendente come la luna crescente, adornato da frecce, d’argento anch’esse. Appariva preoccupata, e un’ombra le era calata sulle iridi violette.
«Il mio potere mi consente di conoscere tutto ciò che accade nel presente, ovunque io guardi. E oggi ho visto qualcosa che mi ha profondamente turbata.» rispose la giovane donna in armatura d’argento.
«Che cosa hai visto, dunque, figlia mia?» le chiese il padre degli dei, dagli eterei occhi azzurri.
«La terra, padre, si ribellerà. Non oggi, non tra cento anni, non tra mille, ma quando giungerà il momento la Madre Terra, la dea primordiale, si desterà con furia dal suo lungo sonno. Troppo sangue è stato versato dagli uomini, e la grande dea non sopporterà altri affronti come questo.»
«Ma sorella» la interruppe un giovane uomo muscoloso, con degli occhi rossi come il sangue. «Cosa vuoi che facciamo? Noi dei non ci intromettiamo nelle faccende degli uomini, lo sai bene.» disse, facendo brillare la gemma rossa incastonata nel suo elmo di ferro.
«È vero, non ci è concesso influenzare le azioni umane in maniera diretta.» gli diede ragione una bellissima donna seduta di fianco a lui. Indossava un diadema di oro bianco, sui cui era incastonata una vistosa gemma rossa. Le sue iridi, di un rosa intenso, guardavano intensamente la dea della Sapienza.
«Non serve che vi ricordi della guerra contro i Giganti che combattemmo moltissimi anni fa. In quell’occasione, un eroe mortale ci aiutò, e vincemmo solo grazie a lui.» rispose la dea. Il silenzio calò nella grande sala in cui gli dei erano riuniti.
«Stai proponendo quindi di ricorrere di nuovo all’aiuto dei mortali?» le chiese una donna dalle vesti lucenti e dai lunghi capelli neri, leggermente mossi, seduta su un trono di platino alla sinistra del dio dei fulmini. Aveva una punta di disprezzo nella voce.
«Temo che anche questa volta sia necessario, sorella mia» rispose un uomo con degli occhi color verde acqua, seduto su un trono di smeraldo. Indossava una corona d’oro tempestata di zaffiri su una folta chioma di un blu abissale, e aveva vistosi tatuaggi rossi su entrambe le braccia. «Tutti qui siamo a conoscenza della tua avversione per i semidei, ma restano il nostro unico mezzo per modificare le vicende degli uomini.»
Il sovrano degli dei si alzò dal suo trono dorato, brandendo la sua saetta. Poi si rivolse alla regina del cielo: «Moglie mia, questa volta dovrai decidere razionalmente. Già durante la guerra contro i Giganti abbiamo rischiato che il mondo venisse distrutto.»
«Non lasciarti dominare dall’odio e dalla vendetta. Non lasciare che corrompano la tua natura divina.» le fece la Sapienza, fissandola intensamente.
La sovrana degli dei assunse un’espressione pensosa. «Perché noi creature divine dovremmo preoccuparci di quei fragili essere mortali?» fece, stringendo gli occhi.
«Mia regina, ascolta» le rispose un ragazzo dagli occhi e dai capelli dorati come il sole. «Gli uomini non saranno immortali ed eterni come noi, ma loro stessi ci mantengono forti con le loro preghiere e i loro sacrifici. Quando, prima ancora, affrontammo i Titani, essi vennero sconfitti e gettati nell’oscurità proprio perché gli esseri umani smisero, poco per volta, di adorarli e decisero di seguire noi.»
«Non oserai forse dire che gli dei dipendono dagli uomini?» gli fece la sovrana del cielo, assumendo un’espressione irosa.
«Sorella, ti prego di riflettere bene» si intromise nella discussione il dio dei mari. «Tutti noi abbiamo generato degli eroi mortali perché l’umanità andasse in una direzione migliore, grazie alla loro forza e al loro potere. I semidei ci occorrono per arginare questo nuovo pericolo, quando la Madre Terra si ridesterà.»
Il silenzio calò nella dimora divina di Athena. La regina degli dei si alzò dal suo trono di platino e guardò gli altri dei, uno per uno. «Non intendo partecipare al voto.» fece, e uscì dalla sala, lasciando vuoto il suo posto. Il sovrano del cielo, sedutosi di nuovo sul suo trono, prese la parola: «Votate, fratelli, sorelle e figli miei. Ma ricordate, da questa votazione dipende il destino di Athena.»

Aeteria, oggi

«Ottimo pranzo, Matilde.» fece Deucalion alla donna, dopo che ebbero finito di mangiare.
«Grazie, Deucalion» rispose. «E a te è piaciuto, Kai?»
«Il miglior spezzatino della mia vita, era tutto buonissimo.» rispose il semidio, soddisfatto, mentre accarezzava Riolu. Anche il Pokémon aveva lo stomaco pieno, grazie ai croccantini che aveva mangiato.
«È ora che anche i miei Pokémon mangino.» fece Deucalion, mettendo mano alla sua cintura. Kai non aveva mai fatto caso alle Poké Ball attaccate alla cintura del professore. In effetti, non aveva avuto molto tempo per parlarci, negli ultimi due giorni. «Hai dei Pokémon anche tu?» gli chiese, curioso.
«Certo, sono un Allenatore da più di quindici anni.» rispose.
«Davvero? Hai viaggiato anche in altre regioni?» gli chiese Minerva.
«Certo, sono stato a Kanto, Sinnoh, Hoenn, Unima e Johto, oltre che a Kalos. Ho viaggiato molto per studiare i miti e la storia delle altre regioni.»
«In effetti hai girato il mondo. Io e Minerva, invece, conosciamo soltanto Aeteria.»
«Non curartene, Kai, siete entrambi ancora giovani, avete tempo per vedere il mondo» fece il professore, stando bene attento a non menzionare la condizione in cui vivevano fino a pochi giorni fa. «Venite con me, adesso, vi presento i miei Pokémon.» aggiunse poi, alzandosi e iniziando ad incamminarsi verso il giardino.
Una volta giunti fuori, Deucalion estrasse tutte le sue Poké Ball dalla cintura.
«Andiamo, venite fuori.» disse, lanciandole in aria. Sei Pokémon apparvero, in un turbine di scintille, davanti agli occhi di Kai, Minerva e Riolu. Un grande Charizard, un Alakazam con i suoi cucchiai, un elegante Glaceon dal pelo lucente, un Flygon dall’aspetto regale, una tenera Lopunny e un bellissimo Serperior. Tutti guardavano Deucalion, come se aspettassero qualcosa, mentre Alakazam faceva ricorso ai suoi poteri psichici, facendo apparire delle ciotole ricolme di croccantini per Pokémon.
Una volta che ebbero mangiato anche loro, il Glaceon di Deucalion si avvicinò a Riolu e a Kai, annusandoli curioso, mentre Deucalion parlava con Minerva.
«Hai dei Pokémon davvero bellissimi. E sono anche molto curati.» gli fece la ragazza, notando il pelo e le scaglie di ognuno.
«Ti ringrazio, ma non sono gli unici che ho. Ne ho catturati molti altri durante i miei viaggi.» rispose. Flygon e Serperior, intanto, si erano sistemati al sole, mentre Alakazam meditava in disparte. Charizard e Lopunny, invece, si erano avvicinati al loro Allenatore, curiosi di sapere chi fosse quella nuova figura con cui parlava.
Glaceon e Riolu fecero subito amicizia, e si misero a rincorrersi nel giardino, felici.
«Hai mai incontrato dei Pokémon leggendari?» gli chiese Kai.
«Certo. Ho anche provato a catturarne alcuni, ma non ci sono mai riuscito.»
«Come mai?» fece il ragazzo.
«Ci sono persone che credono che basti lanciare una Poké Ball per catturare qualsiasi Pokémon. Per alcuni è così, ma i Pokémon leggendari sono diversi.»
«In cosa?»
«Sono infusi di potere. Decidono loro se farsi catturare, e da chi. E io non sono mai stato tra queste persone, purtroppo.» rispose. Deucalion sapeva bene quale fosse la verità. I Pokémon leggendari erano troppo potenti per accompagnarsi ad Allenatori che non reputassero degni.
«Ma certo… sono divinità.» fece Minerva, dopo aver ascoltato tutto quel discorso. Deucalion la guardò, e un’altra molla gli scattò nel cervello, facendogli sorgere un dubbio.
«Esatto…» rispose. «Sai davvero molte cose, Minerva.»
La ragazza si riebbe dal suo momento di trance. Ancora uno di quei momenti. Le sembrava che stessero diventando più frequenti.
«Ho… ho letto molti libri su questi argomenti.»
«Capisco» fece il professore. «Scusatemi, ma devo mandare un messaggio urgentemente. Non disturbate Serperior, odia essere interrotto mentre si crogiola al sole.» disse, rientrando in casa. Non appena oltrepassò il portone, prese il cellulare e scrisse a Percy.

Torna a casa appena puoi, devo parlarti urgentemente.
Matilde uscì dalla cucina proprio in quel momento. «È successo qualcosa?» chiese, vedendo Deucalion leggermente in agitazione.
«Non ne sono ancora sicuro, ma credo che gli dei si siano dati più da fare di quanto pensassi, ultimamente.» rispose.
Matilde non aveva capito bene cosa significasse quella frase. «Che cosa intendi dire?» gli chiese. Ma Deucalion non fece in tempo a risponderle. La dea della Sapienza era comparsa sull’uscio della sua abitazione, ma soltanto lui riusciva a vederla. Matilde, davanti a lui, e Kai, Minerva e i suoi Pokémon nel giardino erano immobili, come cristallizzati in un eterno attimo della loro esistenza. La dea gli passò di fianco, rivolgendosi verso la grande statua che adornava l’ingresso della casa del Lupo Bianco. «Questa statua...» mormorò, fissandola con i suoi occhi cerulei. «È il simbolo del vostro ordine, l’ordine che io stessa ho creato millenni fa.»
Deucalion era rimasto sorpreso. Non si aspettava una così improvvisa apparizione. Si girò verso la divinità protettrice di Athena, facendo un piccolo inchino soltanto con la testa.
«Madre della Sapienza, io ti saluto» le fece con reverenza. «Perché una visita così improvvisa nel mondo di noi mortali?»
«Non c’è più tempo da perdere» rispose la dea, girandosi verso di lui e tagliando corto. «Il risveglio della Madre Terra si fa sempre più imminente.»
«Lo so, mia dea.»
«È necessario che non si indugi oltre. Procedi ora, vi aiuterò anch’io.» rispose la dea, mentre la sua figura si dissolveva e il tempo riprendeva a scorrere normalmente. Deucalion sapeva cosa la dea intendesse dire. Kai e Minerva dovevano essere liberi, liberi dal loro passato di dolore. Dovevano spezzare le catene che li legavano al loro incubo d’infanzia, l’orfanotrofio.

Università degli Studi di Taurinia, oggi

Nella grande aula magna dell’Università, centinaia di studenti erano riuniti ad ascoltare una donna vestita di nero. «La mitologia della vostra regione è sicuramente una delle più ricche e affascinanti che abbia mai avuto l’onore di studiare» diceva, poggiandosi alla grande cattedra alle sue spalle. «Ed è perfino più complessa di quella della regione di Sinnoh.»
Gli studenti stavano ad ascoltarla incantati. Non era raro che la facoltà di antropologia invitasse personaggi importanti a tenere delle lezioni, ma molti degli studenti si sentivano davvero onorati ad ascoltare una conferenza tenuta da una studiosa come lei.
«Ho studiato approfonditamente gran parte dei miti che vengono tramandati, ma credo che nessuno riuscirà mai a far luce completamente sul vostro immenso patrimonio mitologico.»
Uno studente alzò la mano per fare una domanda: «Perché dice così?»
«Osservate il proiettore» rispose la donna, girandosi verso la lavagna multimediale alle sue spalle. «A sinistra è riportata la più antica testimonianza scritta ritrovata nella regione di Sinnoh» fece, indicando un bassorilievo su cui erano scolpite delle figure e delle scritte in una lingua antica. «Come potete vedere, tratta di mitologia, e risale a circa cinquemila anni fa.»
Anche il rettore dell’Università di Taurinia si era fatto incantare dall’argomento, e osservava affascinato la relatrice. «Tuttavia, l’oggetto riportato alla vostra destra, ritrovato qui ad Athena, sembra essere più antico di almeno cinquemila anni, come si è potuto dedurre dalle datazioni radiometriche.» continuò la donna.
«Di cosa si tratta, professoressa?» chiese una studentessa in prima fila.
«Ho ragione di credere che si tratti della prima raccolta di leggi redatta nel nostro mondo.» disse, indicando la fotografia di una pergamena quasi a brandelli. «Ma la cosa interessante in sé non è il contenuto della testimonianza, ma il materiale su cui essa è stata redatta. Osservatelo bene, non è stoffa grezza né pietra, ma pregiata pergamena.»
«Ma un materiale di quel tipo è stato utilizzato per la prima volta soltanto migliaia di anni dopo.» obiettò una ragazza, dalla seconda fila.
«Esattamente» rispose la relatrice. «Questo ci fa pensare che una civiltà particolarmente progredita abbia potuto abitare questa regione perfino prima che i primi popoli si stanziassero a Sinnoh. Ed è proprio per questo che credo non riusciremo mai a recuperare il vostro intero patrimonio mitologico. Gli antichi Athenìati erano sì un popolo progredito, ma nemmeno loro sono stati in grado di trovare un materiale talmente resistente da resistere all’usura dei millenni. Di conseguenza, i miti ancestrali sono andati irrimediabilmente perduti, o sono stati talmente modificati da risultare totalmente diversi da come dovevano essere in origine.» concluse, con una punta di malinconia nella voce. «Bisognerebbe avere una macchina del tempo per sapere realmente tutto.» aggiunse poi, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi. L’uditorio era rimasto sbalordito dalla conoscenza dimostrata dalla donna.
«Bene, signori, non intendo annoiarvi oltre» fece la relatrice, controllando l’orologio e accorgendosi di quanto fosse terribilmente tardi. «La conferenza di questa settimana termina qui.»
«Molto bene, dunque» si intromise il rettore. «Le rinnovo le mie congratulazioni e la ringrazio di nuovo per aver accettato di intervenire in questo ciclo di conferenze, signorina Camilla.»
«Sono io a doverla ringraziare, signor rettore. Ultimamente a Sinnoh mi annoiavo terribilmente.» rispose lei, sorridendo, e poi si mise a raccogliere i suoi appunti.
«Lasci che l’aiuti.»
«Non si preoccupi, non è necessario» rispose la donna. «Mi dica piuttosto dove posso comprare un biglietto per i mezzi pubblici. Temo di aver dimenticato di farlo, stamattina.»
«Ma certo. Nel cortile dell’Università c’è una piccola edicola, può acquistarlo lì.»
«La ringrazio di nuovo» fece Camilla, una volta raccolti tutti i suoi appunti. «Le auguro una buona giornata, signor rettore.»
«Anche a lei, signorina. Alla settimana prossima, dunque.»
«Sarà un piacere.» rispose lei, poco prima di imboccare l’uscita dell’aula magna e dirigersi verso l’esterno.
Attraversato un enorme corridoio gremito di studenti e docenti, Camilla arrivò tranquillamente nel cortile. Fece soltanto pochi passi, prima di bloccarsi all’improvviso. I fogli che aveva le scivolarono dalle mani e finirono a terra, svolazzando, mentre delle immagini le passavano davanti agli occhi. Vide un uomo fluttuare, avvolto da un’aura di potere, nel cielo di Aeteria. Camilla non riusciva a inquadrare bene il suo volto, né a capire esattamente cosa stesse dicendo, ma aveva uno sguardo folle negli occhi. Di una cosa era sicura: quell’uomo non aveva in mente niente di buono. Poi attorno a lei tutto iniziò a rallentare, come se l’intera città fosse stata immersa all’improvviso nella gelatina, come se il tempo si stesse condensando. Una figura ammantata di luce le poggiò una mano sulla spalla sinistra. «Figlia mia, fatti portatrice della mia profezia all’umanità» le disse, mentre la donna non riusciva a voltarsi. Il dio del Sole le sussurrò alcune parole all’orecchio, e poi si dissolse in un lampo di luce, tornando nella sua dimora celeste. Camilla si riebbe dal suo stato di trance un attimo dopo, ma qualcuno si era già accorto del suo blocco.
«Professoressa, tutto bene?» le chiese un ragazzo con i capelli castani, mentre un altro raccoglieva i fogli che le erano caduti.
«Cosa?» fece Camilla, per tutta risposta.
«Si sente bene? Sembrava in trance, per un secondo.» rispose il ragazzo.
«Non… non preoccuparti, sto bene.»
«I suoi appunti, professoressa, le sono caduti.» fece l’altro ragazzo, porgendole i suoi fogli.
«Le prendiamo qualcosa da bere al bar, venga con noi.»
«Grazie, ma non è necessario, è stato soltanto un capogiro» rispose la donna, cercando di riprendere la sua aria tranquilla e di inventarsi una scusa qualsiasi. «Vi ringrazio per esservi preoccupati, ragazzi, ma ora ho molta fretta.» disse, sorridendo.
«Ah… si figuri...» fece uno dei due, leggermente stranito.
Camilla riprese subito le forze e si incamminò verso la piccola edicola sotto il portico del cortile.
«Un biglietto per i mezzi pubblici, grazie.» disse distrattamente all’edicolante, mentre aveva la testa da tutt’altra parte.
«Vuole un singolo o un giornaliero?» le chiese quello, mentre inforcava gli occhiali. Camilla non rispose.
«Signorina?»
«Come?» fece quella, accorgendosi che qualcuno le stava parlando.
«Le serve un biglietto singolo o un giornaliero?» le richiese l’uomo dentro il banco dell’edicola.
«Ah, un singolo, grazie.» rispose.
Dopo aver comprato il biglietto, Camilla si diresse alla prima fermata del tram disponibile, riflettendo con un’espressione cupa su quello che le era appena capitato. «Devo assolutamente contattare Deucalion.» disse poi, mentre le sue parole venivano coperte dall’arrivo della vettura.

Aeteria, oggi

Alle tre del pomeriggio, il sole autunnale splendeva su Aeteria, illuminando di una luce ramata ogni anfratto. Nuvole sparse, cariche di pioggia, minacciavano però la tranquillità della giornata, oscurando di tanto in tanto il dorato astro.
Deucalion stava guidando verso l’orfanotrofio, e a Kai sembrava di essere su una pista di Formula Uno. A quanto pare, Minerva non era l’unica che considerava un po’ troppo adrenalinica la guida del professore, e i dossi presi a settanta all’ora non miglioravano la situazione, specialmente sui sedili posteriori.
«Deucalion, quanto manca?» chiese Kai, iniziando a sentire una leggera sensazione di nausea per tutti i sobbalzi. Anche Riolu sembrava un po’ provato.
«Siamo arrivati.» rispose l’uomo, rallentando per cercare un posteggio libero.
«C’è un posto lì!» fece Minerva, indicando uno spazio libero alla sua destra. Deucalion eseguì una manovra in retromarcia, incastrandosi perfettamente tra due auto già posteggiate, il tutto con una sola mano.
«Siete pronti?» chiese ai due ragazzi. Kai guardò fuori dal finestrino e vide l’imponente edificio in cui aveva passato la sua infanzia incombere sulla strada con la sua presenza. La finestra dell’ufficio della Chateau era già stata riparata, ma avrebbe preferito vederla ancora distrutta dall’attacco di Riolu. Una sensazione di rabbia iniziò a farsi strada dentro di lui.
«Sì. Andiamo.» rispose il ragazzo, scendendo dall’auto.
Gli orfani erano nel cortile, riuniti in gruppetti. Confabulavano tra di loro di qualsiasi argomento, stando bene attenti a non farsi sentire né dagli altri gruppi né dai sorveglianti. Probabilmente, i discorsi non erano particolarmente lusinghieri riguardo al personale della struttura o agli altri ragazzi. Non appena i tre entrarono nel cortile, tutti si girarono a guardarli. Non sapevano chi fosse l’uomo che li accompagnava, ma conoscevano Kai e Minerva fin troppo bene, e non potevano fare a meno di notare i vestiti nuovi che indossavano, oltre a provare una certa invidia per questo.
Arrivarono davanti al portone dell’edificio, su cui montava la guardia Francis, il capo della sorveglianza.
«Salve» esordì Deucalion. «Vorremmo parlare con la direttrice della struttura.»
«Per quale motivo?» chiese Francis, dopo averlo squadrato da capo a piedi.
«Una richiesta di adozione.» rispose il professore. Il silenzio calò d’un tratto. Tutti i ragazzi nel cortile iniziarono a confabulare tra di loro. «Hai sentito? Vuole adottare quei due.» diceva uno.
«Loro? E perché non me, allora?» rispondeva un altro. «Che cos’hanno di speciale quelli?» disse una ragazza, lì vicino. Kai e Minerva avevano ascoltato ogni parola, ma nulla li aveva sfiorati, finché una voce prepotente non si fece strada in mezzo alle altre: «Due sfigati come voi?» sentirono. Kai si girò di scatto, immaginando chi fosse stato a dirlo. Riolu si accigliò. Vincent Ahrai guardava torvo nella loro direzione, circondato dall’immancabile coppia di gregari che gli girava sempre intorno. Jackson sembrava avere uno sguardo più cadaverico del solito, mentre Cornelia era praticamente verde d’invidia. Kai sentì una sensazione di puro odio che iniziava a farsi strada dentro di lui, avvinghiandosi al petto. Minerva iniziò a notare un cambiamento nell’espressione facciale del suo amico. «Cosa vuoi ancora, Ahrai? Non ti è bastata l’ultima lezione che ti abbiamo dato?» gli fece, stringendo gli occhi.
«Tesoro, ti ho già detto che a Vin bisogna parlare in un certo modo.» si intromise Cornelia.
«Sì, come si parla agli idioti» fece Kai, intervenendo. «Sparite, bambocci, non abbiamo tempo da perdere con voi.»
«Ehi, moccioso» rispose Ahrai. «Non mi starai mica insultando, vero?»
«Non so, idiota, a te cosa sembra?» fece il semidio, nero di rabbia.
Tutto accadde molto velocemente. Ahrai cercò di prendere Kai a pugni, ma quello fu più veloce e si piegò verso il basso, facendogli perdere l’equilibrio con un calcio nelle gambe. A quanto pare, a volte la stessa tecnica funziona più di una volta, e il bullo si ritrovò per terra senza neanche accorgersene. Kai era stato talmente veloce che neanche Riolu aveva avuto il tempo di intervenire.
Francis si rese conto della situazione e mise subito mano al manganello, ma Deucalion se ne accorse e gli bloccò subito il braccio. «Non osi toccare questi ragazzi.» fece, con uno sguardo minaccioso in volto. La scena si bloccò per un momento, con tutti gli altri orfani che guardavano impressionati, e Cornelia e Jackson che, come al solito, si occupavano di raccattare il loro capo.
«Ci annunci.» fece Deucalion, deciso, senza lasciare il braccio dell’altro.
Francis intuì che non ce l’avrebbe mai fatta contro un avversario come quello, quindi decise che non valesse la pena preoccuparsi troppo per quei disperati e lasciò perdere. «D’accordo, seguitemi.» fece, girandosi e facendogli cenno di andare con lui. Kai assunse uno sguardo trionfante e seguì Deucalion, insieme a Minerva e Riolu. Ahrai riuscì soltanto a gridare «Ehi!» mentre era ancora con il culo per terra. Il semidio si girò un po’, quanto bastava a guardarlo di sbieco con tutto l’odio di cui era capace. «Ne vuoi ancora?» disse soltanto, mentre le sue iridi brillavano ardentemente.
Ahrai, Cornelia e Jackson non proferirono una sola parola. Si limitarono ad avvertire il potere che il ragazzo emanava, un potere antico e terribile, che loro non potevano comprendere, e che li aveva terrorizzati.

Taurinia, oggi

Camilla stava provando in tutti i modi a contattare Deucalion, ma non riceveva nessuna risposta. Chiamate, messaggi, richieste di videoconferenze, nulla sembrava funzionare.
«Dai, Deucalion, rispondi.» diceva, mentre per l’ennesima volta la chiamata si chiudeva da sola. Riprovò a chiamarlo per altri dieci minuti, finché non giunse alla conclusione che, probabilmente, avrebbe fatto prima ad andare ad Aeteria. Se Deucalion non rispondeva, vuol dire che aveva per le mani qualcosa di talmente importante da fargli staccare qualsiasi strumento lo collegasse con il mondo esterno; ma quello che Camilla doveva comunicargli era troppo importante perché rischiasse di passare in secondo piano. La donna aggiustò velocemente le sue cose nella valigia, prese la borsa ed uscì come una furia dalla sua camera d’albergo, quasi dimenticandosi di fermarsi alla reception.
«Signorina, la chiave della stanza!» le fece il ragazzo dietro il bancone della hall, vedendo che Camilla stava per uscire fuori senza aver consegnato la sua chiave.
«Santo cielo, mi scusi» fece quella. «Sono costretta a lasciare la stanza prima del previsto.»
«Qualcosa non è stato di suo gradimento?» chiese il receptionist, con lo sguardo preoccupato.
«Non si preoccupi, non è colpa vostra, ho dimenticato di comunicarvi che avrei dovuto accorciare il mio soggiorno a Taurinia per motivi indipendenti dalla mia volontà.» rispose, inventando una scusa.
«Sono molto dispiaciuto che debba lasciarci così presto. Spero che la sua permanenza sia stata piacevole.»
«Senza dubbio. Tornerò senz’altro qui, se dovessi trovarmi di nuovo a Taurinia.»
«Le auguro un buon viaggio di ritorno, allora. Arrivederla e grazie per averci scelto.» fece il ragazzo, sorridendole.
«Grazie a lei.» rispose Camilla velocemente, per poi girarsi e uscire dall’albergo.
Una volta fuori, si diresse a passo spedito verso la vicina stazione ferroviaria, intenta a salire sul primo treno disponibile per Aeteria. Fortunatamente, una volta fatto il biglietto ad una delle biglietterie automatiche della linea ad alta velocità, non dovette aspettare molto per la partenza.
Dieci minuti dopo, Camilla saliva su un moderno treno magnetico, diretta verso Aeteria, la capitale della regione di Athena. La aspettava un viaggio di circa quattro ore, in cui avrebbe continuato a pensare a quello che le era successo in Università.

Aeteria, oggi

Una porta di mogano massiccio li divideva dalla loro libertà. Due orfani, due poveri ragazzi senza una famiglia, soli al mondo, avrebbero finalmente avuto una vita degna di essere vissuta. Kai e Minerva non ce la facevano davvero più a vivere in quel modo. Maltrattati ogni giorno, umiliati, avevano imparato a cavarsela da soli, ma non avevano mai conosciuto davvero l’affetto. Non quello di una famiglia, almeno. Nonostante in Percy avessero trovato una persona di cui fidarsi, quando lui non c’era sapevano di non poter contare su nessun altro se non su loro stessi, e questo distruggeva sia Kai che Minerva.
Fancis guardava in cagnesco Deucalion e i due orfani. Bussò alla porta della direttrice, e quella rispose «Avanti!».
«Buon pomeriggio, madama Chateau. C’è una richiesta di adozione da sottoporle.» disse, freddamente. La Chateau aveva seguito dalla sua finestra tutto il parapiglia che si era consumato nel cortile fino a qualche minuto prima, perciò assunse uno sguardo duro come il ghiaccio.
«Ma certo, faccia accomodare il signor Hyperion.» rispose, con la sua vocina.
«Prego, potete entrare.» fece il guardiano ai tre. Nella mente di Kai passarono talmente tanti di quei ricordi di quel luogo da non fargli comprendere perfettamente cosa stesse provando in quel momento. Deucalion entrò nello studio, seguito dai due ragazzi.
Minerva odiava quel luogo, ma stavolta non aveva nessun timore di entrarvici. Si sentiva oppressa dalle pareti della stanza, come sempre, ma stavolta non aveva paura. Aveva la strana sensazione che le cose non sarebbero andate male, per quella volta. La sua mente era calma, come se avvertisse la presenza di qualcosa o qualcuno che le infondeva coraggio e decisione. Riusciva a pensare in maniera lucida fin da subito, cosa che non le era mai riuscita tutte le altre volte che si era ritrovata in quell’ufficio.
Kai, al contrario, era agitatissimo. Non era mai stato bravo a nascondere le proprie emozioni, ma in quel particolare momento sembrava in preda a mille stimoli. Era talmente all’erta che tutto gli sembrava più vicino, più rumoroso, più in risalto. Era in preda ad una strana sensazione di ansia, che non aveva mai provato nella sua vita. Tutti i ricordi, le paure e i timori provati in sedici anni stavano riemergendo in quel momento, tutti insieme, ma erano tutti poco definiti. E questo contribuiva a farlo agitare ancora di più.
«Buon pomeriggio.» esordì Deucalion, cercando di spezzare la tensione che si era creata in quella stanza.
La Chateau non si era neanche alzata per accoglierli. Si limitava ad aspettare dietro la sua scrivania, con le mani congiunte. «Buon pomeriggio a lei, signor Hyperion.» rispose, mantenendo il suo sguardo gelido. Deucalion si aspettava un trattamento di quel genere, perciò si era preparato. Gli si leggeva in faccia uno sguardo di sfida. «Immagino che lei sia a conoscenza del motivo della mia visita.» fece, deciso.
«Ma certo, signor Hyperion. Ho qui tutta la documentazione relativa alla sua richiesta.» rispose la donna, scartabellando tra alcune pratiche impilate sulla scrivania. «Ma si sieda, la prego.» continuò, senza distogliere lo sguardo dalle scartoffie. Non aveva minimamente preso in considerazione la presenza dei due ragazzi, e questa cosa irritò Kai non poco. Nella sua mente iniziò a prendere consistenza un sentimento in particolare, oscuro e gelido, che in quel luogo era imperante: l’odio.
Deucalion si sedette su una delle poltroncine davanti la scrivania, mentre i due ragazzi restarono in piedi.
«Signor Francis, può andare.» fece la direttrice al guardiano, dentro lo studio anche lui.
«Ma madama, è sicura?» rispose quello, leggermente stranito.
«Vada.» si limitò a rispondergli la donna, alzando lo sguardo su di lui. Francis sentì un brivido freddo lungo la schiena, girò i tacchi e uscì fuori, senza dire una parola.
«Dunque, signor Hyperion, stavamo parlando della sua richiesta di adozione.» riprese la direttrice. «Se tutto fosse a posto, le basterebbe semplicemente compilare questi moduli, nel pieno rispetto della legge di Athena.»
Minerva aveva compreso perfettamente cosa intendesse la donna. In effetti, in quei giorni aveva sentito voci di due ragazzi dichiarati soggetti pericolosi dalla polizia, e aveva intuito si trattasse di loro due. La ragazza si limitò a stringere gli occhi.
La reazione di Kai, invece, fu silenziosa come quella di Minerva, ma più drastica. Negli occhi gli si disegnò un’espressione di odio puro, e iniziò a guardare la direttrice con uno sguardo duro come l’acciaio. Quello spettro nero dentro di lui iniziò a crescere, e le iridi presero a brillargli leggermente. Riolu percepì il cambiamento negativo nell’aura del suo amico, e fece un passo indietro, intimorito. Le cose iniziavano a mettersi male, ma qualcuno spezzò l’attimo bussando alla porta. Tutti si girarono a guardare, tranne Deucalion, che si limitò a fare un sorrisetto compiaciuto. Senza aspettare il permesso della direttrice, la porta si aprì, ed entrò una donna bionda, con i capelli raccolti in una coda e una ventiquattrore di pelle. Ciò che colpì tutti erano i suoi occhi chiarissimi, quasi bianchi, accompagnati da un incarnato talmente delicato e luminoso che sembrava emettere luce propria.
Riolu ebbe un brivido quando la donna gli passò accanto, e si mise a fissarla, cercando di analizzare la sua aura. Non aveva mai visto un’impronta spirituale come quella: era di un color oro intenso, molto più potente e luminosa di qualsiasi altra avesse mai osservato. Non sembrava neanche quella di un essere umano.
Minerva rimase paralizzata. Era più che sicura di aver già visto quella donna, ma non riusciva a capire dove o quando.
L’avvocatessa si diresse verso la scrivania della Chateau con fare deciso, e si sedette sull’altra poltroncina. «Buon pomeriggio, signora Chateau, sono il legale del signor Deucalion.» esordì, senza neanche aspettare che la direttrice proferisse parola. «Mi chiamo Glauka Thitanis.» fece, aprendo la sua ventiquattrore sulla scrivania. La Chateau era perplessa, e guardava la donna con occhi stupiti, mentre Deucalion continuava a sorridere e a guardare negli occhi la direttrice, con uno sguardo di fuoco.
«Bene, signora Chateau, vogliamo iniziare?» le fece il professore, visibilmente compiaciuto.
Si erano appena aperte le danze, e a condurre era Deucalion.
 
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Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo VIII - Spezzare le catene
«Molto bene, signora Chateau, credo che possiamo iniziare.» esordì l’avvocato, tirando fuori delle carte dalla sua ventiquattrore. «Dunque, la richiesta del signor Hyperion di adottare questi due ragazzi mi sembra legittima.»
Dopo un attimo di sconcerto per la mossa a sorpresa di Deucalion, la Chateau si riebbe e assunse uno sguardo duro, pronta alla sfida. «Non mi sembra proprio, signorina Tithanis.»
«E perché mai?» chiese la donna, fingendo sorpresa. «Mi sembra che i presupposti legali ci siano tutti. Il signor Hyperion ha un’occupazione stabile, un buon reddito, non ha precedenti penali e dispone di un’abitazione spaziosa e confortevole, atta al domicilio di altre due persone.» aggiunse poi, decisa. Dietro di lei, Minerva stava avendo un altro dei suoi momenti di trance. Per un momento, soltanto per un momento, non aveva visto parlare con la direttrice un’avvocatessa, ma una donna alta, vestita con un’armatura scintillante, che emanava una luce divina. In quel momento, Minerva non sapeva precisamente cosa avesse visto, e non riusciva neanche a distinguere se quella fosse una semplice allucinazione o una delle sue strane visioni.
«Tuttavia, signorina Tithanis, la legge di Athena parla chiaro. L’adozione di soggetti pericolosi non è consentita in nessun caso, neanche da parte di qualcuno in possesso di tutti questi requisiti.» ribatté la Chateau. Kai strinse gli occhi, a sentire quelle parole. Gli si leggeva in volto l’odio verso quel posto, maturato in tanti anni, e verso quella donna. “Figlia di puttana” pensò, attento a non farsi scappare di bocca parole che, in quel momento, non avrebbero aiutato la loro situazione.
Deucalion assunse un’espressione gelida, che faceva sembrare i suoi occhi rossi pervasi dalle fiamme degli Inferi. Riuscì tuttavia a mantenere una fredda compostezza e non proferì parola, fiducioso nell’operato dell’avvocato.
«Penso che non le sia ancora arrivata la notifica della polizia di Aeteria, signora Chateau, ma la qualifica di soggetti pericolosi attribuita a questi due ragazzi è stata revocata.» rispose Glauka.
«Mi scusi?»
«Ha capito bene, signora Chateau.» si intromise Deucalion, accennando un mezzo sorrisetto compiaciuto.
Kai e Minerva erano sorpresi quanto la direttrice, ma non nascosero un sospiro di sollievo.
Glauka prese un foglio dalla sua valigetta. «Ecco, può controllare» fece, porgendolo alla donna. «Questo è l’atto di notifica inviatomi dalla polizia, in quanto legale del futuro tutore dei soggetti in questione. Il Tribunali dei minorenni di Athena ne ha già ricevuto una copia.»
Sul volto di Deucalion comparve un sorriso di trionfo, mentre Kai iniziava a sperare in una vita migliore per sé, per Minerva e per Riolu.
La Chateau prese in mano il foglio, che recava molti timbri e firme, e iniziò a leggerlo. «È semplicemente impossibile.» fece, dopo qualche secondo, con gli occhi incolleriti. «Anzi, è scandaloso.»
«Prego?» intervenne Deucalion, stringendo gli occhi.
«Questa notifica deve essere stata falsificata, non c’è altra spiegazione!» rispose la donna, alzandosi in piedi e poggiando le mani sulla sua scrivania. «Questo è un insulto a me e all’istituzione che dirigo, e non sono disposta a tollerare un simile oltraggio!»
«Ora si calmi, signora Chateau» le disse Deucalion, alzandosi in piedi, statuario. «O sarò costretto a farla ragionare.» concluse, con uno sguardo gelido dei suoi occhi rossi. Riolu lesse l’aura del professore: ora era di un colore rosso, ed era diventata più irrequieta, più potente, come se fosse quella di un semidio. Al contempo, però, era diventata anche più oscura, più tetra, e questo spaventò il piccolo Pokémon. Deucalion si stava veramente arrabbiando. Kai e Minerva lo percepirono, e ne furono intimoriti.
«Lei osa minacciarmi? Esca immediatamente fuori di qui! Ora!» urlò la Chateau. Sembrava in preda ad una possessione demoniaca, tanto forte aveva urlato. Le grida sconclusionate di quella donna avevano risvegliato in Deucalion un sentimento che non provava da moltissimo tempo: la collera. Una rabbia talmente furiosa e cieca che finì per sopraffarlo completamente, facendo brillare i suoi occhi di un intenso rosso, color delle fiamme ardenti. Riolu, spaventatissimo, si nascose dietro una gamba di Kai, aggrappandosi ai suoi pantaloni, mentre Minerva e lo stesso semidio avevano fatto un passo indietro. Riuscivano a vedere un’aura infuocata che lo circondava.
Deucalion non pareva intenzionato a fermarsi, e avrebbe dato fuoco all’edificio e ucciso la Chateau, se Glauka non fosse intervenuta, resasi conto che la situazione stava degenerando. Il tempo iniziò a scorrere più lentamente, mentre soltanto lei e Deucalion si accorgevano l’uno dell’altra. Il professore respirava furiosamente, in preda alla collera più cieca, mentre la dea della Sapienza, nelle sue vere sembianze, gli si avvicinava, poggiandogli la mano d’avorio sul cuore. «Mio amato» gli disse. «Ora è il momento di calmarti.»
Deucalion la guardò con i suoi occhi ancora brillanti di collera e fiamme di sangue.
«Controlla la tua natura di emititano. Non lasciare che tuo padre ti controlli, non permetterglielo.» gli fece la dea. «Ora, chiudi gli occhi. Respira.»
Deucalion chiuse i suoi occhi infuocati, cercando di respirare più piano, sempre più piano, finché non recuperò la sua fredda calma, placando il fuoco dentro di sé. Tirò un sospiro di sollievo, e riaprì gli occhi, rivelando le sue solite iridi rosso-ambrate.
«Grazie, mia dea.» fece, fissando la scrivania davanti a sé, mentre la dea della Sapienza ritornava ad essere Glauka Tithanis, l’avvocato dell’ordinario professore di archeologia. Deucalion riprese la sua solita compostezza, e il tempo ricominciò a scorrere normalmente.
La Chateau si ritrovò in piedi, con le mani poggiate sulla scrivania, senza che ricordasse il perché fosse in quel modo. Kai, Minerva e Riolu si ritrovarono in una posizione di terrore, come se qualcosa li avesse spaventati a morte, ma non riuscivano a ricordare cosa fosse successo. Soltanto Deucalion e Glauka erano rimasti nelle loro originarie posizioni, come se nulla fosse mai accaduto.
«Signora Chateau, si sente bene?» le domandò Deucalion, ora completamente calmo.
«Cosa?» riuscì soltanto a rispondere quella, senza capire cosa fosse successo.
«Stavamo discutendo della notifica della polizia di Aeteria in merito alla revoca dello status di soggetti pericolosi ai due ragazzi che il signor Hyperion intende adottare, signora Chateau.» la incalzò subito l’avvocato. Non appena sentì queste parole, la direttrice si riebbe subito, e iniziò nuovamente ad attaccare Deucalion e i due ragazzi. Sembrava che la situazione sarebbe andata per le lunghe.

Stazione ferroviaria di Medicea Ieratika, oggi

Camilla era ferma a Medicea, per una delle soste programmate del treno, affinché i passeggeri di quella città potessero salire per affrontare i propri viaggi nella regione di Athena. Il treno era pieno di studenti che si dirigevano ad Aeteria per affrontare qualche esame o per ritornare alle loro vite da fuorisede, ma c’era anche qualcuno che aveva deciso di staccare un po’ dalla quotidianità e di prendersi una vacanza in una delle città più belle della regione.
Camilla si stava annoiando a morte. Detestava restare ferma per così tanto tempo. Una voce metallica iniziò a gracchiare dagli altoparlanti posti in ogni carrozza: «Gentili passeggeri, vi annunciamo che siamo fermi sui binari per motivi di traffico ferroviario indipendenti dalla nostra volontà. Lasceremo la stazione di Medicea Ieratika non appena sarà possibile. Vi ringraziamo per la vostra pazienza.»
«Fantastico, altro tempo perso.» fece la donna, sbuffando. Prese il cellulare dalla borsa per controllare l’orario: le 17:05. Le mancava soltanto un’ora per arrivare ad Aeteria, ovviamente se il treno fosse ripartito subito. Cercò di chiamare un’altra volta Deucalion, ma all’ennesima chiamata fallita, decise di alzarsi e di fare una breve passeggiata fino ai distributori automatici per sgranchirsi un po’. Camilla sentiva i suoi Pokémon fremere nelle loro Poké Ball, all’interno della sua cintura. Anche loro non vedevano l’ora di sgranchirsi un po’, ma sul treno non era permesso l’accesso a Pokémon grandi come quelli che possedeva lei. Garchomp in particolare sembrava annoiarsi a morte, rinchiuso dentro la sua sfera, mentre il suo Lucario era un po’ irrequieto. La donna prese in mano la sua Poké Ball.
«Che hai, Lucario?» gli chiese. Il Pokémon la guardò, dall’interno, trasmettendole i suoi pensieri tramite le loro aure. Aveva un brutto presentimento, e sentiva una certa tensione nell’aria, nonostante gli altri passeggeri del treno fossero tranquillissimi.
«Hai ragione, anch’io sento che qualcosa di brutto si sta avvicinando.» disse, ripensando di nuovo a quello che le era successo a Taurinia.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce metallica di prima: «Attenzione, il treno sta per ripartire. Invitiamo eventuali accompagnatori a scendere e consigliamo ai signori passeggeri di controllare sui monitor in ogni carrozza l’orario di arrivo nelle rispettive stazioni di destinazione. Vi ringraziamo per averci scelto.»
La donna assunse un’espressione sollevata. «Bene, è inutile pensarci ora.» si disse, e poi prese a controllare il monitor che aveva di fianco, mentre il treno iniziava finalmente a muoversi. Partito in orario dalla stazione di Taurinia Porta Nea, aveva accumulato dieci minuti di ritardo una volta giunto a Medicea. La prossima fermata, Aeteria Aureliana, era a circa un’ora e dieci di viaggio. Camilla decise di prendere un caffè ai distributori automatici e di tornare al proprio posto, mettendosi comoda ad ascoltare un po’ di musica dal suo cellulare, cercando di rilassarsi per quel poco di tempo che le restava da trascorrere sul treno.

Aeteria, oggi

Dopo aver pranzato, Percy stava aiutando Rodia con i suoi appunti per la tesi, mentre Persefone si divertiva a pulire i fornelli. Per la verità, più che studiare, i due si erano messi a ridere e scherzare tra di loro, mentre la bionda faceva l’involontaria terza incomoda.
«Hai sentito della festa che vogliono dare i ragazzi del secondo anno la prossima settimana?» gli chiese la rossa.
«Sì, e hanno anche avuto un’ottima idea per il luogo, nessuno aveva mai pensato di dare una festa nel boschetto di fianco l’Università.» rispose Percy.
«Hai ragione, sembra forte.»
«Tu hai intenzione di andare?» le chiese il biondo.
«Sinceramente non saprei, il prossimo fine settimana io e Persefone vorremmo andare a Medicea, per rilassarci un po’.» rispose quella.
«Ma se invece andassimo a quella festa?» si intromise la bionda.
«Dici? Non eri tu che volevi mollare tutto per andare nei musei di Medicea?» le rispose Rodia, girandosi. Persefone si era messa a far roteare su un dito lo straccio che stava usando per pulire i fornelli, e sembrava che stesse preparando l’impasto per la pizza. «Sì, ma non sapevo di questa festa. E se c’è una festa vuol dire che c’è alcol.» rispose, assumendo un sorrisetto compiaciuto all’idea dei fiumi di alcol che sicuramente avrebbero preso a scorrere il prossimo venerdì.
«In effetti conosco uno dei ragazzi che la sta organizzando, e mi ha detto che con i soldi raccolti riusciranno a comprare un bel po’ di alcolici.» fece Percy.
Persefone aveva sentito esattamente ciò che le serviva per decidere. «Perfetto, venerdì prossimo andremo a quella festa, Rodia.» decise all’istante la bionda. «E poi, è da un po’ che né io né te beviamo.»
Rodia ci rifletté un istante. Nonostante l’idea di una festa alcolica la allettasse non poco, non le andava di farsi trascinare da Persefone a bere l’intero buffet, solo loro due come al solito. «Percy, tu che fai venerdì prossimo?» chiese al ragazzo, fissandolo negli occhi.
«Non credo di avere impegni.» rispose lui.
«Ti va di andare insieme a quella festa?» fece Rodia, leggermente agitata. Una specie di primo appuntamento. Insieme ad un altro migliaio di persone, con tanto alcol, musica e casino. Non proprio l’ideale di romanticismo, in effetti.
Percy poggiò la sua mano sopra quella di Rodia, guardandola nei suoi occhi color nocciola. «Certo, mi piacerebbe.» disse, sorridendole. Si era creato un attimo particolare, in cui i due si guardavano l’un l’altro e sembrava che nient’altro esistesse. Si sentivano sospesi nel vuoto, insieme, come se fossero le divinità creatrici di un nuovo universo, e tutto dipendesse dalle loro volontà. Percy e Rodia si piacevano e lo spirito dell’Amore era ormai entrato in loro. Persefone interruppe il loro idillio. «Ehi, ci sono anch’io.» si intromise.
Rodia si risvegliò all’improvviso da quell’attimo perfetto. «Hai ragione, scusa.» le fece, un po’ dispiaciuta per non averla considerata, nonostante fosse nella stessa stanza. «Che ne dici di dirlo anche ad Aurora e Max? Loro adorano questo tipo di occasioni.»
«Hai ragione, gli mando subito un messaggio.» rispose lei.
Percy controllò l’orario sul cellulare, e nel farlo vide il messaggio inviatogli da Deucalion. Dal testo sembrava qualcosa di abbastanza importante.
«Rodia, devo scappare, è tardissimo e ho un impegno urgente.» le disse.
«È successo qualcosa di grave?» gli chiese la rossa.
«No, nulla di particolare, non mi sono accorto che una persona mi ha cercato e ora sono in ritardo.» rispose, alzandosi dalla sedia e infilandosi la giacca.
«Aspetta, ti accompagno giù.» fece quella, avviandosi verso la porta insieme a lui.
In tutto ciò, Persefone era rimasta a guardare tutta la scena da terzo incomodo, e una volta che entrambi la lasciarono sola in casa potè finalmente rilassarsi un po’.
«Uff… che imbarazzo…»

La situazione era diventata ancora più tesa. La Chateau tentava di attaccarsi ad ogni minimo codicillo che potesse impedire a Deucalion di adottare i due ragazzi, ma prontamente Glauka le faceva notare che quel particolare cavillo legale non era applicabile in quel caso. Kai, Minerva e Riolu iniziavano a spazientirsi, in piedi come erano da ormai più di due ore. Il ragazzo, in particolare, si era messo a braccia conserte e fissava la scena davanti a lui con occhi glaciali, emettendo in silenzio tutto l’odio di cui era capace.
Riolu si era messo seduto per terra, e iniziava a provare un certo sopore, annoiato com’era.
Minerva, al contrario, restava lì immobile, in piedi. Continuava a pensare alla visione che aveva avuto su Glauka quando questa era entrata nella stanza. Somigliava tantissimo alla donna che li aveva aiutato quando Zakalos tentò di separarli. In effetti, nel momento in cui si concentrava su di lei, Minerva provava la stessa sensazione di tranquillità e di pace che lei le dava. Non aveva avuto modo di guardarla meglio, ma lei sapeva che quelle due donne dovevano essere la stessa persona. Tuttavia, c’era una cosa che non riusciva a spiegarsi: la sua età. Non era invecchiata di un solo giorno da quando, sei anni fa, li aveva aiutati. Aveva lo stesso incarnato luminoso, la stessa pelle liscia e perfetta. Non che fosse passato troppo tempo da allora, ma Glauka non aveva neanche una riga in volto, né la minima traccia di occhiaie, come invece dovrebbe succedere ad ogni normale essere umano. A Minerva passò, per un secondo, un’idea per la mente, un’idea alquanto folle. La sua visione non era stata molto chiara, ma le bastò per richiamare un’immagine nel flusso dei suoi pensieri: una donna che emanava luce divina, vestita con una scintillante armatura in argento. La malinconica regalità del suo sguardo era una costante in ogni opera d’arte che la raffigurasse, così come la sua indole battagliera, rappresentata dallo scudo e dalla lancia considerati suoi attributi identificativi. I miti parlavano di lei come la dea che aveva guidato il popolo di Athena verso la civiltà e la conoscenza, tramite i semidei che ella stessa aveva generato insieme ad alcuni mortali.
Pian piano, l’immagine nella mente di Minerva iniziò a diventare più chiara, come un puzzle che incomincia a comporsi da solo. La ragazza, a mente fredda, unì tutti i tasselli del mosaico, mettendo a fuoco una figura particolare: la dea della Sapienza la fissava con i suoi occhi cerulei, che racchiudevano tutta la saggezza e la conoscenza del mondo. Minerva non si sentiva intimorita da quella situazione, che stava avvenendo in un luogo che più nulla aveva a che fare con l’orfanotrofio, e che non si trovava neppure nello stesso tempo.
Non si sentiva il minimo rumore, a parte quello di un grande braciere profumato che ardeva ai piedi della grande statua della Sapienza Onniveggente, che con i suoi quattro metri svettava all’interno del naòs del tempio più maestoso dell’antica acropoli di Aeteria. Un forte odore di incenso permeava l’aria, mentre fuori la neve cadeva candida e perfetta. Minerva, tuttavia, non sentiva freddo, ma soltanto un’immensa sensazione di pace.
La dea della Sapienza le si avvicinò, piano. Una volta giunta davanti a lei, la fissò con il suo sguardo regale per alcuni secondi.
«Sono molto fiera di te, Minerva.» le disse poi, e le diede un bacio sulla fronte.
Un secondo dopo, la scena si dissolse e Minerva si ritrovò di nuovo all’Ilitia. Si sentiva come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno. Si guardò le mani, come per controllare di non avere undici dita e assicurarsi di non stare ancora sognando.
«Ehi, Minerva, ti senti bene?» le fece Kai, accortosi che qualcosa non andava. Bisbigliava, per non disturbare il dibattito legale ancora in corso. Anche Riolu aveva percepito uno sconvolgimento abbastanza profondo nell’aura della ragazza, e prontamente i suoi pensieri avevano allertato anche Kai, in virtù del loro legame.
«Sì, io… io credo di sì.» rispose lei, un po’ titubante.
L’aria era talmente tesa che l’ostilità in quella stanza era palpabile. Sembrava di essere immersi in una gelatina oscura, in una nebbia di tenebra che permeava ogni cosa. Riolu era il più teso di tutti, dal momento che era l’unico che riusciva a leggere le aure dei presenti.
Sembrava si fosse giunti ad un punto morto. La Chateau non aveva la minima intenzione di cedere, e non perdeva minimamente terreno. Deucalion rimaneva in silenzio, cercando di dominare la rabbia che quella donna aveva risvegliato in lui. Glauka, al contrario, stava per esaurire la sua pazienza.
«Voi mortali sapete essere davvero testardi» disse, rivolta alla direttrice. «Non è saggio rimanere così fissi su un’idea.»
«Mi scusi?» le fece la Chateau, leggermente spiazzata.
«Silenzio, mortale. Hai fin troppo abusato della mia pazienza.» rispose Glauka. Un’aura dorata prese a circondarla, e iniziò a fissare intensamente la direttrice con i suoi occhi cerulei. Le sue iridi avevano iniziato a brillare ardentemente.
Deucalion sapeva che sarebbe finita così. Quella maledetta donna era stata capace di far perdere la pazienza anche ad una dea, sfidandola in una gara che non poteva assolutamente vincere, e ora ne avrebbe pagato le conseguenze. La dea della Sapienza era conosciuta per essere la custode di tutta la saggezza e la conoscenza del mondo, ma, come tutti gli altri dei, non amava che le si mettessero i bastoni tra le ruote. E non erano soltanto gli occhi cerulei ad essere il suo unico attributo, ma chiunque le si fosse messo contro, nel corso del tempo, dio o mortale che fosse, aveva conosciuto l’aspetto più vendicativo della sua divina natura.
Tutti, nella stanza, sentivano la paura insinuarsi tra i propri pensieri, ma chi più di tutti era terrorizzato, e aveva anche ottime ragioni per esserlo, era la Chateau. La donna stava osservando una dea che si rivelava davanti ai propri occhi. La divinità apparve nella sua forma umana, sfolgorante di luce nella sua armatura d’argento. Nella mano destra teneva una lancia, nella sinistra uno scudo, con raccapriccianti incisioni in rilievo. Kai guardò solo di sfuggita lo scudo, e dovette distogliere subito lo sguardo, perché aveva iniziato ad avere delle terribili allucinazioni che sembravano, però, tremendamente reali.
L’unico che non sembrava fare una piega era Deucalion, che continuava a rimanere seduto. Kai, Minerva e Riolu lo guardavano stupiti, chiedendosi come mai non reagisse.
La Chateau era completamente paralizzata dal terrore. Ebbe la forza soltanto di pronunciare alcune parole, rivolte alla dea: «Chi… sei tu?» le chiese, sgomenta.
«Io, sciocca mortale, sono la Sapienza, l’incarnazione della saggezza e della conoscenza, figlia del Cielo e della Prudenza, fondatrice della civiltà athenìata. E tu, oggi, hai osato opporti a me.» rispose maestosa, inondando di luce la stanza. In quell’esplosione luminosa, Minerva riuscì ad intravedere qualcosa: un piccolo essere fluttuante, con due code e una testolina gialla, stava davanti alla Chateau, e la direttrice lo guardava con gli occhi vitrei e spalancati, completamente rapita dal terrore più profondo. Il piccolo essere si girò verso Minerva, iniziando a fissarla con le sue bianche iridi, mentre irradiava potere in ogni direzione. Il tutto durò soltanto un secondo, e l’esserino fluttuante ritornò ad essere prima la dea e poi di nuovo Glauka Tithanis, l’avvocato di Deucalion.
La Chateau crollò sulla sua sedia, tenendo ancora gli occhi aperti, mentre Glauka tirò fuori da chissà dove un foglio firmato dalla direttrice, con su scritto “Approvazione richiesta di adozione”, e lo consegnò a Deucalion.
«La ringrazio per il suo tempo, signora Chateau.» fece il professore, ironico.
«Bene, signor Hyperion, non c’è più nulla che ci trattenga qui, possiamo andare.» disse Glauka, iniziando a dirigersi verso la porta.
«Deucalion… che cosa…» riuscì soltanto a dire Kai, mentre Riolu si era nascosto dietro la sua gamba e ancora tremava di paura.
«Vi spiego dopo, ora torniamo a casa. Cercate di assumere un’espressione normale, nessuno dovrà mai sapere cosa è successo oggi.» rispose quello.
Kai e Minerva si guardarono, sconvolti, per un secondo, e cercarono di assumere l’espressione più normale che potevano. Il semidio prese in braccio Riolu, che stava ancora con gli occhi chiusi per lo spavento, e insieme a sua sorella uscì dalla stanza.
I due ragazzi arrivarono davanti l’automobile senza praticamente far caso a quello che succedeva attorno a loro. Nel cortile, tutti iniziarono a confabulare quando loro due, Deucalion e Glauka uscirono dall’edificio, ma Kai e Minerva non li consideravano minimamente.
Erano le sei del pomeriggio, e il sole iniziava a calare, allungando le ombre degli edifici e degli alberi di Aeteria, donando alla città, in quella giornata d’autunno, un aspetto leggermente malinconico. Nell’aria c’era una sensazione di tranquillità e di calma, nonostante gli abitanti di Aeteria continuassero a girare per le strade, impegnati nelle loro frenetiche vite. Si vedevano persone che si dirigevano a casa, carichi delle loro buste della spesa, altri che camminavano parlando al cellulare, studenti che avevano appena finito di seguire le lezioni di quel giorno e avevano deciso di regalarsi un momento di relax facendo una passeggiata e ascoltando i loro gruppi preferiti con gli auricolari, e perfino una coppietta, che camminava mano nella mano. In lontananza, dallo stridore dei binari si sentiva un tram arrivare, mentre poco più in là la gente lo aspettava.
Kai, Minerva e Riolu sentivano un’immensa sensazione di pace e di liberazione dentro di loro.
Deucalion e Glauka, davanti l’auto, conversavano tra di loro. L’avvocato consegnò al professore il foglio di approvazione della richiesta di adozione, poco prima di salutare lui e i due ragazzi. Mentre si avvicinava a lei, Minerva notò qualcosa brillarle al collo. Sembrava una collana, scintillante sotto il suo elegante tailleur blu. La ragazza cercò di guardare meglio, mettendo a fuoco: era un ciondolo a forma di testa di Noctowl, d’argento e avorio. Un rapido viaggio nei suoi ricordi confermò definitivamente alla ragazza ciò che, inconsciamente, già sapeva.
“È lei” pensò. “Dev’essere per forza lei.”
Glauka doveva essere quella donna, quell’avvocato pronta a tutto che aveva aiutato Percy anni fa, ai tempi di Zakalos. Ora ne aveva l’assoluta certezza, e dopo aver assistito alla rivelazione del suo potere, sapeva anche come le era stato possibile aiutarli. Del resto, ci sono davvero poche cose che una dea, e specialmente la dea della Sapienza, non possa fare. E servirsi per i propri fini del codice legislativo che, si dice, lei stessa abbia trasmesso agli antichi abitanti della regione di Athena, non rientrava tra queste.
Glauka salutò i due ragazzi e il loro nuovo tutore, con particolare enfasi verso Minerva, e se ne andò, sparendo dietro il primo angolo. Deucalion la guardò per tutto il tempo. «Grazie, mia dea.» mormorò, stando bene attento a non farsi sentire da nessuno.
«Deucalion…»
«Sì, Minerva?» rispose lui, guardando ancora verso il punto in cui Glauka era sparita.
«Quella donna… la dea della Sapienza…» fece lei, titubante. Deucalion la zittì prontamente, preoccupato che qualcuno potesse sentirla, o peggio, prenderla sul serio: «Parleremo di questo dopo, Minerva, non preoccupartene, per ora» le fece.
«Va… va bene…» rispose la ragazza. Minerva non aveva mai visto una cosa del genere. Una dea si era rivelata nella sua forma divina davanti ai suoi occhi. Aveva visto queste cose soltanto nei quadri, ma non credeva che sarebbe mai potuto succedere. Anche Kai era sconvolto, mentre Riolu iniziava soltanto in quel momento a tranquillizzarsi, ora che l’aura di Glauka era scomparsa dal suo raggio di percezione. Erano comunque tutti e tre tesi come delle corde di violino.
«Devo comunque darvi un’ottima notizia» fece il professore, cambiando discorso. «Grazie all’aiuto di Glauka, il nostro viaggio qui all’Ilitia non è stato inutile.»
«Che vuoi dire?» gli chiese Kai, risvegliatosi in quel momento, con una punta di speranza nella voce. Deucalion gli fece vedere il foglio che teneva in mano: la firma della Chateau campeggiava prepotente su un documento che aveva l’aria di essere importante. L’approvazione della richiesta di adozione dei due ragazzi da parte di Deucalion era ormai diventato un documento ufficiale, garantito dalla legislazione della regione di Athena.
«Da oggi, ragazzi, voi due avete una famiglia. E non dovrete più tornare in questo posto.»
Kai e Minerva non ci credevano. Avevano provato talmente tante volte a scappare da quell’incubo che ormai non gli sembrava vero che potesse accadere sul serio, e per giunta, in via del tutto ufficiale. Finalmente, avevano spezzato le pesanti catene che li tenevano ancorati al loro passato, al dolore e alle proprie paure. Finalmente non avrebbero più dovuto convivere con la cattiveria di Henrietta, con la malvagità della Chateau o con gli atti di bullismo di Ahrai e dei suoi compari. Finalmente Kai e Minerva, i due fratelli uniti dal dolore e dalle difficoltà, erano davvero liberi di vivere una vita degna di questo nome, e di risplendere nella loro esistenza.
 

Sky_Anubis

Come mai sei caduto, Lucifero, figlio dell'Aurora?
Capitolo IX - Futuro d'incubo

Picco Aeternitas, 3750 a.C.

La votazione degli dei si era conclusa con uno schiacciante risultato a favore della proposta della Sapienza. Tutti avevano compreso la gravità del fato che stava per abbattersi sulla regione di Athena.
«Figlia mia, dunque, cosa intendi fare? Tu sei la nostra miglior stratega e consigliera.» intervenne il dio dei fulmini, facendo brillare la sua saetta. Stille di tuono si diffusero in tutta la grande sala occupata dagli dei, sulla vetta del luogo più antico e più alto di Athena, il Picco Aeternitas.
«Temo che questa volta la mia abilità strategica non sarà sufficiente, padre» rispose la dea dagli occhi cerulei. «Non ho il potere di prevedere il futuro, e ciò che sta per avvicinarsi non succederà a breve.» fece, guardando il fratello dalla dorata capigliatura.
«Non è così semplice, sorella» intervenne il dio del sole. «Non decido io quando vedere ciò che il futuro ha in serbo per noi e per l’umanità. Neanche ora avevo idea di quello che sarebbe successo.»
«Lo so bene, fratello mio» rispose lei. «Non credo che la profezia che ci occorre verrà pronunciata così presto dalle tue labbra.»
«E allora cosa proponi?» le fece la dea della luna, fissandola con le sue intense iridi color violetto. La sua pelle d’avorio emanava un deciso barlume lunare, come se lei stessa fosse l’incarnazione dell’astro d’argento.
«La Madre Terra ha già iniziato a destarsi. Percepisco il suo potere che inizia a spandersi in tutta Athena. Noi Dei Eterni siamo potenti, ma la Madre di tutto il creato lo è infinitamente di più» disse con gli occhi chiusi, mentre un’ombra lugubre le calava sul volto. «Ricorrere ai semidei, i figli dei due mondi, è l’unica soluzione per cercare di arginare lo spargimento di sangue.»
«Sei sicura che potrebbe funzionare?» le chiese il dio dei mari, dallo sguardo d’abisso.
«La strategia in battaglia è un’arte sottile» rispose lei. «Nessuno ha mai l’assoluta certezza che le scelte prese in situazioni così gravi abbiano l’effetto desiderato. Tuttavia, i semidei sono davvero la nostra arma più potente.»
«Tu proponi dunque di usare i nostri figli mortali per arginare lo spargimento di sangue che nutre il potere e l’ira della Madre Terra?» le fece il dio della guerra, mentre giocherellava con un pugnale affilatissimo.
«Certamente.»
«Ma mettere fine ad una guerra di queste proporzioni non è così semplice» intervenne la dea della luna. «Tu e nostro fratello dall’elmo di ferro potreste riuscire facilmente a domare il cuore degli uomini che l’hanno ordita, ma a nessuno di noi è concesso intervenire negli eventi umani.»
«Tuttavia, temo che questa volta sia necessario» fece il dio dei fulmini, ponendo fine alla discussione. «Le antiche leggi che gli esseri ancestrali venuti prima di noi stabilirono hanno una scappatoia.»
«Esatto, padre» rispose la Sapienza. «Noi, sorelle e fratelli miei, siamo gli Dei Eterni, coloro che reggono la civiltà athenìata dai tempi della caduta dei Titani. Nel momento in cui un pericolo incombe sull’umanità, che a noi e a tutte le altre divinità infonde forza e potere, è nostro dovere guidare gli eventi affinché una simile minaccia venga eliminata.» continuò, facendo brillare i suoi occhi cerulei.
Nella sala calò il silenzio. La dea dall’armatura d’argento irradiava potere, e un’aura dorata la circondò. «Questa sarà l’impresa più ardua, lunga e pericolosa di cui intere generazioni di semidei dovranno farsi carico, insieme a noi esseri celesti. Potranno volerci migliaia di anni, e il nostro cuore sarà straziato dalla morte di centinaia di nostri figli, ma noi tutti dovremo utilizzare il nostro potere per arginare una simile minaccia, modificando la storia degli uomini.»
Le dodici figure sfavillanti raccolte in quell’enorme sala guardavano la dea della Sapienza con occhi decisi, mentre reagivano alla sua chiamata alle armi facendo brillare le loro iridi.
«La decisione è presa» intervenne il padre degli dei, facendo sfavillare la sua saetta, mentre il cielo sulla regione di Athena brillava a tempesta. «Questa guerra deve avere fine, ora.»

Aeteria, oggi

La libertà aveva un sapore davvero inebriante. La prima volta che la si assaggia, pervade il corpo e la mente per intero, scuotendo anche i più profondi recessi dell’animo. Fa credere di avere saldo in mano il proprio destino, e di poter plasmare a piacimento le sorti del mondo. Kai e Minerva si sentivano invincibili, forti della convinzione che non sarebbero mai più tornati all’Ilitia.
Il ragazzo guardava ogni cosa con occhi sfavillanti di gioia, come se non li avesse mai aperti prima. Aveva un gran bel sorriso stampato sulla faccia e tutto gli sembrava più bello, più luminoso, più colorato. Anche Riolu, condividendo le emozioni del suo amico, era pervaso da un gran senso di serenità e allegria, e guaiva contento sulla spalla di Kai.
Anche Minerva era felice per quello che era appena successo, ma lo dava meno a vedere. Intanto, però, continuava a pensare a quello che era successo nell’ufficio della Chateau. Una divinità le si era rivelata davanti agli occhi, sia nella sua forma umana che in quella divina. La ragazza stava ancora cercando di elaborare ciò che aveva visto, ma intanto molte cose le si stavano chiarendo nella mente. Ora capiva perché lei e Kai non erano mai riusciti a trovare quella donna che tanto tempo fa li aiutò, e si spiegava anche il fatto che Percy la conoscesse. Il biondo avrebbe dovuto spiegarle un bel po’ di cose.
«Bene, non vedo perché rimanere ancora qui davanti» fece Deucalion ai ragazzi e a Riolu. «Vi va di andare in centro a mangiare qualcosa?»
«In centro? Ma non possiamo pagare.» fece Kai, ingenuamente. Ancora non aveva pienamente realizzato che ora Deucalion era a tutti gli effetti il loro tutore.
«Infatti voi non dovrete pagare nulla, d’ora in poi ci penserò io.» rispose il professore.
«Ah… è-è vero, scusa…» ribadì il ragazzo, imbarazzato.
«Non scusarti, è normale che tu debba ancora fare l’abitudine a tutto questo. Dai, salite in macchina.» fece Deucalion, mentre apriva lo sportello del guidatore. Kai e Riolu ubbidirono molto volentieri, sedendosi davanti, sul sedile del passeggero. Minerva, pensierosa, si trattenne per qualche secondo fuori dall’auto, non avendo fatto caso alle ultime parole pronunciate, quando all’improvviso si sentì chiamare. «Ehi, Minerva» le fece Kai, abbassando il finestrino. «Che fai, non sali?»
La ragazza si riprese e ritornò con i piedi per terra. «Ah, sì, certo.» reagì, e salì in macchina anche lei, sedendosi sui sedili posteriori. «Quindi dove andiamo?» chiese a Deucalion.
«Vi porto in un posto che conoscono in pochi, ma che fa dei dolci davvero squisiti.» rispose lui, mentre faceva retromarcia per uscire dal parcheggio.

Stazione ferroviaria di Aeteria Aureliana, oggi

Arrivata finalmente ad Aeteria, Camilla fremeva. Il treno stava effettuando la manovra di rallentamento in vista dell’arrivo in stazione, ma lei si era già posizionata davanti le porte, impaziente di scendere. Anche Garchomp, nella sua Poké Ball, sembrava piuttosto agitato, e non vedeva l’ora di sgranchirsi un po’ le zampe all’aria aperta.
Finalmente, il treno si era fermato. La donna premette il pulsante per aprire la porta, e pochi secondi dopo si stava muovendo sul binario 7 della stazione di Aeteria Aureliana, la più grande stazione ferroviaria di Athena. Camilla era già stata ad Aeteria, ma ogni volta si meravigliava di quanto quella città fosse vitale e caotica. In stazione c’erano negozi, attività, ma semplici baracchini di chi vendeva panini agli studenti pendolari e venditori ambulanti che cercavano di rifilare braccialetti arcobaleno a chiunque. Grandi pannelli mostravano immagini dai notiziari in tempo reale, pubblicità e offerte di viaggi in treno, facendo sembrare l’ambiente ancora più caotico di quanto non fosse già.
Camilla attraversò il gate D come una furia, sovrappensiero per ciò che doveva riferire a Deucalion, quando, fatti pochi metri, all’improvviso si bloccò, con lo sguardo perso nel vuoto. Vide immagini terribili: Aeteria distrutta, ricoperta da fiumi di lava. Vistose crepe attraversavano i suoi grandi viali, rivelando bocche d’inferno al di sotto. I grandi parchi della città erano in fiamme, e morte e distruzione regnavano ovunque. Pochi secondi dopo, la sua visione la trasportò a Taurinia, mostrando le sue grandi piazze vuote, stritolate dalla vegetazione: alberi enormi erano sorti nel mezzo di Piazza Legislazione, soffocando il grande monumento sormontato dal Genio umano. Giganteschi rampicanti erano sorti dal fiume Pado all’improvviso, abbarbicandosi sulla chiesa della Madre Celeste e crepandone la grande cupola, causando il panico generale. Molta gente non aveva fatto in tempo a mettersi in salvo ed era stata stritolata dal verde, rimanendo soffocata ed esalando l’ultimo respiro in un groviglio di rami e foglie. Anche molti Pokémon erano rimasti feriti o uccisi da quella improvvisa furia verde che aveva sconquassato l’intera città in pochi secondi.
Aeteria e Taurinia, due delle città più importanti di Athena, erano stato messe in ginocchio contemporaneamente, distruggendo secoli di storia, di cultura e di arte.
Quella visione terrorizzò profondamente Camilla. Il suo sguardo vacuo diventò portatore d’incubo una volta che la visione svanì. Una semidea aveva visto la fine della civiltà athenìata ad opera di forze che sembravano molto poco controllabili da comuni mortali. Camilla non riusciva a pensare lucidamente, in quel momento, ma sentiva il suo Lucario che si muoveva nella sua Poké Ball, attaccata alla cintura. Doveva aver percepito uno sconvolgimento davvero profondo nell’aura della sua Allenatrice.
Un poliziotto, notando il comportamento strano della donna, le si era avvicinato, cercando di capire cosa stesse succedendo. «Signorina? Tutto a posto? Sta bene?» le fece. Camilla lo guardò con i suoi occhi, in quel momento vitrei e ricolmi di orrore, e l’uomo stesso si spaventò, pur non sapendo cosa fosse successo.
«Io… io l’ho visto…» mormorò, poco prima di riprendersi. Il suo sguardo tornò normale, e la donna rinsavì, abbandonata dall’estasi divina infusale dal dio della profezia. «Cosa?» rispose Camilla all’improvviso, che non si era resa conto di ciò che le stava succedendo intorno.
Il poliziotto cercò anche lui di ritornare con i piedi per terra, dopo la sensazione di angoscia che aveva provato dopo che la donna lo aveva guardato col suo sguardo d’incubo. «Mi scusi, va tutto bene? Devo chiamare un medico?» le chiese quello.
«Oh, no, no, assolutamente no, non si preoccupi» cercò di sviarlo lei, inventando una scusa qualunque. «Mi hanno appena avvisata di un lutto in famiglia ed ero un po’ sconvolta, tutto qui.» disse, cercando di sembrare il più angosciata possibile, cosa che, tra l’altro le riusciva anche abbastanza bene.
«Oh, mi… mi scusi. La prego di accettare le mie condoglianze, non intendevo disturbarla.»
«Ma non si preoccupi, è stato invece molto gentile» rispose, con uno sguardo da vedova. «La ringrazio e le auguro una buona giornata.»
«Anche a lei, e di nuovo condoglianze, mi scusi.»
Camilla uscì dalla stazione guardando per terra, rimuginando su ciò che le era successo. Due visioni in un solo giorno, e di questo tipo. Non era mai accaduto che le venisse rivelato un futuro tanto orrendo e cupo, e mai aveva visto simili scenari di morte e distruzione. Ciò che la terrorizzava di più è che sembrava che neanche gli dei, le immortali divinità da cui lei stessa discendeva e che reggevano la regione di Athena, avessero il potere necessario per fermare tutto questo. Lo stesso dio della profezia, suo padre, sembrava angosciato quando le rivelava il futuro. Ora più che mai, era assolutamente necessario avvisare Deucalion e l’Ordine dei Lupi Bianchi, anche alla luce di quello che diventata sempre meno un sospetto e sempre più una certezza: il realizzarsi della profezia più oscura mai pronunciata dagli antichi oracoli del Sole, la Profezia del canto della Terra.

Centro di Aeteria, oggi

Kai e Minerva erano felici. Stavano mangiando una fetta di cheesecake seduti nel dehoor di un elegante caffè del centro di Aeteria. Anche Riolu sembrava contento, seduto sul divanetto, tra i due ragazzi, a sgranocchiare un biscotto enorme con tanti zuccheri.
Deucalion stava mescolando il suo caffè, guardando i suoi due nuovi figli, anche lui felice. Si sentiva come se avesse riempito un buco nel suo petto, come se avesse riconquistato una parte di sé che gli era stata strappata tempo fa.
Mancava soltanto Percy per completare il quadretto. Già, Percy. Dove diavolo era finito, da quella mattina? Deucalion decise di mandargli un messaggio per assicurarsi che stesse bene e stare tranquillo.

Noi siamo in centro, abbiamo preso qualcosa da mangiare
in quel locale davanti il Pantheon. Se sei qui vicino, raggiungici.

Posò il cellulare e ritornò a mescolare il caffè col cucchiaino, mentre Kai e Minerva gustavano la loro porzione di torta. Si portò la tazzina alle labbra, ma proprio in quel momento il cellulare ricevette una notifica, e il led sullo schermo si illuminò di giallo oro. Percy aveva risposto. Deucalion bevve un paio di sorsi, poi posò la tazzina ancora piena per metà e lesse il messaggio.

Dammi dieci minuti e sono lì da voi, il tempo di aspettare il 21.
Com’è andata all’orfanotrofio?

Il professore lesse il messaggio sorridendo leggermente. Si sentiva davvero bene, in quel momento. Scrisse poche parole di risposta, incisive e pregnanti.

Hai due nuovi fratelli e un Riolu a farti compagnia.

Poi bloccò il cellulare e lo posò sul tavolo, guardando i due ragazzi, che intanto avevano finito la torta.
«Era buona?» gli chiese, sorridendo.
«Moltissimo, davvero buona.» rispose Kai, mentre ingoiava l’ultimo boccone, un po’ a malincuore per il fatto che fosse già finita.
«Ve l’avevo detto, è una delle migliori pasticcerie della città. I suoi dolci sono famosi anche fuori dalla regione di Athena.»
«Anche il locale è davvero bello.» notò Minerva, intrufolandosi nella conversazione dopo aver dato uno sguardo veloce all’ambiente. Un pavimento in pietra levigata di colore chiaro donava al locale un tocco molto raffinato, così come facevano i tavoli in legno antico e i divanetti di velluto rosso, morbidissimi, con intarsi particolari. Dietro il bancone, realizzato in pietra verde levigata, troneggiava uno stemma con un Tauros rampante su sfondo blu, sormontato da una corona.
«A proposito, perché c’è lo stemma di Taurinia in un locale di Aeteria?» chiese Kai, curioso.
«Ottima domanda» rispose Deucalion, poco prima di finire l’ultimo sorso di caffè. «Questo caffè è uno dei più antichi di Aeteria sopravvissuti al periodo del Fascio. È stato aperto più di 150 anni fa, quando ancora Taurinia era la capitale di Athena, un paio di mesi prima dell’Unità. I proprietari erano taurinensi emigrati ad Aeteria durante i moti unificatori, per cercare di scappare dai Separatisti di quel periodo. Due dei più grandi Lupi mai appartenuti al nostro ordine.» gli spiegò.
«Davvero? Quindi questo era il luogo di ritrovo dei Lupi Bianchi durante il periodo unificatorio?» chiese Minerva.
«Esatto, e lo è ancora. O per lo meno, è uno dei tanti. Il nostro ordine è molto antico, e da sempre ha guidato la storia di Athena» aggiunse Deucalion. «O almeno, ci ha provato. Non sempre siamo riusciti a guidare il corso della storia verso un andamento migliore.»
«Parli del periodo del Fascio?» chiese la ragazza.
«Esatto. In quel periodo l’ordine era stato decimato dal regime dittatoriale. Per fortuna, una volta finita quella fase storica, ci siamo risollevati e ora siamo di nuovo attivi in tutta la regione.»
«In quanti siete?» chiese Kai, fissandolo con i suoi occhi verde intenso.
«In tanti, Kai. La dea della Sapienza ci protegge, e tutte le leggende più antiche dicono che sia stata lei a fondare l’ordine. Non permetterebbe mai che qualcosa che lei stessa ha creato finisca per mano di comuni mortali. Grazie alla sua protezione, non siamo mai stati così forti ed influenti sulla politica di Athena come in questo periodo, ma possiamo controllare gli eventi fino ad un certo punto.» gli rivelò. Kai e Minerva non si erano ancora abituati a sentir parlare delle antiche divinità di Athena come di essere realmente esistenti. Nonostante avessero visto cosa era successo all’Ilitia, erano ancora increduli su certe cose. Ritrovarsi ad avere a che fare con essere celesti, miti e leggende così all’improvviso era davvero difficile da metabolizzare.
«Certo, siete comunque costretti a rimanere nell’ombra.»
«Esatto, non possiamo rivelarci apertamente alla popolazione. Molte volte è capitato che il popolo eleggesse leader che non si sono poi dimostrati all’altezza. In quel caso, ci siamo sempre ritrovati in minoranza ad opporci.»
«Intendi dire che sta succedendo lo stesso in questo periodo?» chiese Minerva, dopo aver avuto una specie di visione di pochissimi secondi. Deucalion la fissò per qualche istante, prima di rispondere.
«Purtroppo, Minerva, a volte il popolo non discerne correttamente la differenza tra giusto e sbagliato, e si affida a politici che non meriterebbero questo appellativo. Quello che sta succedendo in questo periodo con Salfi si è già ripetuto altre volte, nel corso della storia.»
A Kai vennero in mente i manifesti incollati ovunque durante la campagna e, di conseguenza, il generale clima d’odio e di intolleranza che si era instaurato in tutta Aeteria qualche settimana dopo l’insediamento del nuovo governo. A suo dire, l’atmosfera in città non era mai stata così pesante. Lui e Minerva si erano trovati varie volte nelle stazioni della metropolitana a guardare i notiziari sui grandi schermi affissi alle pareti e dentro i treni, che parlavano di rivolte e proteste contro il governo in quasi tutte le città di Athena, specialmente a Taurinia. Il ragazzo ricordava di aver visto, sempre da spettatore, un’enorme folla in una piazza del centro storico di Medicea protestare contro un comizio di Salfi, più o meno nel mese di maggio di quello stesso anno. Da quello che aveva potuto apprendere dalle notizie dei notiziari e dei giornali letti a sbafo, aveva sviluppato una certa insofferenza verso la mentalità così chiusa che un personaggio così in vista dimostrava. Il problema principale era che una fetta sempre più grande della popolazione iniziava a sostenere il suo operato, anziché battersi per i principi di uguaglianza, tolleranza e libertà sanciti dalla Costituzione athenìata.
La misura era diventata colma quando, verso la seconda metà di aprile, molti cittadini di Aeteria, Taurinia, Medicea e Mediolanum avevano appeso alle ringhiere dei loro balconi degli striscioni per esprimere il proprio dissenso, per far capire che non facevano parte di quella fetta di popolazione che si accontenta di non pensare, e Salfi, abusando del proprio potere, aveva costretto la polizia di queste città a rimuovere quegli striscioni. Questa situazione aveva fatto scalpore a livello nazionale, ed era stata ricordata come “la protesta delle lenzuola”, come l’avevano definita molti quotidiani.
Era stato in quel momento che Kai e Minerva, insieme a Riolu, avevano deciso di scendere in piazza per unirsi ai manifestanti, in tutte le proteste organizzate ad Aeteria. Erano diventati figure di spicco tra gli attivisti, e si erano fatti conoscere abbastanza in fretta in quell’ambiente come i giovani che più avevano a cuore le tematiche di libertà e di uguaglianza. Salfi, infatti, aveva fatto parlare di sé molto spesso in precedenza per alcuni atteggiamenti omofobi e misogini promossi dal suo partito, e da cui lui, a quanto pare, non aveva mai preso le distanze.
In seguito a questi eventi, molte persone avevano iniziato ad additare come teste calde i ragazzi che partecipavano a questo tipo di eventi. A Kai e Minerva, però, questa cosa non importava. Piuttosto che rinunciare a diritti conquistati in anni di lotte, preferivano buttarsi nella mischia e combattere per ciò che ritenevano giusto. E se, per fare questo, dovevano essere considerati figli del demonio, giovani ingrati o anche solo teste calde, avrebbero corso il rischio. Anzi, avrebbero avuto il coraggio di alimentare certe voci, perché piuttosto che chinare il capo di fronte a chi non voleva neanche prendere in considerazione un punto di vista diverso dal proprio, avrebbero alzato i loro stendardi e i loro cartelloni di protesta contro le ingiustizie, mostrando il coraggio della disobbedienza civile e della protesta. Non avevano nulla da perdere.
«Salfi non merita di essere nella posizione in cui si ritrova» fece Kai, dopo quel breve viaggio nei ricordi di qualche mese prima. «L’unica cosa in cui si sta impegnando è seminare l’odio.» disse, mentre le sue iridi iniziavano a brillare leggermente. La rabbia del semidio era tangibile. Le siepi fuori dal locale iniziarono a fremere leggermente, in risposta alle sue emozioni. Sia Minerva che Deucalion avvertirono la sensazione di pericolo, e cercarono di tranquillizzare il ragazzo, per impedirgli di scatenare un altro terremoto nel centro storico di Aeteria.
«Kai, non fare così. Sai che ora come ora non possiamo farci nulla.» gli disse Minerva, mettendogli una mano sulla spalla. Riolu si mise in piedi sul divanetto, pronto a contrastare un’altra possibile crisi di rabbia del suo partner.
Le iridi verdi di Kai smisero di brillare. Il ragazzo guardò in basso, girandosi di lato.
«Certo, lo so.» disse, facendo sentire il risentimento nella sua voce.
Deucalion tirò un sospiro di sollievo. Sarebbe stato difficile contrastare un’altra manifestazione di potere senza avere a disposizione la morfina. Fare affidamento soltanto su Riolu sarebbe stato un azzardo, dal momento che il professore sapeva bene che, soprattutto agli inizi, non sempre lo Spirito Protettore di un semidio è in grado di calmarlo.
«Ti consiglio di non pensarci, Kai» si intromise Deucalion nella conversazione. «So che è difficile ingoiare il rospo quando si tratta di questi argomenti, ma per ora pensa ad imparare a controllare i tuoi poteri. Ti assicuro che, una volta che l’avrai fatto, potrai dare un contributo maggiore alle lotte per la libertà.»
Il ragazzo chiuse gli occhi per un attimo, cercando di calmarsi e svuotare la mente. Si girò verso Deucalion e li riaprì, mostrando uno sguardo calmo, ma freddo: «D’accordo.» disse, soltanto.

Percy scese dal 21 alla fermata Partigiani, ad un paio di traverse di distanza dal locale in cui si trovavano Deucalion e i suoi amici. Anzi, i suoi nuovi fratelli. Gli sembrava quasi di vivere sospeso in un’altra dimensione, dopo quella meravigliosa notizia. Da moltissimo tempo, ormai, cercava di convincere Deucalion a fare qualcosa per quei due poveri ragazzi, confinati in un istituto in cui le violenze e i soprusi erano all’ordine del giorno. L’aver scoperto la natura semidivina di Kai aveva consentito di sbloccare la situazione di colpo, e ora il suo desiderio di vivere insieme ai suoi amici più stretti si era realizzato. Quella era davvero una gran bella giornata per Percy.
Il ragazzo era arrivato davanti il locale, il Caffè Taurino, in cui Deucalion, Kai e Minerva lo stavano aspettando. Il Pantheon, lì davanti, troneggiava maestoso, regalando una vista davvero mozzafiato su uno dei più famosi monumenti di Athena e del mondo. Stendardi rossi, posti dalla città di Aeteria, si calavano dal timpano, occupando gli spazi tra le colonne della facciata, e fiori multicolori decoravano l’ingresso dell’antico tempio, oggi restaurato e restituito a nuova gloria. Nella piazza davanti al Pantheon, miriadi di negozietti, di ristoranti e di caffè erano incastonati negli edifici che la delimitavano, fittamente frequentati da turisti provenienti da ogni parte del mondo.
Percy diede un ultimo sguardo a quella bellissima piazza, prima di chiudere gli occhi ed entrare nel Caffè Taurino, pronto ad accogliere la sua nuova famiglia.

Kai, una volta passato il momento di rabbia, era di nuovo impegnato a triturare un’altra fetta di cheesecake alle fragole, facendola sparire dal piatto ad una velocità impressionante. Anche Riolu stava sgranocchiando altri biscotti, come se anche gli stomaci di Pokémon e Allenatore fossero connessi, oltre ai loro spiriti.
«Kai, se tu e Riolu continuerete a mangiare così tanto rischierete di mandare in bancarotta il locale.» gli fece Minerva, scherzando.
«Ehi, sai che ho sempre fame.» rispose il ragazzo, mentre ancora masticava. Anche il piccolo Pokémon al suo fianco le rispose con un guaito, sorridente.
«Piuttosto, Deucalion» fece il ragazzo, posando un secondo la forchettina da dolce. «Hai sentito Percy, per caso?»
«Gli ho mandato un messaggio qualche minuto fa, dicendogli che siamo qui. Dovrebbe arrivare a momenti.» gli rispose il professore. Pochi secondi dopo, la porta in legno riccamente decorato del locale si aprì, e un ragazzo biondo entrò, guardandosi intorno per qualche secondo. Quando vide i suoi amici, si diresse deciso verso di loro, tutto sorridente.
«Ragazzi, Deucalion mi ha detto tutto!» fece ai suoi due amici, abbracciandoli da dietro il divanetto su cui erano seduti. Minerva e Kai si alzarono subito, contagiati dal buon umore del biondo, mentre invece Riolu continuava a mangiare soddisfatto. I tre ragazzi si abbracciarono felici, sfoggiando dei sorrisi accecanti e facendo scomparire il mondo intorno a loro. Perché, in quel momento, nulla era più importante della loro ritrovata libertà al fianco di quella che era, a tutti gli effetti, una vera e propria famiglia. Deucalion li fissò con sguardo felice, sorridendo leggermente. Riusciva a percepire l’allegria di tutti e tre, ma in particolar modo quella di Percy. Ed era un sentimento vero, autentico e davvero puro, riusciva a percepirlo. Tuttavia, Deucalion aveva anche un brutto presentimento che lo perseguitava da qualche ora, come se da un momento all’altro dovesse ricevere una terribile notizia. Quasi senza pensarci, prese il cellulare e accese i dati, e un miliardo di notifiche iniziarono ad inondare la sua home. Messaggi su WhatsApp e Telegram, richieste di videochiamate, chiamate vocali, e tutte con un denominatore comune: il mittente era sempre Camilla, Campionessa di Sinnoh e sua vecchia amica all’interno dell’Ordine dei Lupi Bianchi. La situazione sembrava di una certa gravità, dato l’ingente numero di notifiche ricevute. Una cosa del genere era successa soltanto quando la donna aveva avuto delle visioni sulla crisi di Sinnoh, qualche anno fa.
«Ragazzi, scusate, esco un attimo qui fuori, devo fare una telefonata urgente» disse agli altri tre, mentre si alzava. «Percy, tu ordina pure qualcosa, pago io dopo.»
«Ah, va bene.» rispose il biondo sorridendo, dopo essersi sciolto dall’abbraccio stritolatore dei suoi due amici.
Uscito fuori dal locale, Deucalion compose il numero della sua amica in un secondo, con un presentimento orrendo in mente. Pochi squilli dopo, lei gli rispose, non propriamente in maniera calma: «Deucalion, finalmente! Ho provato a contattarti un miliardo di volte, dove diavolo eri?»
«Buon pomeriggio anche a te, Camilla» ribatté il professore. «Scusami, ero molto impegnato a sbrogliare una situazione complicata. Ho visto tutte le tue chiamate, cos’è successo?»
«La situazione è grave, e non è il caso di parlarne al telefono. Sono alla stazione di Aureliana, raggiungimi subito, ti prego.» gli disse lei.
«Cosa? Sei qui ad Aeteria?»
«A dopo i convenevoli, vieni subito.»
«D’accordo, sto arrivando. Dammi 10 minuti di tempo e sono lì» le fece Deucalion. «A tra poco.»
«Sbrigati.» gli rispose Camilla, riattaccando la telefonata.
Deucalion rientrò subito nel locale per prendere le chiavi dell’auto, e ritrovò i tre ragazzi e Riolu seduti davanti ad altre fette di cheesecake, intenti a ridere e scherzare, mentre Kai e Minerva raccontavano a Percy tutto quello che era successo all’Ilitia.
«Percy, devo andare subito in stazione» si intromise il professore, interrompendo quell’idillio. «Prendi la mia carta di credito, nel caso servisse.» gli disse, sfilandola dal portafogli.
«Ok… che sta succedendo, Deucalion?» gli chiese il ragazzo, un po’ preoccupato per l’eccessiva foga del professore. Raramente lo aveva visto agitato, e ogni volta perché stava per succedere qualcosa di brutto.
«Ora non ho tempo per spiegarti, ci vediamo stasera a casa. Tieni il cellulare acceso, nel caso avessi bisogno di te.» rispose Deucalion, poco prima di uscire dal locale come un fulmine.
«Va bene, a stasera…»
«Ehi, Percy» si intromise Kai. «Che ha Deucalion?» chiese, un po’ confuso.
«Non ne ho idea, l’ho visto così agitato solo poche volte…» fece, assumendo un’espressione a metà tra il pensieroso e lo sgomento. «Comunque, continuate a raccontarmi di quello che è successo all’Ilitia, dai.» continuò poi, cercando di scacciare un brutto presentimento.

Stazione ferroviaria di Aeteria Aureliana, oggi

In stazione, Camilla aspettava davanti un tabacchino, facendo avanti e indietro davanti la porta d’ingresso. Il suo Lucario fremeva dentro la sua Poké Ball, e voleva uscire a tutti i costi. La donna, accortasene, decise di fargli sgranchire le zampe. Il Pokémon la guardò con sguardo preoccupato. Anche lui aveva intuito che qualcosa aveva terrorizzato la sua Allenatrice.
«Lucario, sono terribilmente preoccupata per il futuro» fece Camilla, rivolgendosi al suo Pokémon. «Ho visto immagini terribili…»
Lucario chiuse gli occhi per cercare di leggerle l’aura con i suoi poteri extrasensoriali. Percepì ansia, paura il futuro, e anche un vago senso di terrore nello spirito della sua Allenatrice. Anche lui ne fu spaventato.
«Se il significato di queste visioni è veramente quello che sembra, significa che siamo davvero nei guai…» fece, fissando il suo Pokémon con occhi spaventati.
Qualche minuto dopo, Deucalion era arrivato davanti la stazione e si era infilato nel parcheggio sotterraneo. Scese dall’auto e si fiondò sulle scale mobili dirette al piano superiore, quello dei binari, per incontrare Camilla, sempre con quell’orribile sensazione che non gli permetteva di pensare ad altro.
 
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