La misteriosa scomparsa di Ninez

~Nigeris.

Parroco
Capitolo 1°

Silenzio. La notte era appena calata e due uomini si muovevano lentamente e silenziosamente. Sembravano ombre, invisibile nell’oscurità della Foresta Nera. Avevano entrambi una maschera, che nascondeva il loro volto. Si avvicinavano sempre più verso la radura presente al centro della foresta. “Ehi, Jack! Stiamo facendo quello che nessuno aveva mai avuto il coraggi di fare... siamo entrati nella radura della foresta… tutti dicevano che un mostro ci avrebbe sbranati prima che l’avessimo raggiunta. E invece…eccoci qua… sani e salvi!” bisbigliò a bassa voce uno dei due. L’altro lo guardò molto male e gli tappò la bocca. “Deficiente! Se ci scoprono sono guai!” lo riproverò irritato notevolmente. Poi si spostarono proprio nel bel centro della valle. Lì, era appostata una struttura archeologica. Si diceva fosse stata costruita da degli stregoni Maia per maledire tutti i profanatori del dio Zalarmon, divinità immortale rappresentante tutto ciò che fosse punitivo. “Ecco, prendi la bomboletta Ninez” disse Jack. Il compagno ubbidì subito. “Tu comincia… io vedo se c’è qualcuno… in ogni caso, aspettami sempre.” Continuò il ragazzo. Poi si allontanò per controllare la zona. Ninez era un ragazzo di quattordici anni, scaltro ma pauroso. Jack, fin dalla seconda elementare, aveva preso le sue difese e perciò il quattordicenne gli era devoto. Adesso il ragazzo si apprestava ad imbrattare una delle mura, scrivendo “Gli JFR sono stati qua” ma quando il primo schizzo di vernice toccò la lamina, un’intensa luce apparve. Ninez, spaventato, cadde all’indietro, sbattendo violentemente il fondoschiena. La stessa luce apparsa pochi istanti prima, cominciò in qualche misterioso modo, a pronunciare parole chiare, con voce profonda e tenebrosa, a dir poco spaventevole. “Tu, tu hai profanato la tomba di Zalarmon. E, tu, perirai nelle fiamme più cocenti che la mia ira potrà scatenare sul tuo puerile corpo. Ramtros!!” sentenziò. Un varco, simile a un buco nero, apparve proprio sotto a Ninez, che cadde, cadde, sprofondò nell’oblio più temibile, gridando, implorando aiuto, in speranza che il suo eterno amico, lo venisse a salvare. E prima che ogni essere potesse notare l’accaduto, la luce scomparve, e il buco si chiuse, senza colpo ferire, inghiottendo il povero ragazzo disperato. Jack corse sul post. “Che è successo….Ninez? Ninez? Dove sei finito scemo? Non è ora di giocare! Perché non hai ancora scritto nulla?” disse con aria arrabbiata ma profondamente preoccupata il ragazzo. Quando, dopo momenti si intensa paura, vide la bomboletta a terra, mezza ammaccata, Jack entrò in crisi. Pensò che il suo amico era stato rapito, che un mostro lo avesse mangiato, che gli alieni lo avessero portato via, pensò qualunque cosa in quei secondi. Poi, traumatizzato, cercò di riprendersi. Jack sentì dei cani abbaiare e delle luci muoversi. Subito, senza pensare, si mise a correre, verso casa sua, dove avrebbe dimenticato tutto, dove tutto sarebbe tornato come prima, almeno pensava.

Un raggio di sole sveglio con delicatezza Jack, un ragazzo di quattordici anni. Occhi azzurro intenso con tendenza al grigio, capelli neri come il carbone, naso sottile ma non aquilino, orecchie grandi ma non protuberanti, fronte spaziosa, ma non troppo, zigomi pronunciati, ma non eccessivamente. Spavaldo, gentile e intelligente, ma non si vantava mai. Era sempre con i più deboli, per i più deboli. Li difendeva. E la sua altezza, il suo fisico massiccio, faceva allontanare qualunque malintenzionato. Il ragazzo si alzò dal letto, stanco, e con movimenti molto lenti si avvicinò al bagno. Entrò, e dopo un quarto d’ora uscì con un aria completamente diversa. Sveglio, pimpante, ma soprattutto lucido come un diamante. Si vesti velocemente e scese subito a fare colazione. Sul tavolo, ad aspettarlo in trepidante attesa, delle cialde con lo sciroppo d’acero e un bel bicchiere di aranciata fresca. Con un sorriso a trentadue denti il ragazzo salutò la madre e si mise a mangiare. Poi, dopo essersi fatto il dentifricio, salutò la madre e il cane Bobby, e uscì di corsa, verso la casa del suo amico Ninez. Lì, davanti alla porta di casa spalancata, la madre dell’amico nervosa, sovreccitata, preoccupata, arrabbiata. “Finalmente Jack!! Dov’è mio figlio?” chiese con un aria che avrebbe potuto trasmettere il nervosismo a chiunque, anche a un santo. “Ma, signora Dayflow…. vede… io sarei venuto per andare a scuola con suo figlio….” disse Jack, intimorito dallo sguardo accusatorio della donna. “COOOOOOSAAAAAAA? Ma se ieri sera è uscito con te e siete andati alla foresta!” gridò innervosita la donna. “Ma…permanete…io…beh…..l’ultima volta che l’ho visto stava tornando a casa… comunque adesso devo andare… a…arr….arrviderci!” disse in maniera sbrigativa Jack, spaventato di quello che la madre del suo amico gli avrebbe potuto fare. Presa un distanza di sicurezza di 500 metri, il ragazzo tirò un sospiro di sollievo… ma non per molto… Pensò che quello che fino a qualche minuto prima credeva un incubo era accaduto realmente e quindi…. Il suo migliore amico era scomparso per quella maledetta voglia di dimostrare che non aveva paura! “Però una scomparsa così improvvisa mi insospettisce anche troppo… sarà meglio vederci più chiaro…” disse fra se e se il ragazzo, mentre si avviava verso la classe….

TO BE CONTINUED
 

Slayer

Rappresentante di classe
**Midnight Devil** ha scritto:
Capitolo 1°

Silenzio. La notte era appena calata e due uomini si muovevano lentamente e silenziosamente. Sembravano ombre, invisibile nell’oscurità della Foresta Nera. Avevano entrambi una maschera, che nascondeva il loro volto. Si avvicinavano sempre più verso la radura presente al centro della foresta. “Ehi, Jack! Stiamo facendo quello che nessuno aveva mai avuto il coraggi di fare... siamo entrati nella radura della foresta… tutti dicevano che un mostro ci avrebbe sbranati prima che l’avessimo raggiunta. E invece…eccoci qua… sani e salvi!” bisbigliò a bassa voce uno dei due. L’altro lo guardò molto male e gli tappò la bocca. “Deficiente! Se ci scoprono sono guai!” lo riproverò irritato notevolmente. Poi si spostarono proprio nel bel centro della valle. Lì, era appostata una struttura archeologica. Si diceva fosse stata costruita da degli stregoni Maia per maledire tutti i profanatori del dio Zalarmon, divinità immortale rappresentante tutto ciò che fosse punitivo. “Ecco, prendi la bomboletta Ninez” disse Jack. Il compagno ubbidì subito. “Tu comincia… io vedo se c’è qualcuno… in ogni caso, aspettami sempre.” Continuò il ragazzo. Poi si allontanò per controllare la zona. Ninez era un ragazzo di quattordici anni, scaltro ma pauroso. Jack, fin dalla seconda elementare, aveva preso le sue difese e perciò il quattordicenne gli era devoto. Adesso il ragazzo si apprestava ad imbrattare una delle mura, scrivendo “Gli JFR sono stati qua” ma quando il primo schizzo di vernice toccò la lamina, un’intensa luce apparve. Ninez, spaventato, cadde all’indietro, sbattendo violentemente il fondoschiena. La stessa luce apparsa pochi istanti prima, cominciò in qualche misterioso modo, a pronunciare parole chiare, con voce profonda e tenebrosa, a dir poco spaventevole. “Tu, tu hai profanato la tomba di Zalarmon. E, tu, perirai nelle fiamme più cocenti che la mia ira potrà scatenare sul tuo puerile corpo. Ramtros!!” sentenziò. Un varco, simile a un buco nero, apparve proprio sotto a Ninez, che cadde, cadde, sprofondò nell’oblio più temibile, gridando, implorando aiuto, in speranza che il suo eterno amico, lo venisse a salvare. E prima che ogni essere potesse notare l’accaduto, la luce scomparve, e il buco si chiuse, senza colpo ferire, inghiottendo il povero ragazzo disperato. Jack corse sul post. “Che è successo….Ninez? Ninez? Dove sei finito scemo? Non è ora di giocare! Perché non hai ancora scritto nulla?” disse con aria arrabbiata ma profondamente preoccupata il ragazzo. Quando, dopo momenti si intensa paura, vide la bomboletta a terra, mezza ammaccata, Jack entrò in crisi. Pensò che il suo amico era stato rapito, che un mostro lo avesse mangiato, che gli alieni lo avessero portato via, pensò qualunque cosa in quei secondi. Poi, traumatizzato, cercò di riprendersi. Jack sentì dei cani abbaiare e delle luci muoversi. Subito, senza pensare, si mise a correre, verso casa sua, dove avrebbe dimenticato tutto, dove tutto sarebbe tornato come prima, almeno pensava.

Un raggio di sole sveglio con delicatezza Jack, un ragazzo di quattordici anni. Occhi azzurro intenso con tendenza al grigio, capelli neri come il carbone, naso sottile ma non aquilino, orecchie grandi ma non protuberanti, fronte spaziosa, ma non troppo, zigomi pronunciati, ma non eccessivamente. Spavaldo, gentile e intelligente, ma non si vantava mai. Era sempre con i più deboli, per i più deboli. Li difendeva. E la sua altezza, il suo fisico massiccio, faceva allontanare qualunque malintenzionato. Il ragazzo si alzò dal letto, stanco, e con movimenti molto lenti si avvicinò al bagno. Entrò, e dopo un quarto d’ora uscì con un aria completamente diversa. Sveglio, pimpante, ma soprattutto lucido come un diamante. Si vesti velocemente e scese subito a fare colazione. Sul tavolo, ad aspettarlo in trepidante attesa, delle cialde con lo sciroppo d’acero e un bel bicchiere di aranciata fresca. Con un sorriso a trentadue denti il ragazzo salutò la madre e si mise a mangiare. Poi, dopo essersi fatto il dentifricio, salutò la madre e il cane Bobby, e uscì di corsa, verso la casa del suo amico Ninez. Lì, davanti alla porta di casa spalancata, la madre dell’amico nervosa, sovreccitata, preoccupata, arrabbiata. “Finalmente Jack!! Dov’è mio figlio?” chiese con un aria che avrebbe potuto trasmettere il nervosismo a chiunque, anche a un santo. “Ma, signora Dayflow…. vede… io sarei venuto per andare a scuola con suo figlio….” disse Jack, intimorito dallo sguardo accusatorio della donna. “COOOOOOSAAAAAAA? Ma se ieri sera è uscito con te e siete andati alla foresta!” gridò innervosita la donna. “Ma…permanete…io…beh…..l’ultima volta che l’ho visto stava tornando a casa… comunque adesso devo andare… a…arr….arrviderci!” disse in maniera sbrigativa Jack, spaventato di quello che la madre del suo amico gli avrebbe potuto fare. Presa un distanza di sicurezza di 500 metri, il ragazzo tirò un sospiro di sollievo… ma non per molto… Pensò che quello che fino a qualche minuto prima credeva un incubo era accaduto realmente e quindi…. Il suo migliore amico era scomparso per quella maledetta voglia di dimostrare che non aveva paura! “Però una scomparsa così improvvisa mi insospettisce anche troppo… sarà meglio vederci più chiaro…” disse fra se e se il ragazzo, mentre si avviava verso la classe….

TO BE CONTINUED
Uhm...carina, forse un pò noiosa, ma può essere migliorata sicuramente :D

Noto molte cose che mi fanno venire in mente alcuni telefilm..ad esempio:

- Foresa e Jack: Lost

- Parete e Luce parlante: Smallville

Comunque carina, continuala, e vediamo cosa succede.
 

~Nigeris.

Parroco
Lo so, mi dispiace. Ma io non sono IRDG, o Mens o chissachì. Io sono io purtroppo. Comunque, brutta o bella, ecco la continuazione.

Capitolo 2°

A scuola tutto normale. Nessuno, per fortuna, aveva chiesto qualche informazione riguardo Ninez, mettendo in crisi Jack.

Mentre tornava a casa, cercando di evitare le conversazioni dirette con le persone, vide la polizia davanti a casa del suo amico. Poi, cercando di non farsi vedere, attraversò l’isolato di soppiatto, in modo veloce e rapido. Rientrato, tirò un sospiro di sollievo, e chiese alla madre cosa di fosse da mangiare per pranzo. La signora rispose immediatamente “Spezzatino di carne… lo sai caro, il tuo amico è scomparso. Tu ne sai qualcosa? Mi dispiace tanto per sua madre… quella donna sta uscendo pazza…”. L’aria di serenità di Jack, acquisita appena entrato, divenne immediatamente un aria di tensione, nervosismo. Lo sguardo del ragazzo era perso nel vuoto, alla ricerca di qualcosa che lo potesse aiutare. Poteva essere, che anche dentro la sua casa, che anche nel luogo che, in teoria, doveva essere più sicuro per lui, le domande inquisitorie gli arrivassero in faccia, con un botto tremendo?

Rassegnato all’evidenza, all’assenza di qualche via di fuga, Jack fu costretto a mentire, cercando di avere l’aria più credibile possibile. “No mammina cara, non ne so nulla. L’ho visto l’ultima volta ieri sera, mentre tornava a casa. Ho sentito tanto la sua mancanza a scuola e durante la giornata.” Disse con una voce tenera, più “coccolosa” possibile. Poi, cercando di tagliare breve, disse di avere troppi compiti e salì subito nella sua stanza. Lì buttò, disperato, lo zaino a terra e, stanco, sfinito, travolto dall’intensità della giornata scolastica e non, si lasciò cadere sul suo letto, sprofondando in un profondo sonno.

Jack correva, correva, correva, correva…... delle grida molto acute, spaventevoli, venivano lanciate alle sue spalle. Era inconsapevole di quello che stava accadendo. Lui correva, e basta. Non era a conoscenza del motivo, ma correva. Ogni urlo lo incitava a correre sempre di più. Regolarmente, a intervalli di qualche istante, un grido acutissimo, molto più degli altri, faceva soffrire le orecchie del ragazzo.

La stanchezza si faceva sentire, a, a poco a poco, l’andatura del quattordicenne diminuiva. Le grida erano sempre più vicine, più minacciose. Qualunque cosa ci fosse stata alle spalle di Jack, non era qualcosa di  buona. Niente il povero ragazzo si sarebbe aspettato, se non un dolorosissimo crampo alla gamba che lo costrinse a fermarsi. Il dolore lancinante lo fece cadere a terra, tramortito. Pensava a sua madre, a suo padre, al suo cane Bobby. Oramai era la fine. Un’ombra si avvicinava sempre più, e si rendeva sempre più minacciosa. Una lacrima venne rilasciata da Jack, che preso dalla disperazione, grido più forte che poteva. Oramai la scura sagoma era a poco meno di un metro di distanza dal corpo puerile del ragazzo. Il dolore del crampo aveva lasciato spazio all’intensa paura provocata dal momento. Oramai l’uomo, o il mostro che fosse, era vicinissimo. Un raggio di luce illuminò il volto di quest’ultimo, mostrandolo chiaro agl’occhi di Jack. Era il suo amico del cuore, era Ninez. Gli porse la mano e lo fece rialzare. “Ciao, dov’eri finito?” chiese, rincuorato e molto più tranquillo Jack. Ninez, dopo un attimo di silenzio, rispose. “Ero scappato quando ho visto le guardie. Non sono tornato a casa per paura che mia madre mi sottoponesse a un interrogatorio” rispose esitante l’amico. “Ma tua madre è preoccupatissima… a proposito… dove siamo? E….come mai tieni il braccio in qual modo?” chiese curioso Jack. “Bè.. vedi…”. Il silenzio del ragazzo fu inquietante. Una luce sgargiante, ma non troppo, comparve dietro la schiena del ragazzo, illuminato dallo stesso raggio di prima.

Con uno scatto improvviso Ninez di portò a distanza di qualche millimetro del suo amico Jack. Con altrettanta agilità, mostrò il braccio prima nascosto. Teneva un pugnale, con soprascritto qualche parola scritta in antica lingua. Dopo qualche attimo il pugnale era stato infilzato nello stomaco di Jack. Dolorante, esanime, il ragazzo, con le ultime forze rimaste in corpo, sputando sangue, chiese “Perché l’hai fatto?” Ninez, con una risata diabolica, rispose indignato “Perché?!?!? Perché tu mi hai fatto uccidere, mi hai fatto rapire, mi hai fatto scomparire!!! Perché stai facendo soffrire come un cane quella povera donna di mia madre!!! Perché devi provare quello che ho provato io!!!!!!!!”

Il giovane Jack si svegliò, a terra, con uno strano dolore alla gamba, molto sudato. I sensi di colpa gli avevano fatto un brutto scherzo…
 
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