In Università c’era un gran viavai di studenti, docenti e personale del posto. Nei corridoi c’era chi camminava con libri in mano, chi mescolava il caffè per farlo raffreddare prima, chi prestava più attenzione al cellulare che al resto del mondo. E poi c’era Kai, che non aveva la minima idea di dove andare per raggiungere il giardino. Nel dubbio, continuava a camminare lungo un corridoio, cercando qualcuno che non fosse di fretta o che non fosse troppo preso da sé stesso.
Davanti il busto di marmo di qualcuno che sembrava essere un personaggio importante, c’erano una ragazza con i capelli ricci e uno con i capelli neri. Parlavano tra di loro, mentre sorseggiavano un caffè.
«Questo caffè diventa ogni giorno più simile ad un’acqua sporca.» fece il ragazzo.
«Resta sempre caffè delle macchinette, anche se costa poco.» rispose la riccia.
Kai individuò i due come potenziali GPS umani e decise di chiedergli indicazioni per raggiungere il giardino.
«Scusate...» fece, interrompendo i loro discorsi.
«Ciao, ti serve qualcosa?» gli rispose la ragazza, mentre girava il caffè.
«Dovrei raggiungere il giardino dell’Università, ma non so dove sia. Potreste dirmi come arrivarci?» chiese il semidio, mentre controllava l’orologio. Mancavano due minuti alle dieci.
«Certo, vieni con noi, stiamo andando in quella direzione.» rispose il ragazzo, facendo cenno sia a Kai che alla sua amica di seguirlo.
«Ah, grazie mille.» rispose Kai, sorridendo.
«Figurati. Sei uno studente?» gli chiese la riccia, mentre camminavano.
«Veramente no, devo soltanto incontrare una persona. Voi due, invece, studiate qui?»
«Già, dobbiamo laurearci fra tre mesi.» rispose il ragazzo.
«In cosa?» chiese Kai, con la curiosità di chi faceva domande per scacciare l’agitazione.
«Archeologia.»
Dovevano essere studenti di Deucalion, pensò il semidio. Sembravano simpatici.
«Comunque, io mi chiamo Max.» fece il ragazzo con i capelli corvini.
«Io invece sono Aurora.» gli fece eco la ragazza riccia.
«Piacere, io mi chiamo Kai.» rispose, mentre controllava l’orario per l’ennesima volta. Le dieci precise. Iniziava a chiedersi dove diavolo fosse quel giardino.
«Siamo arrivati, l’entrata del giardino è quella.» disse Max, indicando una porta scorrevole su cui era disegnato un grande albero stilizzato, diviso tra le due ante. «È stato un piacere conoscerti, Kai.»
«Anche per me. Ciao!» rispose il ragazzo con gli occhi verdi, mentre correva verso la porta scorrevole.
Aurora e Max si diressero verso la biblioteca di archeologia, che era posizionata lì vicino.
«Simpatico, vero?» fece Max alla ragazza.
«Anche piuttosto carino.» rispose lei.
Orione era lì ad aspettare, comodamente seduto sul prato, con la schiena poggiata sulla fontana al centro del giardino. Stava leggendo un libro, mentre teneva la gamba sinistra distesa e quella destra piegata per poggiarvi il gomito sopra. Sembrava piuttosto assorto nella lettura, tanto da non accorgersi di cosa gli capitava intorno.
Kai lo osservava da dietro la porta scorrevole, un po’ in agitazione. La luce del sole baciava la carnagione olivastra di Orione, e donava ai suoi occhi un colore azzurro più acceso e profondo di quel che ricordava, mentre continuava a stare con la testa china sulle pagine stampate. Una maglietta leggera a mezze maniche, nera, lo rendeva irresistibile agli occhi di Kai, che prese ad agitarsi ancora di più.
«Coraggio» disse, a voce bassa. «Va tutto bene, non è la prima volta. Respira.»
Si fece coraggio ed oltrepassò la porta scorrevole.
Casa di Rodia era piuttosto carina. Piccola e accogliente, adatta per lei e la sua coinquilina. Qua e là c’erano appunti, fogli sparsi e libri buttati per aria, normale amministrazione per una casa di universitarie, ma nel complesso era ordinata.
«Carina casa tua.» le fece Percy, guardandosi un po’ intorno.
«Grazie. Scusa il disordine, ma ultimamente non ho troppo tempo per mettere a posto la casa.» si scusò la ragazza.
«Ma questo non è disordine» disse una ragazza bionda, spuntando di spalle dalla cucina. «Questo è caos artistico.» proseguì poi, mentre spazzava il pavimento con la scopa, sempre rimanendo di spalle.
«Persefone...»
«Sì?» rispose la ragazza.
«Non è carino dare le spalle ad un ospite.» la ammonì Rodia.
«Ma dai, è Max...» disse, rimanendo intenta a pulire per terra.
«Veramente io mi chiamo Percy.» si intromise il biondo. Persefone si girò di scatto verso di lui, accorgendosi finalmente che il ragazzo entrato in casa non somigliava nemmeno lontanamente a Max. Aveva dipinta in viso l’espressione di chi era convinto di aver appena fatto una pessima figura, con gli occhi verdi spalancati, rivolti prima a Rodia e poi a Percy.
«Ah, sì, cioè, è che credevo fosse Max...» farfugliava, mentre diventava rossa in volto. Rodia cercò di tagliare la nebbia dell’imbarazzo con le presentazioni.
«Lei è Persefone, la mia coinquilina. Persefone, lui è Percy, mi sta aiutando con la tesi.» disse.
«Piacere di conoscerti.» fece il biondo, stringendo la mano alla ragazza.
«Ah, anche per me.» rispose lei, imbarazzatissima, mentre ancora teneva in mano il manico della scopa. Percy ebbe modo di osservarla meglio. Persefone era una bella ragazza, nonostante in quel momento sembrasse una casalinga, con il viso puntinato di lentiggini e degli occhi color verde acqua davvero meravigliosi. I capelli biondi, lunghi e leggermente ondulati, erano di una sfumatura molto chiara, e alla luce diventavano quasi bianchi. Aveva lineamenti delicati. La carnagione luminosa e il viso piccolo, dall’ovale perfetto, la facevano somigliare a quelle fate di cui sono pieni i libri e i film fantasy.
Nonostante l’aspetto fatato, comunque, era una vera campionessa nel fare figure di merda.
Percy distolse il suo sguardo da Persefone per rivolgerlo di nuovo a Rodia.
«Allora, dicevi di avere degli appunti qui.»
«Ah, sì, certo, sono in camera mia, vado a prenderli subito.» rispose la ragazza.
«Ti accompagno.» replicò il biondo, cogliendo la palla al balzo.
«Ah… va bene, per di qua.» fece Rodia, un po’ in imbarazzo, mentre si incamminava verso la sua stanza.
«Chiudete la porta, mi raccomando.» urlò ai due Persefone, che aveva una vaga idea di come sarebbe andata a finire la situazione.
Orione era ancora alle prese con il suo libro, quando Kai si sedette vicino a lui e lo salutò.
«Ciao, Orione.»
Quello distolse lo sguardo dalle pagine stampate, e solo allora si accorse della presenza di un’altra persona accanto a se.
«Oh, ciao, Kai. Scusami, non mi ero accorto che fossi arrivato.» rispose il ragazzo, con un sorriso, mentre metteva via il libro. Kai era ancora tremendamente agitato, perciò cercò di non far cadere il discorso.
«Cosa stavi leggendo?» gli chiese.
«L’Antigone di Sofocle, la conosci?» rispose Orione.
«Percy me ne aveva parlato qualche tempo fa, ma non l’ho mai letta di persona.»
«È un’opera molto bella, una delle mie preferite.» ribatté il ragazzo dagli occhi azzurri, in tono leggermente sognante.
Kai era sempre più affascinato da quel ragazzo bellissimo, che sembrava avere una profonda conoscenza dell’antichità classica. Bello e intelligente, come piaceva a lui.
«Mi sarebbe piaciuto leggerla.»
«Vuoi che te ne legga qualche passo?» gli chiese Orione.
«Mi piacerebbe molto.» rispose Kai, sorridendogli.
Orione iniziò a leggere la parte in cui Antigone e Ismene parlano tra di loro, dopo la morte del loro fratello e il divieto di Creonte di seppellirlo. Kai lo ascoltava affascinato, mentre parlava di leggi divine e mortali, e per quella breve ora il mondo intorno a loro smise di esistere, mentre le verdi iridi del semidio brillavano leggermente.
Rodia stava sfogliando un quaderno, alla ricerca dei suoi appunti, mentre Percy si guardava intorno.
La camera della rossa era tutto un fiorire di poster di gruppi musicali, con relativi biglietti dei concerti attaccati vicino. In un angolo della stanza era adagiata una chitarra classica, e sulla scrivania della ragazza erano presenti gadget dei più disparati gruppi rock, oltre ad una gran quantità di plettri.
«Ti piace molto la musica, vero?» le chiese il biondo.
«È una delle mie passioni fin da bambina, in effetti.» rispose lei, girandosi verso Percy.
«Sai anche suonare la chitarra?»
«Sì, ma ho lasciato le lezioni da qualche anno. Con l’Università non avevo molto tempo per dedicarmici come prima.»
«Certo, è comprensibile.» le rispose il ragazzo. Poi si avvicinò a lei da dietro e le mise le mani sulle spalle. «Sai che ho sempre ammirato chi suona uno strumento?» aggiunse. Rodia avvampò violentemente e rimase ferma dov’era, di spalle, per non far vedere il suo rossore.
«Da-davvero?» fece lei, cercando, inutilmente, di non far tremare la voce. Il respiro le divenne più affannoso.
«Davvero» rispose Percy, mentre spostava le mani sui suoi fianchi, cingendole la vita, e iniziava a baciarle il collo. Rodia iniziò a rilassarsi e si girò lentamente, facendo ondeggiare i capelli. Il suo rosso ramato risplendeva del colore della passione, mentre alzava i suoi occhi color nocciola verso il suo viso.
Era ancora rossa in volto.
«E sai che cos’altro ho sempre ammirato?» disse il biondo, sfiorandole la guancia destra con la mano.
«Che cosa?» rispose lei, guardandolo nei suoi limpidi, profondi e bellissimi occhi azzurro fiume.
I volti dei due ragazzi erano ad un centimetro di distanza l’uno dall’altro.
«La bellezza di un volto pieno di speranze e sogni. Come il tuo.» disse, poco prima di baciarla appassionatamente, trascinandola in una dimensione eterea, fatta di sogni e di amore.
Rodia contraccambiò il bacio subito dopo, delicatamente. I due si guardarono negli occhi per un secondo, un infinito secondo. E poi presero a baciarsi con più passione, con più desiderio, mentre i vestiti di entrambi volavano via, rivelando corpi colmi di brama, di smania d’amore, di cupidigia per l’altro. I due erano avvinghiati l’uno all’altro, come se avessero paura di perdersi, e danzavano la vorticosa danza della sensualità, il vertiginoso valzer della carnalità, soddisfacendo a pieno i bisogni del proprio corpo e della propria anima, in un turbine di baci, di ansimi e di gemiti di piacere. Non gli importava che qualcuno li potesse sentire. Erano diventati, per quei momenti, una cosa sola, con un solo corpo e una sola anima, in armonia con il mondo. L’energia che pervadeva entrambi sembrava essere illimitata, rinnovata continuamente dalla loro passione.
E si unirono nella loro intimità, con ardore e passione, come fanno due ragazzi che si amano. Come fanno due ragazzi con lo spirito dell’Amore dentro di loro.
Erano le undici, e Orione si rese conto di quanto fosse tardi.
«Devo andare, Kai, ho lezione.» fece, mentre infilava nello zaino il suo libro.
«È già così tardi?» chiese il semidio, che non voleva staccarsi dal ragazzo.
«Vorrei rimanere di più, ma ho lezione con la professoressa Chrise, e non ammette ritardi.» rispose Orione, mentre iniziava ad avviarsi fuori dal giardino.
«Aspetta!» lo fermò Kai.
«Sì?»
«Posso… accompagnarti?» chiese, timidamente.
«Certo, se ti va.»
I due ragazzi uscirono dal giardino insieme, parlando tra di loro di tutti gli argomenti che gli passassero per la testa. E Kai, felice com’era, aveva un gran sorriso stampato in volto.
Minerva e Riolu, intanto, stavano camminando senza meta nei corridoi gremiti di persone dell’Università, tenendosi comunque vicino al giardino. Nel mezzo del loro girovagare, Minerva intravide Kai e Orione davanti una delle tante aule dell’ateneo, mentre parlavano di chissà cosa.
«Riolu, secondo te di cosa stanno parlando?» chiese la ragazza al piccolo Pokémon. Quello guardò prima i due ragazzi e poi guardò Minerva, aggrottando un po’ la fronte.
«Hai ragione, probabilmente Kai gli sta chiedendo un secondo appuntamento. Lo fa sempre, se al primo non si annoia.»
I due ragazzi si salutarono, e Kai prese a camminare verso Riolu e la sua amica, sorridendo.
«Quanto scommetti che non ci vede perché è ancora nel mondo dei sogni?» disse Minerva al piccolo Pokémon. In effetti, il ragazzo stava per sorpassarli senza vederli, quando Riolu richiamò la sua attenzione tirandogli un lembo dei jeans.
«Ehi, Riolu!» fece, piegandosi. «Dov’è Minerva?»
«Alza lo sguardo.» gli fece lei.
«Oh, eccoti, non vi avevo visti.»
«L’avevamo notato. E noto anche che non riesci a smettere di sorridere. Deduco che l’appuntamento sia andato bene.»
«Benissimo! È bello, è intelligente, è fantastico!» fece Kai, esternando la sua felicità.
«Allora vi rivedrete?» gli chiese Minerva, curiosa, anche se intuiva già la risposta.
«Fra tre giorni, al parco qui vicino» le rispose lui, sempre più felice. «Piuttosto, hai visto Percy e Deucalion? Magari riusciamo a tornare a casa sua senza che si accorga di niente.»
«No, non li ho visti, ma ho chiesto un po’ in giro. Percy è stato visto uscire da qui poco più di un’ora fa, Deucalion invece dovrebbe essere nel suo studio da questa mattina.»
«Ottimo, allora torniamo a casa in fretta.» propose il ragazzo.
Riolu, intanto, era presissimo dal basamento di un bassorilievo lì vicino, che aveva attirato la sua curiosità, e non prestava la minima attenzione a quello che dicevano Kai e Minerva.
«D’accordo, muoviamoci. Vieni, Riolu.» rispose la ragazza, facendo cenno al Pokémon di seguirli, mentre si tuffavano tra tutte le persone che giravano nei corridoi.
Ora che lo studio era finalmente in ordine, Deucalion si stava dedicando ad alcune scartoffie che recavano il sigillo dell’Università di Aeteria. Sembravano essere particolarmente importanti.
Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti.»
«Ciao, Deucalion.» fece Matilde, entrando nella stanza. «Hai già messo a posto, vedo.»
Il professore smise di esaminare i fogli e alzò lo sguardo verso la donna.
«Merito di Percy, mi ha aiutato lui.»
«Gli vuoi davvero molto bene. Ne parli ogni volta come se fosse davvero tuo figlio.»
«Già, sai com’è andata.» rispose Deucalion, accennando un piccolo sorriso. «A proposito, lo hai visto, per caso?»
«L’ho visto uscire dall’Università insieme ad una ragazza, un po’ prima delle dieci.»
Deucalion aveva più o meno intuito cosa fosse successo. «Una ragazza con i capelli rossi e lisci?» le chiese.
«Esatto, la conosci?» fece Matilde, curiosa.
«Più o meno. È una studentessa che segue le mie lezioni, deve laurearsi a breve.»
«Percy la aiuta con la tesi?»
«Già. E credo che lei gli piaccia, ultimamente me ne ha parlato spesso.» rispose Deucalion, con uno sguardo furbo negli occhi.
«Non sta bene farsi gli affari degli altri, lo sai.» lo rimproverò Matilde, dolcemente.
«Io spero solo che lo aiuti ad essere più tranquillo. Ultimamente è in ansia per la sorte del suo amico.»
«Pensa che Kai sia quel semidio, vero?» disse Matilde, con un’ombra che le passava sul viso.
«Già. E non posso dargli torto, quel ragazzo è più potente di chiunque io abbia mai incontrato in vita mia.»
«Potrebbe sempre non essere lui...»
Il silenzio calò nella stanza.
«Vorrei tanto crederci anch’io, Matilde.» aggiunse Deucalion, tristemente.
Percy e Rodia erano nudi nel letto, coperti soltanto da una coperta leggera e un lenzuolo, esausti. Tutta l’energia che avevano fino a pochi minuti fa li aveva abbandonati di colpo. La ragazza aveva la testa poggiata sul petto di Percy, che guardava il soffitto con sguardo assente, mentre con la mano destra sfiorava la schiena della rossa, disegnando delicatamente dei ghirigori sulla sua candida pelle olivastra.
Si sentiva a malapena il respiro di entrambi, ora che la passione tra i due si era calmata.
Rodia alzò la testa dal petto del ragazzo, facendo risplendere i suoi capelli rossi. «È stato bellissimo.» disse, guardandolo negli occhi.
«Ti è piaciuto?»
«Moltissimo.» rispose, e poi lo baciò delicatamente, per alcuni secondi.
«Anche tu mi piaci.» replicò Percy dopo il bacio, sorridendo.
I due ragazzi si sentivano completamente realizzati, illuminati dalla luce del sole che penetrava dal balcone, in pace con tutto, quando un urlo interruppe il perfetto stato di cose che si era creato.
«Rodia, è pronto il pranzo!» gridò Persefone dalla cucina, per farsi sentire. Decisamente inopportuno, in un momento del genere.
A Rodia mancò improvvisamente un battito. Probabilmente la sua coinquilina si era dimenticata di quello che stava succedendo, come già aveva fatto altre volte. Infatti, non era raro che andasse ad aprire la porta di casa mentre era in mutande o che facesse bruciare il caffè perché, nel mentre, si era messa a studiare.
«Forse è meglio che me ne vada.» suggerì Percy.
«Tranquillo, non è niente, Persefone combina di peggio. Puoi restare, se ti va.» rispose la rossa, ora che si era resa conto di cosa stesse succedendo.
«Sicura? Non è imbarazzante?»
«Non preoccuparti, mangia qualcosa con noi.» rispose, poco prima di baciarlo di nuovo.
«D’accordo, allora, rimango qui con te.» disse il biondo, sorridendo. «Però dovresti farmi vestire.» aggiunse poi.
«Devi proprio?» fece Rodia, in tono piagnucoloso.
«Non vorrai che anche Persefone mi veda nudo.» replicò lui, divertito.
«No, in effetti no.» rispose la rossa, alzandosi e lasciando libero il petto di Percy. Iniziò a rivestirsi, mentre il ragazzo continuava a rimanere sdraiato, fissandola.
«Sei bellissima.» le disse lui. Rodia lo guardò e sorrise, arrossendo leggermente. Era vero, lo sapeva anche lei, anche se non se ne vantava. Oltre ai suoi bellissimi occhi color nocciola e ai suoi capelli color rosso ramato, Rodia aveva una delicata carnagione olivastra con curve sorprendentemente sviluppate e un corpo tonico. Il viso era tondo, ma non la faceva sembrare grassa, quanto piuttosto più formosa.
Qualcuno bussò alla porta. Percy girò di scatto la testa, invece la ragazza si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a sbuffare.
«Rodia? Che diavolo stai facendo lì dentro? È mezz’ora che ti chiamo.»
Di nuovo Persefone. Era davvero imbranata, a volte.
«Arriviamo subito!» rispose la rossa, urlando. Poi si rivolse a Percy: «Credo proprio che dovresti rivestirti.» gli fece, lanciandogli i suoi boxer neri.
«In effetti questi potrebbero servirmi.» fece lui, prendendoli al volo. Si alzò in piedi e si avvicinò alla ragazza, ancora nudo. «Anche se non in questa stanza.» aggiunse, mentre si faceva di nuovo strada in lui la prepotente voglia di esprimere la sua energia fisica. Percy era conosciuto in Università come il ragazzo che aiutava tutti con gentilezza, quello a cui potevi sempre chiedere un favore, ma non era soltanto questo a farlo apparire irresistibile agli occhi di Rodia e di molte altre ragazze. Era un bel ragazzo, alto, muscoloso, con una corporatura slanciata e un paio di stupendi occhi di un azzurro limpido come l’acqua di un torrente di montagna. Irraggiungibile per molte, poche altre sapevano invece che era anche molto bravo a letto.
Rodia poggiò un dito sui suoi addominali, con fare sensuale, e lo fece scendere lentamente, arrivando a toccare la virilità del ragazzo. «In questa stanza no, in effetti» fece, guardando il suo dito. «Ma in quell’altra sì. Dai, vestiti, altrimenti Persefone è capace di entrare qui dentro.»
«Uffa, va bene.» rispose il biondo, con un’espressione da cucciolo bastonato, prima di infilarsi i boxer e il resto dei vestiti.
Quando tutti e due furono di nuovo presentabili, Rodia aprì la porta della sua stanza, ancora con i capelli leggermente scompigliati. I due ragazzi si diressero in cucina, dove la ragazza bionda stava aspettando. Rodia entrò per prima, e Persefone attaccò subito a lamentarsi: «Ti ho chiamata cento volte!» fece. Poi notò i capelli della sua coinquilina e si zittì per un attimo, un secondo prima che Percy entrasse in cucina, fermandosi sull’uscio.
«Ti dispiace se rimango anch’io a pranzo?» le chiese gentilmente. La ragazza finalmente realizzò, mentre Rodia la guardava. «Ah.» fece, arrossendo.
«Persefone? Tutto a posto?» le chiese la sua coinquilina.
«Ehm… sì, sì, certo, tutto a posto» rispose lei. «Certo che puoi rimanere! Ti piace il minestrone?» chiese, mentre si buttava verso la pentola lasciata sul piano cottura, cercando di non far vedere quanto fosse imbarazzata.
«Ma certo.» rispose Percy.
Kai e Minerva stavano uscendo dalla stazione della metropolitana davanti casa di Deucalion, dopo aver usato i soliti trucchetti. Camminavano tranquillamente, come se nulla potesse dargli preoccupazione. Kai aveva ancora un gran bel sorriso stampato in faccia, e per tutto il viaggio non aveva fatto altro che parlare a Minerva del suo appuntamento. Riolu, invece, aveva deciso che non gli andava di ascoltare tutte quelle parole, e perciò si era messo ad esaminare qualsiasi cosa attirasse la sua curiosità, anche dentro il treno.
Erano le dodici e un quarto, quasi ora di pranzo. Arrivati davanti casa, i due ragazzi si resero conto di non avere le chiavi.
«E ora come entriamo?» chiese Kai, mentre Riolu osservava una statua vicino la fine del vialetto.
«Tranquillo» rispose Minerva. «Ho lasciato una finestra aperta proprio in previsione di una cosa del genere. Dobbiamo solo arrampicarci su quell’albero.» continuò, indicando un grande abete con un ramo proteso verso una finestra.
«D’accordo, muoviamoci. Vieni, Riolu.» rispose il semidio, chiamando il suo Pokémon.
Rapidamente, i due ragazzi e Riolu si arrampicarono sul grande abete ed entrarono nella camera di Minerva.
«Ho tanto bisogno di una doccia...» fece la ragazza, scrollandosi qualche ago di dosso.
«Io invece ho tanto bisogno di mangiare qualcosa, sto morendo di fame.» replicò il ragazzo. Anche Riolu aveva fame.
«Non puoi aspettare che mi faccia la doccia?» rispose Minerva, mentre iniziava a spogliarsi.
«Uff… va bene, ma sbrigati, io e Riolu abbiamo fame.»
«Dovresti fartene una anche tu, stamattina ti sei soltanto lavato la faccia.» fece la ragazza, mentre si toglieva i pantaloni.
«Mi insaponi la schiena?» le chiese il semidio.
«Certo.» rispose lei.
«Ok, allora. Mi spoglio e arrivo, tu intanto fai riscaldare il bagno.» disse il ragazzo, mentre si toglieva il giubbotto.
«Dai, sei un grande e potente semidio. E dopo tutte le docce gelate che Henrietta ti ha fatto all’Ilitia, hai ancora paura di trovare il bagno freddo?» lo canzonò Minerva.
«Lo sai che sono freddoloso...» rispose, mentre si toglieva la maglietta, mostrando il suo fisico asciutto. Minerva, intanto, era già in mutande e reggiseno e aveva alzato il riscaldamento nel bagno.
Kai si tolse i pantaloni e li buttò sul letto della sua amica, senza curarsi troppo di poggiarli delicatamente per non farli stropicciare.
«Riolu, ci facciamo una doccia e dopo mangiamo qualcosa, ok? Tu fai il bravo.» fece il ragazzo al Pokémon. Riolu, appena intuì che si stava parlando di cibo, sorrise e si mise seduto buono sul letto, adagiato sul mucchio di vestiti del suo amico.
Kai si sfilò le mutande, aprì la porta ed entrò nel bagno, mentre Minerva, nuda anche lei, stava già entrando nella doccia. Erano abituati a fare la doccia insieme o anche a stare nudi uno di fronte all’altra, come quando due fratellini fanno il bagno in mare senza costume. Il semidio e la sua amica, pur non avendo sangue in comune, avevano sviluppato fin da piccoli una specie di legame a doppio filo, come quello che si instaura tra due gemelli. In effetti, avevano la stessa età, entrambi sedici anni, e in tutto questo tempo, Kai era stato l’unico a vedere Minerva nuda. Lo stesso non si poteva dire per il ragazzo, date tutte le sue avventure. Una volta ci aveva perfino provato con Percy, durante una delle tante fughe dall’orfanotrofio, ma l’amico gli aveva prontamente dato il due di picche, facendogli capire che non avevano gli stessi gusti.
«Credo che dovrei iniziare a fare qualche esercizio.» disse il ragazzo, mentre si insaponava.
«Lo hai detto ogni volta che hai conosciuto un ragazzo.» rispose Minerva.
«Ma sento che con Orione è diverso.» gli rispose Kai, mentre iniziava ad immaginarselo senza vestiti.
«Secondo me sei troppo preso. Non hai i bicipiti degli attori in TV, ma hai comunque un bel fisico.» fece in risposta la ragazza. «E non farti venire erezioni mentre siamo nella doccia.» aggiunse, vedendo che Kai era un po’ troppo preso dall’argomento.
«Come se fosse la prima volta che succede. E poi sei mia sorella.»
«Girati che ti insapono la schiena, dai.» fece la bionda, come se la risposta del semidio fosse la cosa più normale del mondo.
Kai iniziò a farsi lo shampoo, intanto.
«Comunque, quando stamattina ho visto Percy, era in compagnia di una ragazza.»
«Davvero? Secondo te dove stavano andando?»
Minerva si bloccò per un secondo, in una sorta di trance. Kai però non notò nulla, perché la ragazza continuava ad insaponargli la schiena, e anche perché era abbastanza preso dal non farsi andare lo shampoo negli occhi.
«A casa sua.» rispose la ragazza, passato il momento di trance. Un altro di quei momenti. Minerva aveva visto una scena molto nitida: Percy e Rodia da soli, nella stanza della rossa, nudi sul letto.
Ora che aveva scoperto che Kai era un semidio, ricordò di aver letto, molto tempo fa, della dea della Sapienza, la divinità protettrice di Athena. Oltre ad essere, secondo antichi poeti e sapienti, la divinità delle arti femminili, il suo potere più grande era sapere tutto ciò che accadeva nel passato e nel presente, in qualsiasi parte del mondo. Si diceva che avesse generato alcuni figli, infusi del suo potere: strateghi ricordati in eterno, grandi condottieri, ma anche sapienti e studiosi famosi.
E c’era un particolare che l’aveva colpita in tutti i dipinti che la ritraevano: i suoi occhi cerulei, dalle iridi bianche, che sembravano contenere tutto il sapere del mondo, incorniciati da uno sguardo che nascondeva sempre una punta di malinconia, come se fosse venuta a conoscenza di qualcosa di talmente terribile da sconvolgere persino l’eterna pace di cui godevano le divinità.
«Credi che Percy ci stesse provando?» le chiese Kai, insinuandosi in quell’attimo di riflessione. Minerva si ridestò come da un sogno. «Credo di sì» rispose. «Ricordi quella ragazza con i capelli rossi di cui ci aveva parlato un po’ di tempo fa?»
«Uhm… mi sembra di sì. Come si chiamava? Rossa?»
«Rodia. Comunque, credo proprio si tratti di lei.»
«Quindi pensi che Percy e questa ragazza abbiano...»
«Fatto sesso?» continuò la frase Minerva. «Sì, penso proprio di sì.»
«Percy ha imparato bene.» fece il semidio, ridacchiando, mentre si risciacquava i capelli.
«Non fare lo sbruffone, Kai.» lo ammonì la ragazza. «E fatti passare quell’erezione, ora tocca a te insaponarmi la schiena.»
«Va bene.» rispose Kai, ridacchiando.
Deucalion e Matilde erano appena entrati in casa, quando il professore ricevette un messaggio sul suo cellulare, da parte di Percy.
Ho un impegno e non tornerò per pranzo.
Tu e gli altri non aspettatemi, tornerò a casa con i mezzi.
Deucalion immaginò subito che l’impegno di Percy avesse i capelli rossi.
«Deucalion, mi metto a preparare il pranzo.» gli disse Matilde.
«Togli la porzione di Percy, non torna a mangiare.»
«Ha avuto qualche problema?» gli chiese la donna.
«Non lo definirei proprio un problema.» rispose il professore, ridendo. Matilde afferrò il senso del discorso. «D’accordo, allora tolgo la sua porzione. Ti chiamo quando è pronto.»
«Va bene, allora io salgo su da Kai e Minerva.» disse il professore, iniziando ad incamminarsi su per le scale.
Arrivato nella stanza di Minerva, la più vicina alla scalinata, Deucalion vide soltanto Riolu che aspettava seduto sul letto. «Riolu, dove sono Kai e Minerva?» gli chiese. Il piccolo Pokémon indicò la porta del bagno con una zampa. «In bagno?» chiese l’uomo, girandosi in quella direzione. Riolu guaì per confermarlo, poco prima che la porta si aprisse, mostrando un Kai nudo che si asciugava i capelli con un asciugamano.
«Ah, ci voleva davvero.» fece, soddisfatto, prima di rendersi conto della presenza di Deucalion. Si portò subito l’asciugamano sulle parti basse, per coprirsi. Non era troppo abituato a farsi vedere nudo da qualcuno con cui non aveva fatto sesso. «Ah, Deucalion, sei già tornato?» fece, leggermente imbarazzato.
«Già. Minerva dov’è?» chiese l’uomo.
«Ancora in bagno, si sta asciugando i capelli.»
«Avete fatto la doccia… insieme?»
«Ehm… sì, che c’è di strano?» gli chiese il ragazzo. In effetti, non era troppo normale che un ragazzo e una ragazza si facessero la doccia insieme, anche se non per i due ragazzi. Deucalion rimase un attimo zitto, prima di ricordarsi dell’orientamento sessuale di Kai. «Oh… nulla, certo.» si limitò a dire. «Be’, quando avete finito di asciugarvi, nell’armadio di ognuno ci sono dei vestiti puliti. Tra un po’ il pranzo è pronto.»
«Va bene, grazie.» lo ringraziò Kai, ancora un po’ imbarazzato. Deucalion uscì dalla stanza, e il semidio ritornò in bagno, chiudendo la porta dietro di lui. «Ho appena fatto una figura di merda.» disse, rivolto a Minerva, mentre la ragazza si aggiustava un turbante fatto con un asciugamano.
«Deucalion ti ha visto nudo?»
«Ehm… già.»
«E allora? Non è neanche la prima volta che ti succede.»
«Sì, ma Deucalion… ha dieci anni più di me, dai! E poi ti piace.»
Minerva si girò di scatto verso il suo amico. «Lui non mi piace!» disse prontamente.
«Come no.» rispose il semidio. «Infatti quando eravamo in Università lo guardavi solo perché conosceva la strada, vero? Cos’è, avevi paura di perderti?» la canzonò poi, giocherellando con l’asciugamano che aveva in mano, mentre era ancora nudo.
«Kai…» fece Minerva, assumendo un’espressione inquietante. «Stanotte ti uccido nel sonno.»
Orione aveva finito le lezioni del mattino, e stava uscendo dall’aula con alcuni suoi amici, diretti verso il parco lì vicino per consumare il pranzo. Stava ridendo e scherzando su quanto alcuni professori fossero davvero incapaci a spiegare, quando gli arrivò un SMS sul cellulare.
Vieni in aula magna, ti devo parlare.
- A
«Ehi, Orione, con chi parli?» gli chiese un ragazzo con un cespuglio in testa. «Forse con quel ragazzo con cui eri stamattina?»
«Dai, Frederick, smettila.» lo ammonì una ragazza con un caschetto biondo.
«No, è che… Talìa, ti dispiace portare anche il mio pranzo? Vi raggiungo tra poco al parco.» rispose il ragazzo.
«Certo, dammi pure.» gli rispose Talìa. «Ma tu dove vai?»
«Torno subito, devo soltanto parlare con una persona.» fece Orione, incamminandosi verso l’aula magna. Appena girato l’angolo, però, si fermò a guardare lo schermo del cellulare, pensieroso.
Gli tornò in mente il libro che aveva letto a Kai. La storia di Antigone, l’eroina tebana che aveva affascinato intere generazioni di giovani e di pensatori, così fedele verso il suo defunto fratello da non accettare le imposizioni di un tiranno.
Orione rispose alla conversazione di prima:
Ora non posso, non cercarmi.
E si diresse verso i suoi amici, che erano arrivati soltanto all’ingresso dell’Università.
«Ehi, hai già fatto?» gli chiese Talìa.
«Per la verità no, mi sono ricordato che oggi quella persona non è qui.» rispose. «Dai, andiamo a mangiare, ho fame.»
Si incamminarono verso il parco, mentre Orione ancora pensava se il suo primo atto di ribellione fosse stato giusto o meno.